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la musica tradizionale del sol levante

Con il termine musica giapponese si indicano i diversi generi praticati in Giappone, sia di origine autoctona che straniera. Il termine musica in giapponese moderno è 音楽 (ongaku), ottenuto combinando l'ideogramma 音 (suono) con l'ideogramma 楽 (musica, piacere)
Il taiko è considerato un semplice ma spirituale strumento

  

Le caratteristiche

Fuori dal Giappone si ha una opinione particolare della musica popular giapponese: essa è considerata una sorta di bubblegum pop, composto da canzoni con un miscuglio di testi in giapponese e di ritornelli in un inglese incomprensibile. Le pop star di questo genere musicale (aidoru kashu in giapponese), generalmente giovani attraenti, formano band di ragazzi e gruppi di ragazze. Il compositore di canzoni John Clewley ha descritto la produzione dei riferimenti urbani agli stili popolari del kayokyoku e dell'enka, dalla musica classica occidentale al jazz e ad ogni forma di musica pop occidentale.

La musica tradizionale giapponese (hōgaku) è sempre stata collegata ai rituali, alla letteratura ed alla danza del Paese. La musica per il teatro è un settore molto rilevante nella tradizione giapponese. La musicologa Isabel Wong attribuisce all' "amore dei giapponesi per la narrazione il rituale della loro musica classica" e sostiene che i giapponesi sarebbero molto più attenti alle parole che alla musica.
Musica classica
Noh è normalmente accompagnato da musica, uta (謡) e hayashi (囃子)

In Giappone esistono innumerevoli generi di musica classica come lo shōmyō (声明), la musica buddista salmodiata, e il gagaku (genere musicale) (雅楽), genere di musica orchestrale, di corte entrambe risalenti ai periodi Nara e Heian. Tra i generi successivi, va ricordato il sankyoku, per shamisen, koto e shakuhachi, codificatosi nel periodo Edo.

Il gagaku viene eseguita alla corte imperiale sin dal periodo Heian. Il tōgaku (唐楽) e il komagaku (高麗楽) sono musiche originarie della dinastia cinese Tang e della Corea. In altri termini la musica di quel periodo si suddivide in kangen (musica strumentale) e bugaku (danze accompagnate da gagaku). Kagurauta (神楽歌), azumaasobi (東遊) e yamatouta (大和歌) sono musiche relative a repertori indigeni.

Originarie dei primi anni del XIII secolo sono gli honkyoku ("pezzi originali"). Questi erano composizioni solistiche come gli shakuhachi pezzi suonati da mendicanti, seguaci della setta Fuke (monaci appartenenti a una setta dello Zen) e monaci Zen. I monaci fuke, detti komusō ("monaci del Nulla"), suonavano il honkyoku per chiedere l'elemosina. La setta fuke cessò di esistere nel XIX secolo, ma alcune trascrizioni dei loro honkyoku vengono ancora eseguiti nei concerti di musica classica giapponese.

Il teatro è molto sviluppato in Giappone sin dai tempi più remoti. Il teatro noh o del nō (能) nasce da varie tradizioni prototeatrali nel XIV secolo e si sviluppa in un'arte molto raffinata. Esso raggiunse il più alto livello con i lavori di Kan'ami (1333-1384) e Zeami (1363 ?-1443). In particolare Zeami compose il nocciolo del repertorio nō e scrisse dei trattati che hanno aiutato a comprendere i segreti della tradizione (fino all'era moderna questi non erano ancora stati decifrati).

Un'altra forma di teatro è quella delle marionette, conosciuta come bunraku (文楽). Questo teatro ha le sue radici nelle tradizioni popolari fiorite nella classe sociale dei chōnin del periodo Edo (1600 – 1868). Esso è accompagnato da recitazione (vari stili di jōruri) e musica strumentale (shamisen).

Durante il periodo di Edo, gli attori (dopo il 1629 solamente uomini; dopo il 1652 solo maschi adulti) rappresentano il teatro kabuki (歌舞伎). Il kabuki che poteva essere costituito da ricostruzioni storiche o danze, era spesso accompagnato da canti in stile nagauta e dallo shamisen (strumento a corde della famiglia del liuto).
Biwa hōshi, Heike biwa, e mōsō

Il biwa, liuto dal manico corto, era suonato da suonatori itineranti chiamato biwa hōshi, che lo usavano per accompagnarsi durante la narrazione di storie. La più famosa di queste storie è Il racconto di Heike (Heike monogatari), una storia del XII secolo che narra del trionfo del clan Minamoto sui Taira. Il canto dello Heike monogatari è noto come heikyoku. I biwa hōshi cominciano ad associarsi fra loro creando una corporazione detta tōdō nei primi anni del XIII secolo. Questa associazione ebbe il controllo di gran parte della musica nell'intero Giappone.

Oltre questi, numerosi piccoli gruppi di musicisti itineranti ciechi si erano costituiti specialmente nell'isola di Kyūshū. Questi musicisti, conosciuti come mōsō (monaci ciechi), cantano una varietà di musiche religiose e semi-religiose, finalizzate all purificazione della casa e augurando buona salute e fortuna ai suoi abitanti. Essi inoltre avevano un repertorio di tipo profano. Il biwa che essi suonavano era molto più piccolo del Heike biwa suonato dai biwa hōshi.
Taiko

Taiko è il termine generico giapponese per indicare i tamburi. Ne esistono varie tipologie, e sono usate per suonare una varietà di generi. I tamburi sono divenuti particolarmente popolari negli anni recenti come elemento centrale di complessi che eseguono versioni arrangiate di musiche popolari. Tale musica neotradizionale viene eseguita da grandi complessi di tamburi chiamati kumidaiko. Le origini dei tamburi in Giappone sono incerte, ma possono essere verosimilmente indicate fra il VI e il VII secolo per merito di una statuetta di argilla dell'epoca che riproduce un tamburo. Il taiko, in quel periodo, veniva usato durante le battaglie per intimidire i nemici e per inviare comandi. Esso continua ad essere usato anche ai giorni nostri nella musica religiosa del buddismo e dello shintoismo. In passato i suonatori di taiko erano dei religiosi, che suonavano soltanto in occasioni speciali ed in piccoli gruppi, ma al giorno d'oggi uomini laici, raramente donne, suonano il taiko in feste religiose come la danza bon.

