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Come si sta seduti secondo l’etichetta?

Come sappiamo, nella cultura giapponese si da molta importanza al rispetto delle regole (e dovrebbe essere così anche da noi… n.d.r) e di conseguenza anche lo stare seduti durante i momenti di pausa o saluto nella pratica dell’Aikido ha le sue.

Ricordo Endo Sensei, in un suo stage a cui ho partecipato, durante una spiegazione tecnica riprese in maniera energica e severa un praticante che stava seduto con la schiena appoggiata alla parete e le gambe distese. Dopo averlo rimproverato ribadì che non è ammissibile mancare di rispetto in quella maniera e che anche questo fa parte della pratica dell’Aikido.

Ho trovato in rete un piccolo contributo che mostra le varie forme “ammesse” secondo la linea di studio di Ikeda Masatomi Sensei.

Buona consultazione e come sempre prendiamo spunto di riflessione.

 

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Piegare l’Hakama

E' tradizione, oltre che buona abitudine se si vuol far durare l'Hakama più a lungo, ripiegarla con cura al termine della pratica.

Da noi, non tutti sono avvezzi a questa cosa e per coloro che hanno da poco indossato questo indumento o che si stanno preparando ad indossarlo, di seguito trovate un video che spiega come fare. Come tutte le cose questo è uno dei vari modi per farlo, quindi provate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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REI, il saluto e i suoi significati

 

REI – Il saluto e le quattro Gratitudini

 
Rei (il saluto)
Il primo aspetto della filosofia dell'Aikido, la gratitudine e rispetto, si applica attraverso il "Reigi" (il giusto atteggiamento).

La pratica dell'Aikido inizia e termina con il saluto (Rei). Nel Dojo di Iwama, quando O Sensei era vivo e, dopo la sua morte, sotto la custodia di Saito Sensei, il saluto veniva praticato con il rituale Shintoista. O Sensei esaltava il principio delle quattro gratitudini, queste si possono riconoscere nel rituale del saluto che, anche oggi, nei Dojo di Takemusu Aikido si pratica. 
 

Il primo inchino è rivolto all'universo e all'intero creato, il mondo divino (prima gratitudine), Il secondo inchino è alla natura, mondo animale e vegetale, il mondo in cui viviamo (seconda gratitudine). La doppia battuta di mani e il terzo inchino è rivolto all'attenzione degli antenati, il mondo dell'aldilà (terza gratitudine). Il quarto inchinino, tra maestro e allievi, è rivolto ai propri simili, il mondo dell'umanità (quarta gratitudine)

 
Per capire quale rapporto filosofico-spirituale dobbiamo considerare con questo tipo di cerimoniale, che tradizionalmente non appartiene alla nostra cultura, ho steso un parallelismo tra la parte spirituale predicata da O Sensei e quella che può essere applicata nel nostro Dojo.
 
1 – Gratitudine verso l'universo
E' la gratitudine per il dono della vita. E di riflesso è la gratitudine rivolta  all'intero cosmo.
Nella pratica razionale è rapportato alla gratitudine verso l'ambiente dell'Aikido e del Budo nella sua espressione più costruttiva. 
 
 
2 – Gratitudine verso il nostro mondo e la natura
 
Gratitudine verso il nostro mondo e la natura. Verso il mondo animale vegetale e minerale.
Nella pratica razionale è rapportato alla gratitudine verso l'ambiente di pratica, che comprende persone (praticanti) e luogo (Dojo).
 
3 – Gratitudine verso gli antenati e predecessori
La gratitudine verso i nostri predecessori che, attraverso battaglie, guerre, lotte sociali hanno contribuito al miglioramento dell'umanità.
Nella pratica razionale viene manifestato con la gratitudine verso O Sensei, che ci ha donato l'Aikido.
 
 
4 – Gratitudine verso i nostri simili
Non possiamo vivere senza il sostegno degli altri.
Nella pratica razionale viene manifestato con la gratitudine verso i compagni di pratica. La gratitudine verso coloro che si uniscono nella pratica collettiva e che collaborano per il miglioramento collettivo.

