La testimonianza di un Seppuku
Testimone di un seppuku: tratti dal sito,ICHI DO – una via: KEN no KAMAE – tre posizioni – tre fondamenti
Nel 1868 un gentiluomo inglese, Lord Redesdale, in qualità di segretario del Consolato Britannico in Giappone, ebbe l'occasione di assistere su invito e come testimone, in quanto coinvolto nel fatto come rappresentante degli inglesi, alla cerimonia di Seppuku, il rituale suicidio dei nobili e Samurai Giapponesi.
Nel febbraio del 1868 accade che un gruppo di soldati giapponesi, agli ordini di Taki Zenzaburo, un Samurai al servizio del principe di Bizen, sparasse contro un accampamento di stranieri, di nazionalità mista. In quegli anni accadeva che stranieri nel suolo Giapponese interferissero nelle dispute tra lo Shogun (capo supremo dell'esercito) e l'Imperatore del Giappone. Per circostanze non chiare Taki Zenzaburo ordinò di sparare sul gruppo di stranieri causandone la morte di alcuni. Il fatto avvenne presso la città di Kobe (allora chiamato Hiogo). Gli venne pertanto ordinato di fare Seppuku.
Lord Redesdale fu il primo straniero in assoluto ad assistere ad un rituale di suicidio e narra l'episodio nel suo volume “racconti dal Giappone”.
Ne riporto i punti salienti:
I preparativi
Come testimone di una cerimonia di Hara Kiri (termine popolare per definire il Seppuku), posso descriverne lo svolgimento. La persona condannata era Taki-Zenzaburo, un Ufficiale Samurai del Daimyo (principe) di Bizen. Il Samurai condannato era stato giudicato responsabile della strage contro un accampamento straniero avvenuto nel febbraio 1868.
La cerimonia, ordinata dal Mikado in persona, ebbe luogo alle ore 22,30 nel Tempio di Seifukuji, nel quartier generale dell'esercito di Satsuma a Hiogo (attuale Kobe).
Ogni delegazione straniera era rappresentata da uno straniero, per un totale di sette testimoni stranieri. Erano accompagnati dai Samurai della principessa di Satsuma e Choshu. La cerimonia si svolgeva in privato. Alle porte del Tempio comunque, si accalcò una numerosa folla.
Il cortile del Tempio era molto pittoresco, molti soldati stazionavano all'interno attorno a grandi fuochi, che illuminavano le grotte situate nel luogo sacro.
Fummo introdotti in una sala dove aspetammo assieme ad alti Ufficiali giapponesi.
Dopo un lungo intervallo di tempo, reso ancora più lungo dal silenzio che regnava, arrivò Ito-Shunsuke, vice governatore di Hiogo, che prese i nostri nominativi e ci informò che sarebbero stati presenti altri sette Samurai “Kenshi” (ispettori di corpo giapponesi), un numero pari ai testimoni stranieri.
Il vice governatore Ito-Shunsuke quindi chiese se qualcuno volesse fare qualche domanta al condannato, ma nessuno fece richiesta. Dopo un altro lungo periodo di attesa fummo invitati a seguire i Kenshi nella sala principale “hondo” del Tempio, dove si sarebbe svolta la cerimonia.
Era una sala grande con colonne in legno e un alto soffitto sempre in legno, con grandi lampade dorate, Sul un lato era disposto un altare con il pavimento ricoperto da splendidi tappeti bianchi, mentre l'altare era coperto da un feltro rosso. Numerose candele erano disposte nella sala e diffondevano una luce attenuata, appena sufficente ad illuminare l'ambiente. I sette Kenshi si sistemarono alla sinistra degli scalini dell'altare, i testimoni stranieri a destra. Non erano presenti altre persone come testimoni o spettatori.
I preliminari
Dopo alcuni minuti entrò un uomo vigoroso, di circa 32 anni di età, dall'aria nobile, coperto da un grande mantello bianco, che seppi veniva usato solo per grandi occasioni. Si trattava del Samurai Taki-Zenzaburo, il condannato.
Era accompagnato da un “Kaishaku” e da tre Samurai vestiti in abiti da guerra, di stoffa dorata.
Lo “kaishaku” non è da considerarsi come il boia europeo. Egli aveva l'incarico di tagliare la testa del condannato subito dopo il taglio dell'addome. Era considerato un grande onore essere richiesto per tale funzione, e molte volte si trattava dell'amico più caro del condannato o di un parente.
In questo caso il Kaishaku era un allievo di Taki-Zenzaburo, che era stato scelto dagli amici del condannato per la sua abilità e precisione nell'uso della spada.
Taki-Zenzaburo, con il Kaishaku alla sua sinistra, si rivolse verso i testimoni Giapponesi con un rispettoso e solenne inchino da seduto, i Kenshi risposero con un solenne inchino, poi si rivolse a noi e ci salutò allo stesso modo.
Lentamente il condannato salì gli scalini e di fronte all'altare si inchino per due volte, con le mani giunte battè per tre volte e fece un altro inchino, poi si girò e fece un ultimo saluto verso di noi. Il Kaishaku si trovava alle spalle a sinistra del nobile Taki-Zenzaburo.
Uno dei tre Samurai vestiti di guerra avanzò poggiando davanti al condannato un cuscino dorato usato per le grandi offerte, sopra il cuscino poggiava una spada corta chiamata “Wakizashi” (la spada compagna), tagliente come un rasoio.
Questa spada gli venne consegnata con molti inchini e accettata dal condannato con grande rispetto, che la portava alla fronte inchinandosi più volte, poi la posò a terra davanti a lui.
La dichiarazione
Giunti a questo punto Taki-Zenzaburo prese la parola, la voce tradiva una certa emozione come del resto ci si poteva aspettare data la situazione, ma dall'aspetto esteriore non traspariva niente dello stato d'animo.
“Io, e solo io, ho dato l'ordine senza averne il potere, di sparare sugli stranieri a Kobe, mentre tentavano di fuggire. Per questo orrendo crimine io mi ucciderò, e vi prego di farmi l'onore di essere presenti quali testimoni”
Quindi si inchinò profondamente verso i testimoni e si tolse parte dei suoi vestiti rimanendo a torso nudo, fino alla cinta, e utilizzando i vestiti tolti ripiengandoli con cura e ponendoli sotto le proprie ginocchia affinchè, in tal modo, non potesse cadere all'indietro poiché un Samurai deve cadere sempre in avanti. Poi, deliberatamente, con la mano ferma prendeva la corta spada che aveva posto avanti a lui. La guardava a lungo, quasi con affetto, come se volesse fissarvi i propri pensieri per l'ultima volta.
Seppuku
Si conficcava quindi la spada nel fianco sinistro, tirandola poi in alto verso il fianco destro. Durante questa operazione, senz'altro molto dolorosa, il viso del guerriero non tradiva alcun segno di dolore.
Mentre estraeva la spada dal proprio ventre si chinava in avanti e allungava il collo. Per la prima volta notai che aveva un'espressione di dolore senza però emettere alcun lamento.
In quel preciso momento il Kaishaku, che era stato fino ad allora in ginocchio, si alzò di colpo, alzo la spada lunga sopra la propria testa, poi con severo fendente separò la testa dal corpo con colpo netto.
"in quale altra parte del mondo si insegna all'uomo che l'ultimo tributo di affetto che può rendere al miglior amico è quello di essere l'esecutore della sua morte?"
Il Kaishaku e tutti i Samurai presenti quindi si inchinarono. Poi il Kaishaku poggiò la spada su una ampio foglio bianco e la consegnò ad uno dei Samurai presenti perché venisse portata via in modo solenne e venisse mostrata alla folla come prova dell'avvenuta esecuzione.
una lettura estiva
"Samurai" di Leonardo Vittorio Arena
questo libro che ho nella mia biblioteca è un ottima lettura storica della vita dei samurai, vi consiglio di acquistarlo
e approfondirete la Vostra cultura, buona lettura da Ovo-san
Leonardo Vittorio Arena, nel suo "Samurai, ascesa e declino di una grande casta di guerrieri", cerca di far capire al lettore cosa sia significata la figura del samurai per il Giappone, ripercorrendo le gesta dei più grandi samurai della storia, da Yoshitsune a Saigo Takamori (l'ultimo samurai), passando per i più celebri Oda Nobunaga, Tokugawa Ieyasu e Musashi ed esplorando, per quanto possibile, il loro privato e il loro modo di rapportarsi alla spiritualità.
E' una dimostrazione di come la figura tramandataci del temibile guerriero sanguinario,prigioniero dell'onore e dei doveri feudali, spesso fosse accompagnata da quella del poeta-filosofo e che atti che noi considereremo brutali,come la decapitazione, in un mondo diverso dal nostro fossero interpretati come atti di pietà se non addirittura di onore.
Ci spiega la solennità della cerimonia del té, che meglio di altre situazioni dimostra come nel samurai esista un culto per la perfezione, ed il potere che, una figura come il maestro del té (in occidente sarebbe accomunabile a un cameriere) poteva esercitare nei confronti del Daimyo, una figura come il maestro del té,
"Samurai" è un viaggio nel mondo del Bushido, il codice di comportamento dei samurai, che tanto ha condizionato il modo di pensare giapponese dal primo shogunato Kamakura (1185-1333) fino alla seconda guerra mondiale, quando è stato creato il corpo dei Kamikaze.
Un libro estremamente interessante e molto ben scritto, con un alternanza tra cronaca e prosa che consiglio vivamente a chi sia affascinato dalla cultura orientale.
Minamoto No Yoritomo
Minamoto no Yoritomo
Minamoto no Yoritomo (源 頼朝?) (9 maggio 1147 – 9 febbraio 1199) è stato un militare giapponese. Nel 1192 ricevette il titolo di shōgun e fondò il primo bakufu della storia del Giappone, noto come shogunato Kamakura dal nome della sua capitale, la città di Kamakura.
Dalla nascita all'esilio
Minamoto no Yoritomo era il terzo figlio di Minamoto no Yoshitomo, erede del clan Minamoto, e della sua moglie ufficiale, Fujiwara no Saneori, discendente dell'illustre clan Fujiwara; nacque a Heian (odierna Kyōto), allora capitale del Giappone. All'epoca suo nonno, Minamoto no Tameyoshi, era il capofamiglia del clan Minamoto.
Nel 1156, le divisioni in fazioni della corte scoppiarono in una vera e propria guerra civile; l'Imperatore claustrale Toba e suo figlio Go-Shirakawa si schierarono con il figlio del reggente Fujiwara no Tadazane, Fujiwara no Tadamichi, e con Taira no Kiyomori (membro dell'influente clan Taira), mentre l'Imperatore claustrale Sutoku si schierò con il figlio minore di Tadazane, Fujiwara no Yorinaga; la guerra fu chiamata Ribellione di Hōgen. Il clan Minamoto era diviso; Tameyoshi, il capofamiglia, si schierò con l'Imperatore claustrale Sutoku, mentre suo figlio Yoshitomo, padre di Yoritomo, si schierò con l'Imperatore claustrale Toba e con l'Imperatore Go-Shirakawa. Alla fine, i seguaci dell'Imperatore Go-Shirakawa vinsero la guerra civile, e l'Imperatore Sutoku fu messo agli arresti domiciliari. Yorinaga era stato gravemente ferito in battaglia, e Tameyoshi fu condannato a morte, nonostante l'intervento in suo favore di Yoshitomo. Yoshitomo divenne così il capofamiglia, e Yoritomo l'erede del clan. Essendo Yoritomo imparentato sia con l'imperatore (da parte di padre) sia con i Fujiwara (da parte di madre), ricevette i suoi primi incarichi a corte e fu nominato amministratore.
La pace non durò a lungo, perché Kiyomori e Yoshitomo, i vincitori della precedente guerra, cominciarono a discutere e alla fine i due clan entrarono in guerra: i Taira sostenevano Imperatore Takakura, figlio di Go-Shirakawa, ed avevano il sostegno di Fujiwara no Nobuyori, mentre i Minamoto sostenevano l'ormai claustrale Imperatore Go-Shirakawa ed avevano il sostegno di Fujiwara no Tadamichi e Fujiwara no Michinori (il clan Fujiwara era quindi diviso); la guerra fu chiamata Ribellione di Heiji. I Minamoto non erano adeguatamente preparati, e i Taira occuparono Kyōto; Michinori e Tadamichi furono condannati a morte e il palazzo dell'Imperatore claustrale Go-Shirakawa fu messo a fuoco dai Taira.
Yoritomo si ritrovò così nuovo capofamiglia del clan Minamoto, esule a Hirugashima, un'isola della provincia di Izu nel Kantō, all'epoca sotto il controllo del clan Hōjō. I Taira erano ormai i samurai più potenti del Giappone; Yoritomo fu lasciato in vita grazie a sua madre. Minamoto no Yoshitsune, un fratellastro, fu esiliato al tempio di Kurama. Yoritomo crebbe quindi in esilio. Nel 1179, sposò Hōjō Masako, figlia di Hōjō Tokimasa: il matrimonio aveva anche una chiara valenza politica, poiché Yoritomo avrebbe potuto contare sugli Hōjō in caso di guerra.
La guerra di Genpei
Nel 1180 Yoritomo raccolse un grande esercito per affrontare i Taira, ma poi, per un breve periodo fu costretto a trattare con loro. Quando venne a sapere che il cugino Yoshinaka tramava contro di lui, lo sconfisse e uccise ad Awazu, con l' aiuto del fratello Yoshitsune.
Nella sua prima grande battaglia, quella di Ishibashiyama, Yoritomo fu sconfitto, indebolendo la sua posizione nei confrontidei rivali; fino al 1184, grazie agli screzi interni alla corte dominata dai Taira, riuscì però a consolidare la sua autorità sull'aristocrazia guerriera del Kantō e ebbe modo di costruire una propria struttura amministrativa, centrata nella sua fortezza di Kamakura. Alla fine ebbe ragione dei suoi rivali nel clan, e nella battaglia di Dan-no-ura nel 1185 impresse ai Taira una terribile sconfitta.
Ormai senza rivali, Yoritomo estese la sua struttura amministrativa a tutto il Paese, rendendo di fatto Kamakura la nuova capitale; nel nuovo sistema feudale la casta aristocratico-guerriera dei samurai ottenne l'egemonia che avrebbe mantenuto fino alla metà del XIX secolo. Sette anni dopo, l'Imperatore Go-Toba gli concesse il titolo di shōgun, ufficializzando la sua posizione e dando inizio al bakufu (shogunato, ovvero il governo dello shōgun).
IEYASU TOKUGAWA il macchiavelli nipponico
tratto da tuttogiappone.it
La vita di
Tokugawa Ieyasu
Tokugawa Ieyasu è senza dubbio uno dei personaggi più famosi della storia del Giappone.
Agli inizi del XVI secolo il Giappone era diviso in una miriadi di clan ognuno dei quali governava su una fetta di territorio. Tokugawa riuscì a riunificare e a pacificare il Giappone e a porlo sotto l'autorità dello shogun che di fatto rappresentava il supremo capo politico e militare del paese; la figura dell'imperatore era più che altro simbolica e sarebbe stato così fino al XIX secolo. Diede inizio ad una dinastia che avrebbe detenuto lo shogunato per 250 anni e che avrebbe segnato molto profondamente la cultura, la società e la storia del paese del Sol Levante.
I clan del Mitsudaira, famiglia di cui Ieyasu era originario, governava la provincia di Mikawa che oggi corrisponde alla parte orientale della prefettura di Aichi, più o meno nel centro dell'isola di Honshu.
Il protagonista dell'articolo nacque, quindi, con il nome di Matsudaira Takechiyo, il 31 Gennaio del 1543. In quel periodo due erano le famiglie più potenti di quell'area: gli Oda e gli Imagawa e il clan Matsudaira era indeciso su quale dei due mettersi al servizio; rimanere indipendenti, data la potenza dei vicini, non aveva senso.
Hirodata – padre di Takechiyo -, il capo della famiglia, scelse il clan degli Imagawa anche se all'interno dei Mitsudaria la sua scelta non aveva l'unanimità dei consensi.
Nel 1548 gli Oda invasero il Mikava e Hirodata chiese aiuto a Imagawa Yoshimoto il quale acconsentì a patto che Takechiyo fosse mandato a Sumpu, la sua capitale, in qualità di ostaggio.
Il convoglio che doveva trasportare Takechiyo a Sumpu, venne intercettato da Oda Nobuhide che catturò il figlio di Hirodata e lo rinchiuse nel castello di Kowatari. Come era prevedibile, Oda si servì del prigioniero per fare pressioni sul padre affinchè cessasse ogni legame con gli Imagawa. Hirodata rifiutò, ma il figlio non venne ucciso.