Questi principi trascendono la tradizione dei popoli, con questo spirito possiamo entrare nella logica del rituale del saluto dell'Aikido.

 

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Struttura del DOJO tradizionale

Il Dojo ha una organizzazione definita in quattro aree principali disposte indicativamente secondo i punti cardinali:

  • NORD   Kamiza (“posto d’onore”), che rappresenta la saggezza, è riservato al maestro (“Sensei”)      titolare del Dojo alle spalle del quale è appesa l’immagine del  fondatore (Ueshiba Morihei – O – Sensei) ;
  • EST        Joseki (“posto dei gradi alti”), che rappresenta la virtù, è riservato ai Senpai (compagni anziani in termini di pratica), agli ospiti illustri o in generale agli Yudansha (“cinture nere di grado Dan”);
  • SUD       Shimoza (“posto inferiore”), che rappresenta l’apprendimento, è riservato ai Mudansha (“senza grado Dan”);
  • OVEST  Shimoseki (“posto dei gradi bassi”), che rappresenta la rettitudine, è generalmente vuoto ma all’occorrenza è occupato dai 6° Kyu o Mukyu (“senza grado Kyu”).

 

L'ordine da rispettare è sempre quello per cui, rivolgendo lo sguardo a kamiza, i praticanti si dispongono dai gradi inferiori a quelli superiori, da sinistra verso destra.

Il capofila di shimoza, usualmente il più anziano tra i mudansha, di norma è incaricato del rispetto del Reiho.

 In particolare è incaricato di avvisare i compagni di pratica riguardo: l'assunzione della posizione formale in ginocchio seiza ("posizione formale"), del mokuso ("silenzio contemplativo") e del suo termine yame ("fine"), del saluto al fondatore shomen-ni-rei ("saluto al principale"), del saluto all'insegnante sensei-ni-rei ("saluto al maestro"), del saluto a tutti i praticanti otagai-ni-rei ("saluto reciproco"), e del ritorno alla posizione eretta kiritsu ("in piedi").
Nei dojo tradizionali, inoltre, vi è usualmente uno spazio adiacente alla parete dove vi sono conservate le armi per la pratica dei kata: bokken ("spada di legno"), tanto ("pugnale"), jo ("bastone"); e il nafudakake ("tabella dei nomi"), dove sono affissi in ordine di grado i nomi di tutti i praticanti appartenenti al dojo.

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LA BUONA EDUCAZIONE

 

USANZE GIAPPONESI E BUONE MANIERE

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Vi presentiamo una serie di regole e usanze che vi permetterano di non essere considerati sgarbati o poco rispettosi durante il vostro viaggio in Giappone. Alcuni di questi consigli sono estrememente tenuti da conto e possono essere utili a coloro che vogliono fare bella figura con un partner d'affari giapponese.

 

CIBO E RISTORANTI

  • E' poco educato mangiare o bere mentre si cammina per strada

  • Non mordersi le unghie in pubblico o leccarsi le dita di fronte ai commensali

  • Nei ristoranti viene fornito un tovagliolo umido per pulirsi, ma va utilizzato solo per pulirsi le mani e non faccia e altre parti del corpo.

  • In Giappone è maleducazione versarsi da bere da soli, ognuno versa all'altro.

  • Se non vuoi più da bere, lascia pure il bicchiere pieno.

  • E' buona norma dire "Itadakimasu" prima di mangiare e "Gochisosama deshita" appena finito il pranzo, specialmente se vi viene offerto da qualcuno.

  • Quando si condivide una pietanza, bisogna prendere la propria parte e metterla sul proprio piatto prima di consumarla.

  • Non fare richieste eccessive durante la preparazione del vostro pranzo, e non abbuffarsi mai.

  • Non infilzare mai il cibo con le bacchette, e non usarle MAI per spingere il cibo nel piatto di un'altra persona con la parte che avete messo in bocca, usate l'altra estremità.

  • Non indicare mai qualcuno usando le bacchette.

  • Non lasciare mai le bacchette infilzate nel cibo.