Nell'anno successivo morirono sia Mitsudaria Hirodata che Oda Nobuhide e Yoshimoto ne approfittò per attaccare il castello con un esercito guidato dal fratello Sessai
Ora, alla guida del clan degli Oda, c'era Nobuhiro che venne però catturato insieme al suo castello che Sessai si impegnò a restituire a patto che Takechiyo fosse liberato. Takechiyo venne effettivamente liberato e tornò a Sumpu dove visse per vari anni.
Raggiunta la maggiore età, Takechiyo, cambiò il suo nome è divenne Matsudaira Motoyasu. Ritornò nel Mikawa e, secondo le richieste degli Imagawa, di cui i Matsudaira erano vassalli, si impegnò a combattere gli Oda guidati dal nuovo capo Nobunaga.
Passarono pochi anni e i Matsudaira, una volta sconfitti gli Oda, cominciarono a chiedere maggiore autonomia dagli Imagawa. Presto tra i due clan ci fu una guerra e, nella battaglia di Okehazama nella quale gli Imagawa vennero sconfitti, Yoshimoto trovò la morte.
Motoyasu si alleò di nuovo segretamente con gli Oda, sconfisse definitivamente gli Imagawa e si affrancò così dalla loro tutela.
Negli anni successivi si dedicò agli affari della famiglia e della sua provincia dove stroncò sul nascere una ribellione militare.
Nel 1567 fece richiesta all'Imperatore Ogimachi di poter cambiare il nome in Tokugawa Ieyasu e la richiesta venne accolta. E' chiaro che Ieyasu voleva avvalorare l'ipotesi che la sua famiglia avesse legami di parentela con quella dell'imperatore.
Sistemati gli Imagawa, che divennero vassalli dei Tokugawa, ecco arrivare i Takeda con i quali, dopo una breve alleanza, il ricorso alle armi divenne inevitabile. Quindi, nel 1571, i Takeda attaccarono e Takeda Shingen vinse la battaglia di Mikatagahara. Fortunatamente per Ieyasu, Shingen morì l'anno successivo e venne sostituito dal figlio Katsuyori che però non si rivelò all'altezza del padre.
Il 28 Giugno 1575 gli eserciti alleati dei Tokugawa e degli Oda, inflissero una devastante sconfitta ai Takeda.
Quattro anni più tardi la moglie e il figlio di Ieyasu vennero accusati di aver complottato contro Nobunaga, in combutta con Katsuyori; la moglie venne decapitata e il figlio costretto al seppuku, il suicidio rituale.
Eliminati definitivamente i Takeda con un'altra vittoria nel 1582, aiutò il clan Oda nel loro tentativo di riunificare l'intero Giappone.
Alla fine di quell'anno, un colpo di scena; Obu Nobunaga venne assassinato da Mitsuhide Akechi. Ieyasu, temendo di fare la stessa fine, si ritirò nel Mikawa non rinunciando però a conquistare parte del territorio degli Oda.
E' a questo punto che fa la sua comparsa un altro fondamentale personaggio della storia del Giappone: Toyotomi Hideyoshi.
Siamo nel 1583 e a contendersi il dominio sull'intero paese, erano rimasti Toyotomi Hideyoshi e Shibata Katsuie con Ieyasu Tokugawa che, inizialmente, mantenne una posizione neutrale.
Nella battaglia di Shizugatake Shibata venne sconfitto e Toyotomi rimase così il padrone incontrastato del Giappone ormai riunificato sotto il suo controllo.
I Tokugawa quindi si allearono con gli Oda nella speranza di provocare in battaglia i potenti Toyotomi, ma gli Oda presto cambiarono campo e finirono sotto l'egemonia del clan dei Toyotomi.
Nel 1585 Ieyasu e Hideyoshi stabilirono una tregua e, cinque anni più tardi, ritroviamo i due attaccare il clan degli Hojo che vennero sconfitti e annessi alle terre dei Toyotomi.
A seguito dell'alleanza tra i Tokugawa e i Toyotomi, avvenne uno scambio di territori Ieyasu cedette le provincie di Mikawa, Totomi, Suruga, Shinano e Kai. Come conseguenza Ieyasu spostò la sua base operativa e si insediò nel castello di Edo.
Due anni più tardi Hideyoshi si imbarcò in una spedizione in terra straniera e precisamente invase la Corea; il suo scopo finale era quello di attaccare la Cina e l'India.
L'avventura non ebbe molto successo; nonostante i giapponesi fossero riusciti a conquistare la capitale; la continua guerriglia fiaccò la resistenza dei nipponici.
Nel 1593 Hideyoshi Toyotomi nominò Ieyasu, insieme ad altri cinque, reggente del figlio e tutti e sei avrebbero regnato in nome di Hideyori Toyotomi nel caso di morte prematura del padre. Morte prematura che in effetti arrivò cinque anni più tardi, nel 1598.
Presto tra i reggenti si crearono due schieramenti: gli anti-Toyotomi, guidati dai Tokugawa, e i fedeli a Hideyori. rappresentati da Ishida Mitsunari. Per i primi anni il conflitto tra questi due gruppi, con i loro rispettivi alleati, ebbe un andamento alterno.
Ed è proprio nell'ambito di questa guerra che si colloca la grande battaglia di Sekigahara che vide combattere ben 160.000 uomini.
La vittoria dello scontro arrise a Ieyasu Tokugawa che, insieme ai clan alleati, distrusse i clan degli Ishida.
Come conseguenza della battaglia Hideyori Toyotomi, dopo essere stato sconfitto, si ritirò con la famiglia nel castello di Osaka mentre Ieyasu Tokugawa poteva ormai fregiarsi del titolo di padrone assoluto del Giappone: era l'anno 1600 d.C.
Nel 1603 l'imperatore Go-Yozei gli concesse il titolo di shogun e Ieyasu inaugurò una dinastia che avrebbe detenuto lo shogunato per oltre 250 anni.
Dopo solo due anni Ieyasu, a sorpresa, si ritirò lasciando la carica a suo figlio Hideta. La dimissione dalla carica di shogun era comunque solo apparente in quanto Ieyasu continuò a governare, come si dice, da dietro le quinte.
Da adesso fino alla sua morte, nel 1616, Tokugawa _Ieyasu continuò quindi ad esercitare il potere nonostante la carica di shogun fosse ricoperta dal figlio Hideta.
Due sono i fatti principali di questo periodo; la persecuzione e l'espulsione dei cristiani dal Giappone, a favore del confucianesimo, e, in campo militare, l'assedio di Osaka in cui sconfisse le ultime resistenze del clan Toyotomi che si era arroccato nel castello della città .
Per gli stranieri, avere delle basi commerciali in Giappone era sempre più difficile e anche divenne problematico per gli stessi giapponesi uscire dal paese. I cristiani, per sfuggire alle persecuzioni, dovettero emigrare verso altri paesi come, per esempio, le Filippine.
In breve, sotto il periodo Tokugawa, ci fu una chiusura del Giappone verso il mondo esterno che sarebbe terminato solo nel XIX secolo quando le pressioni esterne, per aprire il Giappone al commercio internazionale, divennero troppo forti per potervi resistere.
Dal punto di vista militare, invece, dopo la battaglia di Osaka in cui Ieyasu e il figlio sconfissero Toyotomi Hideyori, si aprì per il Giappone un lungo periodo di pace che sarebbe anch'esso terminato nel XIX secolo.
Quindi con Ieyasu si aprì un periodo di pace, ma anche di isolamento commerciale e culturale. Il centro politico venne spostato ad Edo, l'odierna Tokyo, e venne operato uno stretto controllo sui daimyo e i samurai, la casta dei guerrieri, non essendoci più guerre, si dedicarono ad attività meno bellicose come la filosofia, letteratura e arte.
Nel 1616 Tokugawa Ieyasu, a seguito di una malattia, morì all'età i 73 anni.
Lasciò il paese saldamente nelle mani del suo clan che, come visto, detenne lo shogunato fino al 1867 quando il potere venne restituito alla figura dell'imperatore per quello che è passato alla storia come la "restaurazione Meiji".
Miyamoto Musashi
La straordinaria vita di
Miyamoto Musashi
Il suo vero nome era Shinmen Musashi no Kami Fujiwara no Genshi: Il più famoso samurai della storia del Giappone. La sua vita ha dell'incredibile e lo pone come uno dei personaggi più interessanti, non solo del Giappone, ma di tutta la Storia dell'umanità . Non solo fu un leggendario spadaccino che affrontò, senza perdere mai, decine di duelli, la maggior parte dei quali all'ultimo sangue, ma fu anche un valente artista; eccelleva anche nell'arte della pittura, nella calligrafia, nella scultura e come poeta: le sue opere, di grandissimo valore, sono oggi conservate in vari musei. Scrisse uno dei più famosi trattati di strategia e di filosofia applicata al combattimento: Il Libro dei Cinque Anelli. In questo trattato, scritto nel 1645, Musashi riassunse tutta la sua esperienza di maestro dell'arte della spada. Fondò anche una scuola di arti marziali, la Niten Ichi Ryu che insegna il combattimento a due spade: una lunga (Katana) e una corta (Wakizashi ). Ma sono le sue gesta di schermidore quelle che gli hanno consentito di entrare nella leggenda; fino all'età di 29 anni, cioè fino allo scontro con Kojirō Sasaki, partecipò a sessanta duelli. Partecipò anche a varie battaglie tra cui quella di Sekigahara in cui militò tra le file, perdenti, dei seguaci della famiglia Toyotomi. Sul personaggio di Miyamoto Musashi esiste una vasta letteratura; sono stati compiuti numerosi studi e i giudizi sul personaggio sono estremamente variegati. Sui momenti topici della vita di Musashi esistono molteplici versioni e, molto spesso, risulta difficile, se non impossibile, stabilire la verità dei fatti. A prescindere delle versioni, è innegabile che Musashi sia da considerare uno dei più grandi samurai della storia giapponese.
Nacque nel 1584 a Miyamoto-Sanoma nella provincia di Mimasaka che oggi fa parte della prefettura di Okayama. Già in tenera età mostrò una non invidiabile capacità di procurarsi guai; crebbe guardando il padre samurai insegnare l'arte ai numerosi guerrieri che venivano a richiedere i suoi servizi come maestro. Nel 1596 un samurai di nome Arima Kihei, arrivò in città e mise un annuncio in cui cercava coraggiosi disposti a combattere contro di lui; Musashi, che aveva dodici anni, si fece avanti: fu il suo primo duello. Nonostante fosse armato solo di una spada di legno, e l'avversario con la classica spada affilata come un rasoio, il giovane Musashi vinse ed uccise l'esperto samurai.
All'età di quindici anni lasciò il villaggio.Musashi aveva già sedici anni, ma aveva già combattuto in tre guerre. Negli anni successivi percorse il Paese passando da un duello all'altro e, naturalmente, ne uscì sempre vincitore.
All'età di venti anni è a Kyoto, l'allora capitale del Giappone. Qui sfidò il miglior spadaccino dell'epoca,Yoshioka Seijuro, il quale raccolse la sfida.
Miyamoto Musashi non vinceva i suoi duelli solo grazie alla sua grande forza e sulle sue grandi doti tecniche, ma era un maestro nell'uso di diversivi che operavano sulla psicologia dell'avversario in modo da minare la sua forza. Un tipico esempio fu il duello con Yoshioka che, oltretutto, era a capo di una famosissima scuola di arti marziali. Musashi arrivò tardi al duello facendo così infuriare l'avversario che non si attendeva una mancanza di rispetto, soprattutto da chi aveva gettato il guanto della sfida. Il duello iniziò, ma la mente di Yoshioka, essendo ancora turbata dall'affronto subito, non aveva la lucidità che la situazione richiedeva. Venne deciso che lo scontro non fosse all'ultimo sangue e che fosse combattuto con spade di legno. Il duello si concluse nel giro di pochi minuti con un grande colpo che Musashi assestò alla spalla sinistra di Yoshioka; il colpo fu così violento che Yoshioka dovette essere rianimato e portato via a braccia. All'età di appena vent'anni, Miyamoto Musashi era diventato lo spadaccino più famoso del Giappone. L'affronto subito da Seijuro recò vergogna sull'intera famiglia e il fratello minore, Denshichiro, sfidò immediatamente Miyamoto cercando così di risollevare le fortune della famiglia. Anche in questo duello Miyamoto ripetè lo scherzetto fatto a Yoshioka: arrivò in ritardo innervosendo così l'avversario. Lo scontro fu senza storia e Denshichiro, che era un samurai piuttosto dotato, vi trovò la morte.
Per la famiglia Yoshioka l'affronto subito era intollerabile: doveva essere vendicato a tutti i costi. Solo la morte di Miyamoto Musashi avrebbe potuto rendere ai Yoshioka l'onore perduto. Centinaia di guerrieri vennero radunati, armati con spade, archi e fucili, per organizzare un'imboscata. Miyamoto venne informato in anticipo del pericolo e questa volta cambiò strategia: arrivò all'appuntamento in anticipo e, nascosto nel fogliame, aspettò i suoi nemici. Vide arrivare i nemici e poi, all'improvviso, sbucò prendendo alla sprovvista un folto gruppo di samurai avversari; individuò, raggiunse ed uccise Matashichiro, il dodicenne nuovo capo del clan; infine, in tutto questo caos, si aprì un varco, attraverso i nemici, e riuscì a fuggire.
Negli anni successivi Miyamoto Musashi continuò a duellare per tutto il Paese; attraverso questi duelli all'ultimo sangue, cercava di raggiungere l'Illuminazione, lo stadio finale, il perfezionamento dell'arte del combattimento
A ventotto anni Miyamoto incrociò la lama con Sasaki Kojiro, uno dei più famosi samurai dell'epoca: ne venne fuori uno dei più famosi duelli della storia giapponese. Lo scontro si svolse su un'isola. Anche questa volta Musashi arrivò in ritardo facendo così innervosire l'avversario. Prima di sbarcare sull'isola , Musashi si costruì una spada di legno ricavandola da un remo della barca. Una volta di fronte, i due campioni, si buttarono subito all'attacco. Miyamoto sferrò subito un terribile colpo sulla testa di Sasaki che crollò a terra, ma senza prima aver risposto con un fendente che sfiorò di pochi millimetri la testa di Miyamoto. Anche da terra Sasaki mostrò la sua abilità con un colpo che, però, non andò a segno: bucò solo il kimono di Musashi. Il colpo di grazia avvenne con grosso colpo al torace di Sasaki Kojiro ancora a terra per il colpo subito precedentemente. Le versioni riguardanti questo episodio sono diverse; un altro racconto dice che le due famiglie, di cui Musashi e Kojiro erano i rispettivi campioni, fossero in lotta per il possesso dell' isola e che Kojiro, appena ripresosi dal colpo alla testa, venne giustiziato, mentre era ancora a terra, dai membri della famiglia vincente.
Miyamoto combatteva spesso con un Bokken, una spada di legno usata in allenamento. Si diceva, inoltre, che fosse di carattere difficile, scortese e poco amante dell'igiene personale. Non si sposò mai, ma ebbe tre figli adottivi.
Nel 1614-1615 partecipò all'episodio finale della guerra tra i clan Tokugawa, che governava il Paese, e Toyotomi. Musashi era ancora al servizio di Toyotomi Hideyori quando il suo quartier generale, il castello di Osaka, venne circondato dalle truppe dello Shogun Tokugawa. Dopo lo scontro con Kojiro, Musashi diradò i duelli a favore di altre attività. Certamente non si sottrasse ai duelli, quando sfidato, ma non li cercò di proposito, come prima. Si dedicò, invece, alla sua scuola e ai suoi discepoli che affluirono sempre più numerosi. Partecipò alla costruzione del castello di Akashi e alla riorganizzazione della città di Himeji dove si stabilì nel 1621. L'anno successivo era di nuovo in viaggio e raggiunse Edo dove cercò, invano, di diventare Maestro di Spada dello Shogun Tokugawa. Insieme al figlio adottivo Miyamoto Iori, continuò il suo pellegrinare per il Paese per arrivare infine ad Osaka. Nel 1934 si spostarono nella città di Kokura ed entrarono al servizio del daimyo Ogasawara Tadazane. Padre e figlio parteciparono alla rivolta di Shimabara dove militarono tra le file delle forze shogunali impegnate a schiacciare la rivolta. Iori, durante questo conflitto, si distinse ottenendo il grado di Karō, il grado più elevato tra i samurai. Musashi, invece, venne ferito da pietre lanciate dagli assediati. Successivamente, dopo essersi legato al daimyo Hosokawa Tadatoshi, si trasferì a Kunamoto, nel Kyushu, dove si dedicò, principalmente, alla scrittura e all'insegnamento della sua materia preferita: la strategia del combattimento. Dal 1642 cominciò a soffrire di attacchi di nevralgia e l'anno successivo si ritirò in una caverna dove cominciò a scrivere il suo Libro dei Cinque Anelli. Poco dopo aver terminato il libro, morì: era il 13 giugno del 1645. Si pensa che sia stato stroncato da un cancro ai polmoni. L'ultima opera letteraria fu il Dokkodo, composto una settimana prima di morire; una raccolta di ventuno precetti, un testamento spirituale per i suoi allievi. Il suo corpo è sepolto nel villaggio di Yuge.