  • E' normale alzare la ciotola di riso o zuppa giapponese fino al mento per evitare di far cadere residui durante il tragitto delle bacchette fino alla bocca.

  • Il cibo tradizionale giapponese viene servito in diversi piattini en ciotole, ed è normale passare da una all'altra senza prima finirle completamente.

  • Mai lasciare il piatto e la tavola in disordine, piegare i tovaglioli in maniera ordinata.

  • Non protarsi a casa decine di tovaglioli, bacchette, spezie da un ristorante come souvenir.

  • Non mettere la salsa di soia sul riso, non è il suo scopo.

  • Non mettere zucchero o latte nel the Giapponese

  • Se ospitate qualcuno offritegli sempre quello di cui potrebbero aver bisogno prima che ve lo chiedano, perchè non lo faranno mai.

  • Cercate di nonusare mai gli stuzzicadenti.

  • E' normale fare rumori quando si mangiano noodles, udon e altri piatti umidi.

  • In giappone il conto si paga di solito alla cassa e non al cameriere, non sono inoltre previste mance.

  • E' considerato rude contare il resto ricevuto al ristorante.
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la cerimonia del thè

 

La diffusione del tè è universale, ma in nessun altro luogo al mondo questa bevanda ha fornito un apporto così sostanziale alla cultura come in Giappone, dove l'atto di preparare e bere il tè (la cerimonia del tè, appunto, o cha no yu , che alla lettera significa semplicemente "acqua calda e tè") ha acquisito un alto significato estetico, artistico e filosofico.
Essa non è un semplice passatempo per conversare di frivoli pettegolezzi o un modo raffinato di dissetarsi. Esprime piuttosto una filosofia di vita. Gli ospiti che intervengono alla cerimonia devono trovare in essa un'oasi di pace e di tranquillità dalle ansie del mondo, dove la mente possa aprirsi a una serena riflessione o meditazione. La cerimonia del tè incarna la ricerca della bellezza del popolo giapponese, la cui raffinatezza si esprime tramite la semplicità e la povertà delle cose. Una tazza di tè per soddisfare l'umano bisogno di serenità.
Le varie scuole differiscono le une dalle altre per i dettagli e le regole, ma mantengono intatta l'essenza della cerimonia che il grande maestro Sen no Soeki detto Rikyu (1522-91) aveva istituito. Quest'essenza è arrivata fino a noi incontestata e il rispetto per il fondatore è uno degli elementi che tutte le scuole hanno in comune.
Egli ha raccolto i principi fondamentali (o virtù) della cerimonia del tè in quattro semplici parole: 

1)  wa, armonia tra le persone e con la natura, armonia degli utensili e la maniera in cui essi vengono usati; 

2)  kei, rispetto verso tutte le cose e sincera gratitudine per la loro esistenza; 

3)  sei, purezza interiore, ma anche nitore e pulizia delle cose che ci circondano; 

4)  jaku, tranquillità e pace della mente, conseguente alla realizzazione dei primi tre principi. 