La figura di Miyamoto Musashi è leggendaria e si è stabilita con grande autorità nell'immaginario popolare; ha ispirato decine fra film e prodotti per la televisioni, videogame, libri, anime e manga, libri.
Non è possibile sopravvivere a sessanta duelli senza avere delle qualità e senza poi entrare nella Storia. Musashi combatteva spesso con una spada di legno contro nemici armati di spade d'affilato acciaio, a volte affrontava anche più avversari contemporaneamente, ma uscì sempre vittorioso. La sua grande forza fisica e la maestria nel saper padroneggiare la tecnica, da sole, non bastano a spiegare il suo successo; era anche un profondo conoscitore della strategia militare e della psiche umana che spesso gli permise di ottenere quel vantaggio necessario a vincere i duelli.
Fondò una scuola di scherma, la Niten Ichi-ryū, attiva ancora oggi, in cui veniva insegnato il combattimento con due spade, una lunga e una corta. Ai suoi numerosi discepoli, insegnò il coraggio, il disprezzo per il pericolo e per la morte; volle che, come lui, vivessero una vita austera e piena di sacrifici nella ricerca dell'Illuminazione, meta finale di ogni guerriero.
L’ultimo Samurai Saigo Takemori
Saigo Takamori: l’ultimo Samurai
Questa statua, posta nel parco di Ueno, è dedicata a Saigo Takamori, l’ultimo samurai.
Ebbene sì, è proprio la sua storia che ispirò il film con Tom Cruise di qualche anno fa, ma dimenticate le fattezze del bel Ken Watanabe, che ne impersonava il ruolo col nome di Katsumoto: Saigo Takamori era un samurai cicciotto e dall’apparenza bonaria, un omone di 180 cm di statura ed una corporatura opulenta, piuttosto impressionante per i suoi tempi. Egli si battè affinché i samurai potessero conservare i propri privilegi nella moderna società giapponese e tutt’oggi viene ricordato come un eroe!
Ecco la sua storia:
Nel gennaio del 1868, Saigo Takamori ebbe l’onore di guidare una delle armate che parteciparono alla cosiddetta “marcia su Kyoto”.
Le truppe occuparono il castello e proclamarono la restaurazione del potere imperiale.
Fautori di questa operazione, furono alcune famiglie del sud, che, con questo gesto, volevano opporsi alla supremazia della famiglia Tokugawa, che per anni avevano detenuto il potere, avvalendosi della figura di un imperatore-fantoccio, che era praticamente un burattino nelle loro mani.
Nel 1868 il giovane imperatore Mutsuhito, di soli 15 anni, venne fatto spostare da Kyoto a Tokyo, vero centro nevralgico del potere. Ciò segnerà la fine della supremazia dei Tokugawa e l’inizio dell’era Meiji, dal nome imposto al nuovo imperatore.
Il 15 maggio 1868, l’ultimo rigurgito di una ribellione delle famiglie fedeli al vecchio shogunato, fu repressa nel sangue: la battaglia fu combattuta a Ueno, ed è proprio in ricordo di questo combattimento, che oggi, all’ingresso del parco, si erige la statua di Saigo Takamori, comandante in capo delle truppe fedeli all’Imperatore.
In realtà, però, l’Imperatore era nuovamente un fantoccio nelle mani di nuovi burattinai: i samurai che avevano organizzato la marcia su Kyoto. Essi però, capirono che la struttura feudale del Giappone era ormai obsoleta, e che serviva un’autentica svolta, se si voleva portare il Paese ad un riconoscimento internazionale.
Il periodo Meiji, infatti, sarà ricordato come un periodo di grandi riforme, che catapulterà il Giappone dal feudalesimo all’era moderna, in cui il Giappone diverrà un potente stato asiatico, seguendo il modello occidentale.
Tali riforme portarono, nel 1871, all’abolizione della classe dei samurai ed all’espropriazione di tutti i possedimenti dei daimyo, i signori locali.
Uno dei principali fautori di questi cambiamenti sarà Okubo Toshimichi (l’Omura de “L’ultimo samurai”).
Nel gennaio del 1872 il governo giapponese annunciò l’intenzione di creare una forza armata nazionale, sulla base di quelle esistenti nei Paesi occidentali.
A questo punto i samurai, spogliati dei propri privilegi e dei propri redditi, si videro costretti ad integrarsi nelle maglie del nuovo governo, ma non tutti vollero accettare il cambiamento, così, nel 1874 scoppiarono alcune ribellioni.
Il governo non volle tollerare questi attacchi al nuovo potere, e inviò le nuove armate a sedare le rivolte.
Nel 1876 fu proibito girare armati, se non durante eventi speciali e cerimonie. I samurai, che consideravano le loro spade un simbolo del loro status si risentirono molto della cosa. Fu inoltre proibito di acconciare i capelli con la tipica pettinatura da samurai: il mage.
Nello stesso anno Saigo Takamori, ormai in aperto conflitto con le decisioni prese dal nuovo governo, si demise dal suo incarico, e tornò a Kagoshima, dove fondò una scuola militare in cui affluirono tutti i samurai scontenti della situazione che si era venuta a creare.
Ben presto la situazione divenne insostenibile e il gruppo di Takamori proclamò guerra al governo centrale.
La storia vuole che Takamori fu coinvolto suo malgrado, e proclamato capo delle truppe di ribelli senza essere propriamente convinto di ciò che si stava facendo e preso di sorpresa dalla rapida escalation degli avvenimenti.
Ad ogni modo Saigo organizzò la ribellione militare e mise insieme un’armata di circa 25.000 uomini, cui si aggiunsero strada facendo altri volontari da tutto il paese.
Saigo aveva intenzione di marciare su Tokyo con la sua armata, ma si attardò nel castello di Kumamoto, e le truppe imperiali ebbero il tempo di organizzarsi e sferrare un contrattacco, prendendo d’assalto il castello stesso.
L’assedio finì dopo 54 giorni e le truppe di Saigo furono sconfitte e costrette ad arretrare verso Kagoshima.
Dopo numerose battaglie, Saigo Takamori raccolse un numero ridotto di samurai (circa 300) per l’ultimo confronto sulla collina di Shiroyama, non lontana dal Castello di Kagoshima.
I ribelli erano ormai pochi, esausti ed a corto di cibo e munizioni. Inoltre pioveva da giorni ed i loro vecchi cannoni erano ormai inutilizzabili.
Saigo e i suoi uomini sapevano che non avevano alcuna possibilità e che la loro causa era ormai persa, ma desideravano morire con onore (“Una morte onorabile è preferibile ad una vita di vergogna”).
Si dice che il comandante delle forze imperiali inviò a Saigo una lettera, pregandolo di arrendersi e scongiurare una battaglia che non avevano nessuna speranza di vincere.
La mattina del 24 settembre del 1877, ebbe inizio il bombardamento e fu un massacro annunciato.
Il corpo di Saigo Takamori fu trovato senza vita e con la testa mozzata, segno che egli aveva commesso seppuku.
Il suo coraggio, comunque, lo portò a non essere dimenticato nei secoli, ed ancora oggi Saigo Takamori viene ricordato come un eroe, grazie anche alla riabilitazione postuma (1889) accordatagli dal governo Meiji, con una intelligente mossa strategica.
I 47 ronin
tratto da www.liceoberchet.it
Ronin, letteralmente "Uomini Onda", coloro che non avevano più padrone, sede e legami fissi. Questo tipo di samurai aveva una doppia natura, da una parte era un guerriero errante disposto a lavorare per chiunque lo pagasse, dall'altra poteva arrivare ad unirsi ad altri come lui e creare scompiglio nei villaggi saccheggiandoli e creando confusione. Pur continuando a fare parte dell'elevata casta dei samurai i ronin potevano mettersi al servizio del popolo, insegnando arti marziali e di guerra, facendosi assumere come guardie del corpo (yojimbo), oppure difendendo il villaggio da aggressioni esterne.