La base della filosofia della cerimonia del tè è quindi l'armonia con la natura. La cerimonia si svolge solitamente in piccole costruzioni in legno che sorgono all'interno di meravigliosi giardini di aspetto totalmente naturale, con piante fresche, acque e rocce. Gli utensili, le tazze sono in materiale naturale e variano durante i diversi mesi dell'anno per essere sempre in accordo con la stagione.
La cerimonia è caratterizzata da un'estrema semplicità: la casa del tè è quasi spoglia nella sua totale mancanza di arredi e nel suo rigore. Gli utensili, solitamente poco decorati, hanno forme estremamente semplici e funzionali, in linea con il gusto dei giapponesi, che ammirano più il garbato riserbo della vistosa ostentazione. Tutto è semplice, umile, frugale.
La casa del tè è solitamente costruita in legno, bambù e paglia, con finestre e porte costituite da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso; il pavimento è ricoperto da tatami, le stuoie in paglia sono quelle delle tipiche abitazioni tradizionali.
Un vero e proprio rituale guida non solo l'abile tecnica del maestro di cerimonia, che ha studiato per anni e anni, ma anche i gesti degli ospiti intervenuti, che sorbiranno il loro tè seguendo precise regole.
La cerimonia del tè fu anche una rivoluzione della cucina giapponese, con la creazione dello stile kaiseki. Fu Rikyu a chiedere un nuovo e leggero stile di cucina che si armonizzasse con il suo rituale. 
Essendoci diverse scuole, vi sono vari modi di celebrare la cerimonia del tè, ma tutti condividono gli stessi elementi essenziali.
La casa del tè (sukiya) comprende una sala per il tè (chashitsu) e una stanza per la preparazione (mizuya), una sala d'attesa (yoritsuki) e un sentiero (roji) che, attraverso il giardino, porta fino all'ingresso della casa del tè. La casa è generalmente situata in un angolo del giardino particolarmente boscoso.
I principali utensili, generalmente dei veri e propri oggetti d'arte, sono la ciotola per il tè (chawan), il contenitore del tè (chaire), il frullino di bambù (chasen) e il mestolo di bambù (chashaku).
Sono da preferire abiti con colori discreti. Nelle occasioni di grande solennità, gli uomini portano un kimono decorato con lo stemma familiare e le bianche calze tradizionali giapponesi (tabi). Le donne indossano lo stesso abbigliamento. Gli invitati devono portare con sé un piccolo ventaglio pieghevole e un pacchetto di fazzolettini di carta (kaishi).
La cerimonia del tè comprende di solito una prima parte nel corso della quale viene servito un pasto leggero di sette portate (kaiseki), un breve intervallo, il nakadachi, il goza iri che è la parte principale della cerimonia e durante la quale viene servito un tè denso (koicha), e l'usucha durante il quale viene servito un tè meno denso del precedente. Tutta la cerimonia completa dura circa quattro ore; spesso, tuttavia si svolge soltanto l'usucha, il quale richiede al massimo un'ora.
Gli invitati, di solito in numero di cinque, si riuniscono nella sala d'attesa. L'ospite li raggiunge e li conduce per un sentiero attraverso il giardino fino alla sala del tè. Lungo il sentiero vi è una conca in pietra piena d'acqua, dove gli invitati si lavano le mani e si sciacquano la bocca. L'entrata nella sala è così piccola che essi devono superarla in ginocchio, in un attegiamento quasi di umiltà. Nell'entrare nella stanza, che è dotata di un focolare fisso o di un braciere portatile per il bollitore, ciascun invitato si inginocchia davanti al tokonoma e fa un rispettoso inchino. Poi, tenendo il proprio ventaglio pieghevole davanti a sé, egli ammira il kakejiku appeso nel tokonoma; quindi, rivolge nello stesso modo il proprio sguardo verso il focolare o il braciere. Non appena tutti gli invitati hanno terminato di ammirare tutto ciò, prendono posto, a cominciare dall'invitato più importante che prende posto vicino all'ospite. Dopo lo scambio dei convenevoli, viene servito il pranzo con dei dolci per terminare il pasto leggero.
Dietro suggerimento del loro ospite, gli invitati si ritirano e vanno ad aspettare sulla panchina che si trova fuori, nel giardino interno, vicino alla sala del tè.
L'ospite fa suonare il gong sospeso vicino alla sala per indicare che la cerimonia principale sta per iniziare. L'uso vuole che egli colpisca il gong da cinque a sette volte. Gli invitati si alzano in piedi ed ascoltano attentamente; poi, dopo aver ripetuto il rito della purificazione alla vasca piena d'acqua, entrano di nuovo nella stanza. I pannelli di bambù, sospesi all'esterno davanti alle finestre vengono ritirati da un assistente al fine di illuminare l'ambiente. Il kakejiku è sparito e nel tokonoma è stato sistemato un vaso con un ikebana. Il recipiente per l'acqua fresca e la scatola in ceramica del tè sono al loro posto prima che l'ospite entri, portando la ciotola per il tè contenete il frullino di bambù e il mestolo per il tè. Gli invitati guardano e ammirano i fiori e il bollitore come avevano fatto all'inizio della cerimonia.

    L'ospite si ritira nella stanza per la preparazione e ritorna ben presto con il recipiente per l'acqua, il mestolo, e un appoggio per il bollitore o per il mestolo. Asciuga poi la scatola del tè e il mestolo con un telo speciale, chiamato fukusa, e lava il frullino nella ciotola del tè contenente acqua calda presa dal bollitore con il mestolo. Vuota quindi la ciotola, versando l'acqua nel recipiente vuoto che aveva portato in precedenza e l'asciuga con un chakin, un pezzo di tela di lino. Quindi prende la scatola del tè e con l'apposito cucchiaio prende del matcha, tre cucchiai pieni per invitato; poi, prende un mestolo di acqua calda dal bollitore e ne versa circa un terzo nella ciotola e il resto di nuovo nel bollitore. Infine, rimescola con il frullino fino a che non si addensa, diventando come un puré di piselli sia per la consistenza che per il colore. Il tè così preparato si chiama koicha. Il matcha usato proviene dalle giovani foglie di piante di tè che hanno da venti a settanta anni o anche più. L'ospite depone la ciotola al suo posto, presso il focolare o il braciere, e l'invitato più importante si avvicina in ginocchio per prenderla; si china, quindi, davanti agli altri invitati e mette la ciotola sul palmo della sua mano sinistra, sorreggendone un lato con la mano destra. Dopo averne bevuto un sorso, ne loda l'aroma, quindi beve ancora uno o due sorsi. Pulisce il punto della tazza da cui ha bevuto con il kaishi e passa la ciotola al secondo invitato, che beve e asciuga la tazza esattamente nello stesso modo. La ciotola viene così passata al terzo, al quarto e quinto invitato perché tutti possano gustare il tè.

Quando l'ultimo invitato ha finito, porge la ciotola al primo, che a sua volta la restituisce all'ospite.
L'usucha differisce dal koicha nel fatto che il matcha usato proviene dalle giovani foglie di piante che non hanno più di tre o cinque anni. La bevanda che ne deriva è verde e schiumosa. Le regole osservate nel corso di questa cerimonia sono simili a quelle seguite durante quella del koicha, con le seguenti differenze essenziali: il tè viene preparato individualmente per ciascun invitato con due cucchiai o due cucchiai e mezzo di matcha; ogni invitato è tenuto a bere interamente la sua parte; l'invitato pulisce la parte della tazza che ha toccato con le labbra con le dita della mano destra e poi si asciuga le dita con il kaishi. Dopo aver trasportato gli utensili fuori dalla stanza, l'ospite in silenzio si inchina davanti agli invitati, indicando che la cerimonia è finita. Gli invitati lasciano il sukiya accompagnati dal loro ospite. (Adattamento del testo tratto da 
www.nipponico.com, ottimo sito, ricco di articoli sull'universo giapponese).

Al complicato rapporto tra Rikyu e Toyotomi Hideyoshi, uno degli unificatori del Giappone, e alla cerimonia del tè, è dedicato un interessante capitolo del libro "Samurai. Ascesa e declino di una grande casta di guerrieri", di cui consiglio in ogni caso la lettura, per una visione d'insieme della storia del Giappone attraverso le vicende della leggendaria casta dei samurai, qui riportata alla sua realtà documentabile. Allo stesso soggetto è ispirato anche il romanzo "Il maestro del tè".


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Hakama

 