Se un samurai uccideva un ronin non doveva temere nessuna vendetta e questo rese i ronin una facile preda dei samurai più potenti, i quali nutrivano anche un certo disprezzo per questi guerrieri erranti.
Durante il periodo Tokugawa i ronin aumentarono considerevolmente, conseguenza della soppressione di molti feudi; per il loro spirito autonomo e bellicoso contribuirono alla disfatta del governo Tokugawa, confermandosi guerrieri abili e temibili persino dal più valoroso e potente samurai.
Nel X secolo il termine ronin andava a indicare i contadini che per evitare tasse troppo onerose abbandonavano le loro terre per trasferirsi in regioni non ancore sottomesse dall'autorità o dai monasteri buddisti.
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I 47 Ronin
Storia dei valorosi d' Ako.
Famosa storia di 47 samurai al servizio di Asano, Signore di Ako. Nel 1701 Asano, oltraggiato da Kira, un nobile della corte dello Shogun di Edo, in un impeto di collera lo ferì all'interno del palazzo shogunale. Per aver violato le regole di corte lo shogun Tokugawa Tsunayoshi costrinse Asano a fare seppuku. Dopo la morte del oro padrone i 47 guerrieri suoi fedelissimi, organizzarono una spedizione punitiva per vendicare il loro Signore, attesero per più di un anno, pianificando l'operazione. Il 14 dicembre 1702 attaccarono la residenza di Kira e lo uccisero senza lasciarsi catturare. Lo shogun però ordino loro di fare seppuku come da legge, il 4 febbraio 1703 i suoi fedeli samurai si riunirono al loro amato padrone.
Furono degli eroi per il popolo, simbolo di lealtà, coraggio e onore. Ogni anno sulla tomba dei "47 ronin", situata nel giardino del Tempio Sengaku-ji a Tokyo, i giapponesi arrivano da tutta la nazione per deporre dei fiori in ricordo del loro eroico sacrificio.
Grazie al cinema, teatro e letteratura questa vicenda è diventata popolare in tutto il mondo, caratterizzando in se stessa il vero spirito del bushido.
Kamikaze IL vento divino
tratto da wikipedia « Voi siete il tesoro della nazione; con lo stesso spirito eroico dei kamikaze, battetevi per il benessere del Giappone e per la pace nel mondo. » |
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(Dalla lettera scritta dall'ammiraglio Takijiro Onishi, principale fautore dei kamikaze, e indirizzata ai giovani giapponesi, prima di suicidarsi il 15 agosto 1945.[1])
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Kamikaze (神風) è una parola giapponese, di solito tradotta come vento divino (kami significa "divinità" — è un termine fondamentale nello shintoismo — e kaze sta per "vento" ka significa inspirare e ze significa espirare[2] ). È il nome dato ad un leggendario tifone che si dice abbia salvato il Giappone da una flotta di invasione Mongola inviata da Kublai Khan nel 1281. In Giappone la parola "kamikaze" viene usata solo per riferirsi a questo tifone. Internazionalmente questa parola viene generalmente riferita agli attacchi suicidi eseguiti dai piloti giapponesi (su aerei carichi di esplosivo) contro le navi alleate verso la fine della campagna del pacifico nella seconda guerra mondiale.
Gli attacchi aerei furono l'aspetto predominante e meglio conosciuto di un uso più ampio di attacchi — o piani — suicidi da parte di personale giapponese, inclusi soldati che indossavano esplosivo ed equipaggi di navi cariche di bombe. In giapponese il termine usato per le unità che eseguivano questi attacchi è tokubetsu kōgeki tai (特別攻撃隊, letteralmente "unità d'attacco speciale"), solitamente abbreviato in tokkōtai (特攻隊). Nella seconda guerra mondiale le squadre suicide provenienti dalla Marina Imperiale Giapponese furono chiamate shinpū tokubetsu kōgeki tai (神風特別攻撃隊), dove shinpū è la lettura-on (cinese) dei kanji che formano la parola "kamikaze".
Dalla fine della seconda guerra mondiale, la parola kamikaze è stata applicata ad una varietà più ampia di attacchi suicidi, in altre parti del mondo ed in altre epoche. Esempi di questi includono Selbstopfer nella Germania nazista durante la seconda guerra mondiale ed attentati suicidi di natura terroristica e militare. L'uso internazionale corrente del termine kamikaze per identificare attentati suicidi di natura terroristica – o di qualsiasi altra natura – non viene adottato dalla stampa nipponica, che invece gli preferisce jibaku tero (自爆テロ), abbreviazione della locuzione anglo-giapponese jibaku terorisuto (自爆テロリスト, "terroristi autoesplodenti").
Seconda guerra mondiale
Situazione
Le forze giapponesi, dopo la loro sconfitta nel 1942 alla battaglia delle Midway avevano perso l'iniziativa che avevano all'inizio della Guerra del Pacifico (conosciuta ufficialmente in Giappone come "Grande Guerra dell'Asia Orientale"). Nel 1943–44 le forze alleate, sostenute dalla potenza industriale e dalle risorse naturali degli Stati Uniti d'America stavano avanzando costantemente verso il Giappone.
I caccia giapponesi erano ormai messi in minoranza e surclassati dai nuovi caccia USA, particolarmente l'F4U Corsair e il P-51 Mustang e, a causa delle perdite in combattimento, i piloti di caccia abili stavano diventando sempre più rari. Infine la scarsezza di parti di ricambio e di carburante rendevano problematiche anche le normali operazioni di volo.
Il 15 luglio 1944, l'importante base giapponese di Saipan venne occupata dalle forze alleate. Ciò rese possibile l'uso dei bombardieri a lungo raggio B-29 Superfortress per colpire direttamente il Giappone. Dopo la caduta di Saipan l'alto comando giapponese predisse che il prossimo obiettivo degli alleati sarebbero state le Filippine, strategicamente importanti per la loro posizione tra il Giappone ed i campi petroliferi del sud est asiatico.
Questa predizione si avverò il 17 ottobre 1944 quando le forze alleate assaltarono l'isola di Suluan iniziando la battaglia del golfo di Leyte. Alla Prima Flotta Aerea della Marina Imperiale Giapponese con base a Manila venne assegnato l'incarico di assistere le navi giapponesi che avrebbero tentato di distruggere le forze alleate nel golfo di Leyte. La Prima Flotta Aerea disponeva di soli 40 aerei: 34 Mitsubishi Zero imbarcati su portaerei, e 3 aerosiluranti Nakajima B6N, 1 Mitsubishi G4M, 2 bombardieri Yokosuka P1Y e un aeroplano da ricognizione. Il compito che dovevano affrontare le forze giapponesi pareva totalmente impossibile. Il comandante della Prima Forza Aerea, il vice ammiraglio Takijiro Onishi decise di formare una "Forza d'Attacco Speciale Kamikaze"; Onishi divenne il "padre dei kamikaze". In un incontro all'aeroporto di Mabacalat (Clark Air Base) vicino a Manila, Onishi che stava visitando i quartieri del 201º Corpo Navale di Volo suggerì: «Non penso che ci sia un'altra maniera di eseguire l'operazione che mettere una bomba da 250 kg su uno Zero e farlo sbattere contro una portaerei per metterla fuori combattimento per una settimana.»
La prima unità kamikaze
Il comandante Asaiki Tamai chiese ad un gruppo di abili studenti di volo che aveva personalmente addestrato di unirsi alla forza di attacco speciale. Tutti i piloti alzarono entrambe le mani, dando pertanto l'assenso ad unirsi all'operazione. Più tardi Asaiki Tamai chiese al tenente Yukio Seki di comandare la forza di attacco speciale.
Si dice che Seki Yukio abbia chiuso gli occhi ed abbassato la testa per dieci secondi prima di chiedere: «La prego di lasciarmelo fare».
Yukio Seki divenne pertanto il 24° pilota kamikaze ad essere scelto.
Dunque, il 20 ottobre 1944 è la data di nascita del reparto kamikaze, formato da 24 piloti del 21º Stormo:
- Unità d'Attacco Speciale Tokkoutai (abbreviazione di Tokubetsu Kougekitai) "Shinu"
- Unità Shikishima (Isola Bella)
- Unità Yamato (Razza Giapponese)
- Unità Asahi (Sol Levante)
- Unità Yama-zakura (Fiori di Ciliegio Selvatico di Montagna)
Questi nomi furono tratti da un poema patriottico (waka o tanka) dello studioso giapponese classico Motoori Norinaga, scritta nel XVIII secolo:
Shikishima no
Yamatogokoro wo
Hito towaba
Asahi ni niou
Yama-zakura bana
(in italiano: Se mi chiedete cos'è l'anima della razza giapponese della bella isola, rispondo che è come fiore di ciliegio selvatico ai primi raggi del sol levante, puro, chiaro e deliziosamente profumato.)