L' Hakama: cosa è e come lo si indossa
L'HAKAMA è un tipo di pantalone, simile ad una gonna, che indossano alcuni
praticanti d'Aikido. Tradizionalmente era indossato dai Samurai. L'uniforme standard
indossata nelle lezioni di Karate, Judo, dai gradi più bassi dell'Aikido ed in generale in
tutte le arti marziali giapponesi, costituiva generalmente la biancheria.
In origine, l'hakama era indossato come ulteriore capo d'abbigliamento per proteggere le
gambe del Samurai a cavallo da cespugli, erbacce ecc. (simile alle protezioni di cuoio
usate dai cowboys). In Giappone, poiché la pelle era difficile da reperire, venne
sostituita da stoffa pesante. Dopo il passaggio dei Samurai da soldati a cavallo a fanteria,
continuarono a portare l'hakama, soprattutto come fattore di distinzione, dato che li
rendeva facilmente identificabili.
Saito Sensei racconta una storia circa gli hakama, relativa al primo periodo dell'Hombu
Dojo:
Molti degli studenti erano troppo poveri per comprare un hakama, ma era richiesto che
ognuno lo indossasse. Se uno studente non ne poteva prendere uno da un parente più
anziano, allora rimuoveva la stoffa di un vecchio futon, lo tagliava, lo tingeva e lo
trasformava in un hakama. Poiché le tinte che venivano usate erano assai economiche, il
disegno colorato del futon avrebbe cominciato presto a comparire attraverso la tinta.
L'Hombu Dojo era un posto molto colorato, con tutti i vari colori degli hakama. I colori
tradizionali degli hakama non erano infatti soltanto tinte unite. I materiali usati spesso
avevano motivi cuciti e stampati.
Nella maggior parte delle scuole di Aikido dei giorni nostri, l'hakama è riservato agli
yudansha (studenti che hanno raggiunto la cintura nera). Poche scuole permettono a tutti
i praticanti di indossarne uno, mentre alcune scuole permettono alle donne di indossarlo
molto prima degli uomini ( uesto è attribuibile al pudore delle donne, dato che il gi era
originariamente biancheria).
L'hakama ha sette pieghe, cinque davanti e due dietro, che hanno il seguente significato
simbolico:
1. Yu ki – coraggio, valore
2. Jin – umanità, benevolenza
3. Gi – giustizia, correttezza, integrità
4. Rei – etichetta, cortesia, civiltà (obbedienza)
5. Makoto – sincerità, onestà
6. Chu gi – fedeltà, devozione
7. Meiyo – onore, dignità prestigio
Oppure secondo la tesi delle 5 pieghe
CHU lealtà
KO pietà filiale
JIN umanità benevolenza
GI senso dell’onore
REI rispetto e gratiudine
E per le 7 pieghe si aggiunge
CHI saggezza conoscenza
SHIN sincerità
MAKOTO (cioè la piega dietro) è la verità e sincerità del comportamento
 
 
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Comportiamoci bene

Ricordo di aver letto su qualche libro, che la prima volta che un alievo anziano suggerì ad O-Sensei di affiggere un regolamento sul comportamento da tenere nel Dojo, questi esclamò sconsolato: "A che punto siamo arrivati…".

Ma tant'è che, purtroppo, dovunque ci volgiamo intorno oggigiorno, vediamo esempio eclatante di menefreghismo e maleducazione.

Ma come ci si comporta (o comportava…) in un Dojo tradizionale? Vediamo…

ETICHETTA DEL DOJO                

by Canetti G.

 

IL DOJO

Le Arti Marziali si distinguono dai comuni sport in diversi aspetti, due dei quali sono la disciplina e il modo di comportarsi in palestra. L'apprendimento di un'Arte Marziale è diverso da un normale corso di studi, che ha un termine. L'Esercizio della via del combattimento (Budo) inizia ma non finisce mai.

L'ambiente dove ci si allena si chiama Dojo. Dojo è il luogo in cui si pratica la via. Come si può intuire, non è una semplice stanza, ma un posto dove deve regnare tranquillità e rispetto. Nel dojo, solitamente ci sono uno o più tatami, che sono delle materassine in paglia o altro materiale; hanno la caratteristica di essere molto solide e quindi ci si può camminare come se si fosse per strada, ma attutiscono le cadute.

L'esercizio della via migliora nel contenuto e assume maggiore chiarezza se tra l'allievo (deshi) e il dojo si instaura un legame sincero. Il termine dojo si riferisce alla sala in cui si svolgono le esercitazioni, ma rappresenta simbolicamente la profondità del rapporto tra la persona che si esercita e la sua arte.