I primi attacchi
Almeno una fonte cita un episodio di aeroplani giapponesi scontratisi con le portaerei USS Indiana e USS Reno a metà del 1944, considerandoli come i primi attacchi kamikaze della seconda guerra mondiale[3], ma le prove che questi scontri fossero intenzionali e non collisioni accidentali, possibili durante intense battaglie aeronavali, sono scarse.
Secondo le testimonianze del personale alleato, il primo attacco kamikaze — nel senso generalmente accettato del termine — non venne eseguito dall'unità di Tamai, ma da un pilota giapponese non identificato. Il 21 ottobre 1944 l'ammiraglia della Marina Reale Australiana, venne colpita da un aeroplano giapponese armato con una bomba da 200 kg (441 libbre). L'aeroplano colpì le sovrastrutture dell'Australia sopra il ponte spargendo carburante e detriti su una vasta area. La bomba non esplose, altrimenti la detonazione avrebbe potuto effettivamente distruggere la nave. Nell'attacco morirono almeno 30 membri dell'equipaggio, incluso l'ufficiale comandante, il capitano Emile Dechaineux; tra i feriti ci fu il commodoro John Collins, comandante della forza australiana.
Il 25 ottobre l'Australia venne colpito nuovamente e forzato a ritirarsi nelle Nuove Ebridi per le riparazioni. Quello stesso giorno cinque caccia Zero condotti da Seki attaccarono una portaerei di scorta: la USS St. Lo. Sebbene solo un kamikaze riuscì a colpirla con efficacia, la bomba a bordo dell'aereo causò un incendio che fece esplodere il deposito bombe, affondando la portaerei. Altri colpirono e danneggiarono altre navi alleate. Poiché molte portaerei americane avevano ponti di volo in legno, furono considerate più vulnerabili agli attacchi kamikaze rispetto alle portaerei britanniche della Flotta Britannica del Pacifico, dotate di ponti in acciaio.
L'Australia ritornò nella zona di combattimento nel gennaio 1945, prima della fine della guerra subì (e sopravvisse) a sei diversi attacchi di kamikaze, con una perdita totale di 86 vite. Tra le navi principali che sopravvissero ad attacchi multipli di kamikaze durante la seconda guerra mondiale, vanno ricordate l'Intrepid e la Franklin, entrambe della classe Essex.
L'ondata principale degli attacchi kamikaze
I primi successi, come l'affondamento della St. Lo portarono ad uno sviluppo immediato del programma e nel giro dei mesi successivi vennero lanciati oltre 2000 attacchi suicidi. Nel computo vanno compresi le azioni di guerra eseguite con le bombe razzo Yokosuka MXY7 Ohka ("Bocciolo di ciliegio", ribattezzata baka: "folle" dagli statunitensi), costruite appositamente per questo scopo, e gli assalti condotti con piccole barche imbottite d'esplosivo, o torpedini guidate dette kaiten.
Gli aerei kamikaze espressamente costruiti come tali, a differenza dei caccia o bombardieri in picchiata convertiti allo scopo, non possedevano meccanismi di atterraggio. Un aeroplano progettato specificamente, il Nakajima Ki-115 Tsurugi, era realizzato con una struttura in legno, semplice da costruire e pensato per utilizzare le scorte di motori rimanenti. Il carrello non era retrattile e veniva sganciato poco dopo il decollo per consentire il riutilizzo con altri aeroplani.
Il picco dell'attività venne toccato il 6 aprile 1945 durante la battaglia di Okinawa, quando varie ondate di aeroplani condussero centinaia di attacchi durante l'Operazione Kikusai (Crisantemi galleggianti). A Okinawa gli attacchi dei kamikaze si focalizzarono all'inizio sui cacciatorpediniere in servizio di protezione e quindi sulle portaerei al centro della flotta. L'offensiva, per cui vennero utilizzati 1465 aeroplani, seminò distruzione: i resoconti delle perdite variano, ma per la fine della battaglia almeno 21 navi americane erano state affondate dai kamikaze, insieme a navi alleate di altra nazionalità e dozzine di altre erano state danneggiate.
L'offensiva comprese la missione di sola andata della nave da battaglia Yamato, che non riuscì a raggiungere le vicinanze dell'operazione perché affondata dagli aerei alleati a diverse centinaia di miglia di distanza (Vedi Operazione Ten-Go).
A causa della scarsità del loro addestramento, i piloti kamikaze tendevano ad essere facili prede per gli esperti piloti alleati, che pilotavano aerei di molto superiori. Anche gli equipaggi navali alleati iniziarono a sviluppare tecniche per neutralizzare gli attacchi dei kamikaze, come sparare con i cannoni navali di grosso calibro nel mare lungo la direzione di attacco, per poterli inondare. Queste tattiche non potevano essere usate contro gli Okha ed altri attacchi veloci portati in picchiata dall'alto, ma quest'ultimi aerei erano più vulnerabili al fuoco antiaereo e ai caccia Alleati.
Nel 1945 l'esercito giapponese iniziò ad accumulare scorte di centinaia di Tsurugi, di altri aerei a propulsione, di Ohka e di navi suicide per fronteggiare le forze alleate, che si aspettavano avrebbero invaso il Giappone. Pochi di essi vennero usati.
L'uso come difesa contro i raid aerei
Quando il Giappone iniziò ad essere soggetto al bombardamento strategico da parte dei bombardieri B-29 Superfortress dopo la cattura di Iwo Jima l'esercito giapponese tentò di usare attacchi suicidi contro questa minaccia.
Comunque questa si dimostrò molto meno fruttuosa e pratica, poiché un aeroplano era un bersaglio molto più piccolo, manovrabile e veloce di una tipica nave da guerra. Aggiungendo a ciò il fatto che il B-29 possedeva un formidabile armamentario difensivo, gli attacchi suicidi contro questo tipo di aeroplano richiedevano un'abilità di volo considerevole per avere successo. Ciò era contrario allo scopo fondamentale di usare piloti sacrificabili e incoraggiare i piloti abili a balzare fuori prima dell'impatto era inefficace causando spesso la morte di personale vitale che calcolava male il tempo di uscita e falliva l'impatto e/o ne restava ucciso.
Effetti
Alla fine della seconda guerra mondiale il servizio aeronautico della marina giapponese aveva sacrificato 2.526 piloti kamikaze, mentre quello dell'esercito ne aveva sacrificati 1.387. Secondo un dato ufficiale, di fonte giapponese, le missioni affondarono 81 navi e ne danneggiarono 195, ammontando (rispetto al conteggio giapponese dei danni inflitti) all'80% delle perdite USA durante le fasi finali della guerra nel Pacifico. Secondo una fonte delle forze aeree americane:
« Approssimativamente 2.800 attaccanti kamikaze affondarono 34 navi della marina, ne danneggiarono altre 368, uccisero 4.900 marinai e ne ferirono oltre 4.800. Nonostante l'allarme dei radar, l'intercettazione in volo ed un massiccio fuoco antiaereo il 14% degli attacchi Kamikaze giungeva fino all'impatto contro una nave; circa l'8,5% delle navi colpite dagli attacchi kamikaze affondò » | |
(Airforcehistory[4].)
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Tradizioni e folklore
L'esercito giapponese non ebbe mai problemi nel reclutare volontari per le missioni kamikaze; in effetti ci fu il triplo di volontari rispetto agli aerei disponibili. In conseguenza di ciò i piloti esperti venivano scartati, in quanto considerati meglio impiegati in ruoli difensivi e di insegnamento. Il pilota kamikaze medio aveva circa 20 anni e studiava scienze all'università. Le motivazioni nell'offrirsi volontario andavano dal patriottismo, al desiderio di portare onore alle proprie famiglie, al mettersi alla prova — in maniera estrema.
Venivano spesso tenute cerimonie speciali, immediatamente prima della partenza delle missioni kamikaze, nelle quali ai piloti che portavano preghiere delle loro famiglie venivano date decorazioni militari. Queste pratiche aiutavano a romanzare le missioni suicide, attraendo pertanto altri volontari. I kamikaze giapponesi inoltre indossavano la nota bandana bianca con dei motivi patriottici disegnati, chiamata hachimaki.