Il termine deriva dal buddismo e indicava, in origine, un luogo riservato alla meditazione e alla ricerca di se stessi; in seguito è passato a designare quello in cui ci si esercitava nelle arti marziali. Il senso tuttavia, è rimasto lo stesso: per ogni studente serio, il dojo è ancora oggi un luogo di meditazione e concentrazione, degno di essere onorato, riservato allo studio, alla fratellanza, all'amicizia e al rispetto reciproco. E' più di un semplice concetto: rappresenta simbolicamente la via dell'arte marziale.

In ogni dojo ci sono un maestro (sensei) e diversi allievi esperti (sempai), alcuni dei quali sono anche maestri.

Questo può bastare ai più, ma per un marzialista vero, il Dojo è ovunque, non c' è limite al concetto di Dojo, non ci sarà quindi limite al suo giusto comportarsi.


 

REIGI (etichetta del DOJO)

Normalmente, si lasciano le scarpe nello spogliatoio o, nelle palestre più formali, addirittura all'ingresso, e si usa un paio di ciabatte (zori) per arrivare fino al tatami. Quando si entra o si esce dal tatami, ci si rivolge verso il centro del tatami o verso il Maestro, se presente, e si esegue il saluto in posizione eretta.

All'inizio ed al termine della lezione il maestro fa disporre tutti gli allievi in fila. Gli allievi si devono mettere in ordine di grado rivolti verso il maestro.

Il sempai di turno comanderà il seiza (seduti secondo il metodo tradizionale giapponese). Gli allievi udito il comando dovranno, uno dopo l'altro in ordine di grado, mettersi in seiza per il saluto.

Solo al termine della lezione, e non obbligatoriamente, in posizione di seiza, il sempai comanderà il mokuso.

MOKUSO (occhi chiusi per la meditazione)
MOKUSO-YAME (finisce la meditazione e si riaprono gli occhi)

Talvolta, durante il mokuso, si recita il DOJO KUN con il seguente criterio:
il Sempai recita ad alta voce i principi del dojo uno per uno e gli altri allievi li ripetono ad alta voce.

I principi sono i seguenti:
HITOTSU, JINKAKU KANSEI NI TSUTOMURU KOTO
(cerca di perfezionare il carattere)
HITOTSU, MAKOTO NO MICHI O MAMURU KOTO
(percorri la via della sincerità)
HITOTSU, DORYOKU NO SEISHIN O YASHINAU KOTO
(rafforza instancabilmente lo spirito)
HITOTSU, REIGI O OMONZURU KOTO
(osserva un comportamento impeccabile)
HITOTSU, KEKKI NO YU O IMASHIMURU KOTO
(astieniti dalla violenza e acquisisci l'autocontrollo).

pronuncia :
gincacu canseini sutomurokoto
gincacu macoto no mici o mamorukoto
gincacu dorioku no seiscin o iascinaokoto
gincacu reighi omonzurokoto
gincacu checchi no iuo imashimerukoto

Liberati dal mokuso (dopo circa 5/10 secondi) con MOKUSO YAME il Sempai inizia il saluto:

  • a) SHINZA NI REI  (in avanti, rivolto al maestro fondatore)
  • b) SHOMEN NI REI (in avanti, rivolto al maestro fondatore)
  • SENSEI NI REI (rivolto all'istruttore del Dojo)
  • OTAGAI NI REI (tra gli allievi sempre rivolti in avanti).

(a): da effettuarsi SOLO quando è presente l’immagine del Capo Scuola
(b): da effettuarsi quando NON è presente l’immagine del Capo Scuola

N.B. Nella disposizione per il saluto, i Sempai presenti si posizionano lateramente al Maestro. Le enunciazioni dei comandi sono effettuate dal capofila. Al comando “Sensei Ni Rei”, mentre ci si inchina per il saluto si dice anche “DOMO ARIGATO SENSEI”. Per l’enunciazione del comando “Kiritsu”, prima si attende che Maestro sia definitivamente uscito dal tatami, e poi che tutti i Sempai , dopo essersi inchinati di nuovo uno ad uno, siano già tutti in piedi.