Secondo la leggenda i giovani piloti delle missioni kamikaze spesso volano a sud-ovest dal Giappone sopra il monte Kaimon, alto 922 metri. La montagna è anche detta "Satsuma Fuji" (indicando una montagna bella simmetricamente, come il Monte Fuji, ma situata nella regione di Satsuma). I piloti delle missioni suicide vedevano questo guardandosi alle spalle, la montagna più a sud del Giappone mentre erano in aria, dicendo addio al proprio paese e salutavano la montagna.
I residenti dell'isola di Kikajima, ad est di Amami Ōshima, dicono che i piloti delle missioni suicide lanciavano fiori dall'aria mentre partivano per la loro missione suicida. Presumibilmente le colline sopra l'aeroporto di Kikajima hanno campi di fiordalisi che sbocciano all'inizio di maggio[5].
SAMURAI, tra passato e presente
Novara, Maggio 2012
INTK , in occasione dei campionati mondiali di kendo, in collaborazione con CIK e sotto il patrocinio del comune di Novara, ha organizzato il più esteso e importante evento dalla data della sua istituzione, oltre che il più interessante evento inerente la spada giapponese mai presentato in Italia.
A cavallo di tre fine settimana e durante le intere due settimane, dal sabato 5 Maggio fino a Domenica 27 Maggio, sarà allestita la mostra e nel fine settimana dal 19 al 21 Maggio il maestro Yoshihara condurrà la forgiatura di una katana, a partire da un sunobe, mostrerà la procedura dell 'allungamento della lama, la definizione di tutti i piani e la tempra finale. Nella ambientazione di eccezione del palazzo del Broletto di Novara, nel cortile di pietra medioevale, vedremo pian piano prendere forma all' acciaio grazie al sapiente martello del maestro Yoshindo e quello dei suoi assistenti. La bellezza del palazzo creerà un ambientazione unica, fatta di pozzi di pietra e portoni di legno, balconate e portici che permetteranno di ammirare il tutto dall'alto, molto spazio e una caratterizzazione davvero unica. La mostra è allestita a pochi passi dalla forgia del maestro, nella sala del consiglio del palazzo, antica sede del Com une Medioevale, una sede ricca di fascino storico, dove sono ancora presenti gli scranni di legno medioevali, gli stemmi e le vestigia dell'antica Novara. La mostra vedrà l'esposizione di quasi 50 lame, provenienti dalle collezioni dei nostri soci, e comprenderà alcuni pezzi di rilievo assoluto.
Durante il periodo, e in modo complementare agli altri eventi, Leon Kapp e Massimo Rossi effettueranno diverse dimostrazioni di togi, il restauro e affilatura tradizionale delle lame giapponesi. Nei fine settimana saranno sempre presenti i membri della associazione INTK, che organizzeranno visite guidate, incontri con il pubblico, esposizioni speciali dei pezzi in mostra e altre iniziative, di cui alcuni saranno riservati ai soci e amici di INTK. Inutile sottolineare che questo evento sarà l'occasione per incontrare tutti i più importanti personaggi della spada giapponese in Italia, studiosi, collezionisti, ma soprattutto artigiani, restauratori ed esperti a vario titolo, soci di INTK e non, e sono stati invitati molti amici anche dall'estero.
Visto il molto tempo a disposizione e l'impegno che stiamo rivolgendo a questo evento, saranno sicuramente organizzate iniziative dell'ultimo minuto, quali ad esempio lo studio approfondito di alcune lame dal vivo, guidato dagli esperti presenti, e non mancherà nessuna occasione per un confronto tra tutti i presenti.
Il programma attuale :
– Sabato 5 Maggio ore 16:30 – Inaugurazione mostra INTK, presentazione dei dirigenti e incontro con il pubblico.
– Tutta la settimana – Mostra aperta al pubblico
– Venerdì 18 Maggio – Allestimento della forgia
– Sabato 19 Maggio ore 17 circa – Inizio della forgiatura del maestro Yoshihara: martellatura e allungamento dell'acciaio, tsukurikomi di base.
– Domenica 20 Maggio ore 17 circa – seconda fase della forgiatura, definizione dei piani, tsukurikomi finale.
– Lunedì 21 Maggio ore 18 circa – fasi preparatorie della tempra, stesura dello tsuchioki ; ore 21, – Yaki-ire finale, tempra della lama, fasi di finitura preliminare da parte di togishi presenti e presentazione finale della katana.
– Tutta la settimana – Mostra aperta al pubblico
– Domenica 27 ore 17 – Chiusura della mostra, incontro finale con gli organizzatori.
Per l'accesso alla mostra, il comune richiede il pagamento del biglietto al complesso monumentale del Broletto, che comprende la visita al palazzo, il prezzo comunque è limitato, attorno ai 7 euro ed è convenzionato con numerosi enti come tutti i musei della regione Piemonte.
La dimostrazione del maestro Yoshindo Yoshihara invece, sarà nel cortile, accessibile liberamente al pubblico.
Il programma è ancora molto aperto. Chiunque voglia proporre una iniziativa, organizzare un incontro particolare, o richiedere qualcosa, può contattare direttamente gli organizzatori.
Invitiamo quindi tutti gli appassionati, soci e non, nell'ottica più aperta possibile, a partecipare agli eventi e a vivere tutti insieme questa grande festa e questi eventi unici.
Per qualsiasi informazione è possibile chiedere in questa discussione sul forum, oppure scrivendo direttamente a Simone Di Franco all' indirizzo webmaster@intk.it , a Massimo Rossi all'indirizzo rossi@intk-token.it e agli altri contatti che troverete sul nostro sito internet.
Come sempre, se avete qualsiasi problema per collegarvi al forum o per qualsiasi cosa che riguardi il sito internet di INTK, potete contattarmi all'indirizzo e-mail webmaster@intk.it
Grazie, a presto.
Simone Di Franco
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Kyudo (tiro con l’arco)
KYUDO Il tiro con l’arco giapponese Quella del Kiudo (anche noto come Shado) è considerata, tra le arti marziali giapponesi, la più vicina ed ispirata ai principi della filosofia orientale Zen e della religione Shintoista. Infatti questa pratica, al contrario dello sport del tiro con l’arco, non attribuisce un’importanza fondamentale al risultato conseguito rispetto al bersaglio, bensì all’acquisizione e all’interiorizzazione da parte del soggetto di un insieme di regole di comportamento caratteristiche, orientate alla tolleranza, alla fermezza e all’eleganza teatrale del gesto, rilevabili quindi anche a priori dell’esito del lancio. È quindi principalmente per questo che, indipendentemente dai fini pratici per cui si può centrare o meno l’obbiettivo, il Kiudo prevede un allenamento molto duro e lungo a livello sia fisico sia mentale. Tale disciplina affonda del resto le sue radici nella notte dei tempi, prima per le suggestioni di ambito religioso secondo lo Shintoi giapponese, poi nel contesto in cui nasce la filosofia Zen (con Kamakura dal 1185), secondo la quale il dominio completo della propria concentrazione e della propria corporeità a livello di percezione e di equilibrio psicofisico rappresenta la caratteristica vincente del guerriero, che può dunque aspirare a raggiungere l’agognata "via della verità" (significato letterale del termine Shin- toi). A livello storico sono considerati predecessori di questa attività utilizzata oggi a scopo non bellico, coloro (ad esempio i samurai) che nell’antico Giappone feudale praticavano il Kiu-jutsu (= tecnica dell’arco per la guerra), i quali riuscivano durante i combattimenti a prevenire le mosse degli avversari, grazie alla capacità di isolare in essi, istantaneamente e in maniera fredda, dei particolari rilevanti che permettessero loro il colpo vincente, specchio non solo della propria abilità tecnica ma principalmente della forza dello spirito. Pertanto il Kiudo moderno, denominazione moderna dell’originario Kiu-jutsu (utilizzato principalmente ai fini del combattimento) rappresenta un metodo di sviluppo psicofisico, in cui le sfere motoria e spirituale sono perfettamente equilibrate anche nel contesto di tornei, giochi e cerimoniali di corte, ancora frequentemente organizzati da scuole di antichi natali denominate ryu. Tra gli elementi di maggior fascino della pratica Kiudo figurano le tecniche e l’abbigliamento, rigidamente previsto secondo regole tradizionali: all’eleganza della postura si abbina infatti il vestiario essenziale e sobrio degli arcieri.
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