Ecco l'intera sequenza del saluto.

Successivamente il SEMPAI comanderà il KIRITZU (in piedi) e solo a questo punto gli allievi potranno alzarsi per iniziare o terminare la lezione.

Quando si entra nel dojo e quando si esce per qualsiasi ragione, l'etichetta prevede che si saluti (se presenti) il maestro ed i compagni o, comunque, il dojo stesso con un breve inchino stando in piedi con le braccia lungo i fianchi, talloni uniti e punte dei piedi divaricate a 45 gradi.

Se si arriva in ritardo all'allenamento, ci si mette in SEIZA rivolti verso il maestro e si attende il suo saluto, a quel punto si esegue il saluto tradizionale e si entra.
Puntualità come primo segno di rispetto, arrivare per tempo alla palestra per potersi cambiare, senza eccessiva fretta, avendo così il tempo per iniziare a preparare il "vuoto mentale" necessario per apprendere.

Abbigliamento e cura del corpo, il keikogi deve essere a posto, la cintura (obi) correttamente allacciata, i piedi e le mani puliti, nessun fronzolo può essere indossato (via quindi braccialetti, orologi e quant’altro inutile, questi oggetti possono procurare ferite a se e agli altri). I capelli se lunghi vanno raccolti.

Se il riscaldamento vero e proprio (Aikitaisho) non è iniziato sono opportuni brevi esercizi di allungamento individuali per prepararci, evitando che il naturale parlare con il compagno diventi gazzarra.

Quando entra il Maestro, silenzio, la lezione inizia e non deve essere interrotta inutilmente, gli allievi anziani siano sempre disponibili a guidare i giovani con brevi e precisi suggerimenti. E' auspicabile che ognuno dia esempio per far crescere tutti.

Se si deve abbandonare l'allenamento prima del termine, si chiede il permesso al maestro poi, passando dietro a tutti, e mai davanti, ci si porta verso l'uscita, ci si mette in SEIZA rivolti verso il maestro e si attende il suo saluto: a quel punto si esegue il saluto tradizionale e si esce.


 

Formule più utilizzate:

 

Giapponese

Significato

Arigato gozai mashita
(abbr.: Arigato gosai-mas)

molte grazie

Do-itashi-mashite

Benvenuto

Sumi-masen

Scusi

Ohio Gozaimasu

Buon giorno

Konnichiwa

Buon pomeriggio

Konbanwa

Buona notte

Hai

Si

Ii-e

No

Se avete Real Player, trovate altre formule con la pronuncia (audio) su "Learn Japanese Today"

Numeri

 

Numero

Giapponese

Pronuncia

uno

ichi

ic

due

ni

ni

tre

san

san

quattro

yon/shi

yon/shi

cinque

go

go

sei

ro-ku

roku

sette

na-na

nana

otto

ha-chi

hachi

nove

kyu

ku

dieci

ju

ju

11-19

si accoppiano i numeri (11->ju-ichi, 12 ju-ni)

 

20,30..100

si "moltiplica" (20=2*10->ni-ju, 30=3*10->san-ju)

 

100

hya-kyu

yah-koo

200

ni-hya-kyu

 

1000

sen

 

Classificazione tramite dan:

 

Nome

Dan

Shihan

(5° – 7° dan)

Sensei

(3° o 4° dan)

Sempai

(1° o 2° dan)

 


 

Sequenza del saluto in forma cerimoniale (Zarei):

 

Si parte dalla posizione in piedi (ritsurei)

 

Si scende, senza ondeggiare, prima con la gamba sinistra.

 

Si mette a terra anche l'altro ginocchio; siamo ancora in punta dei piedi. Nel successivo movimento, il dorso dei piedi verrà poggiato a terra.

 

Ci si siede sui piedi. La schiena è diritta. Le mani sono lungo le cosce e mai sulle ginocchia.

 

Inizia il saluto. Con le mani (prima la sinistra) andremo a formare un triangolo.

 

 

Si compie il saluto, senza alzare il sedere. Segue tutta la manovra a ritroso.

 

 

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