I gruppi moderni di taiko (kumidaiko) si dice siano stati inventati da Daihachi Oguchi nel 1951. Lo stile molto potente di questo strumento rese il gruppo molto famoso in tutto il Giappone e rese la regione di Hokuriku il centro della nuova musica per taiko. Musicisti divenuti famosi con questo genere sono Sukeroku Daiko Seido Kobayashi. Nel 1969 fece la sua comparsa il gruppo Za Ondekoza, fondato da Tagayasu Den. Za Ondekoza riunì un gruppo di giovani musicisti che intendeva riprendere la tradizione del taiko e intraprendere un nuovo stile di vita. Nel corso degli anni settanta il governo giapponese stanziò dei fondi per conservare la cultura tradizionale; come conseguenza vennero fondati molti gruppi di kumidaiko. Verso la fine del XX secolo tali gruppi si sono diffusi nel mondo, in particolare negli Stati Uniti. Ora esiste anche un video game dal titolo Taiko Drum Master basato sulla taiko.
Yukar

La minoranza etnica del popolo Ainu, abitanti il nord del Giappone, pratica lo yukar, una forma di poema epico. Le storie narrate generalmente sono incentrate su Kamui, il dio della natura e Pojaumpe, un orfano guerriero.

Min'yō: Musica folklorica
Una donna giapponese con il suo shamisen, 1904

Le canzoni folkloriche giapponesi, min'yō, possono essere raggruppate e classificate in molti modi. Un classifiaczione molto diffusa le suddivide in quattro grandi categorie: canzoni sul lavoro, canzoni religiose, canzoni per l'intrattenimento, come nei matrimoni, funerali e feste, e canzoni per bambini.

I cantanti possono essere accompagnati dal liuto a tre corde, lo shamisen, tamburi ed il flauto dritto in bambù detto shakuhachi. Altri strumenti che possono fare da accompagnamento sono il flauto traverso shinobue, un gong e un tamburo a clessidra. Ad Okinawa, lo strumento principale è il sanshin. Questo è uno strumento tradizionale da cui deriva il giapponese shamisen. Strumenti elettronici come chitarre elettriche e sintetizzatori vengono usati regolarmente quando i cantanti di enka (genere musicale giapponese) cantano le canzoni min'yō.

La musica ondo è costituita da canzoni folkloriche con uno swing che può essere paragonato ad un tempo di 2/4. Una bushi è una canzone dalla melodia ben determinata. Il suo nome significa "sezione o nodo". Il nome non è quasi mai usato da solo ma viene premesso da un termine riferito ad una occupazione, luogo o nome di persona. Bon uta, come il nome stesso dice, sono canzoni per la festa delle lanterne dei morti. Le komori uta sono delle ninna-nanna. I nomi delle canzoni min'yō spesso contengono termini descrittivi, quasi sempre alla fine. Ad esempio: Kushimoto-bushi, Hokkai bon uta, Itsuki no Komoriuta…

Molte di queste canzoni sono caratterizzate dai cosiddetti kakegoe. I kakegoe sono delle grida ritmiche, nei min'yō spesso eseguite da un secondo cantante. Vi sono diversi tipi di kakegoe che variano da regione a regione. Ad Okinawa, per esempio, si usa l'interezione "ha iya sasa!". Nel Giappone continentale (nelle isole maggiori), è più facile udire "a yoisho!", "sate!", o "a sore!". Altri possono essere "a donto koi!" e "dokoisho!" Recentemente il sistema tradizionale detto iemoto, è stato applicato ad alcune forme di min'yō. Questo sistema era stato sviluppato per trasmettere i generi classici come nagauta, shakuhachi o koto, ma essendo stato ritenuto molto efficiente dagli insegnanti e gradito agli allievi che intendevano ottenere certificazioni di profitto e di valore artistico, ha consentito la diffusione del genere min'yō e di altre forme di musica che erano tradizionalmente trasmesse più informalmente. Al giorno d'oggi alcuni min'yō sono appannaggio di questa organizzazione pseudo-familiare e un lungo apprendimento è abbastanza usuale.

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La testimonianza di un Seppuku

Testimone di un seppuku: tratti dal sito,ICHI DO – una via: KEN no KAMAE – tre posizioni – tre fondamenti
Nel 1868 un gentiluomo inglese, Lord Redesdale, in qualità di segretario del Consolato Britannico in Giappone, ebbe l'occasione di assistere su invito e come testimone, in quanto coinvolto nel fatto come rappresentante degli inglesi, alla cerimonia di Seppuku, il rituale suicidio dei nobili e Samurai Giapponesi.

Nel febbraio del 1868 accade che un gruppo di soldati giapponesi, agli ordini di Taki Zenzaburo, un Samurai al servizio del principe di Bizen, sparasse contro un accampamento di stranieri, di nazionalità mista. In quegli anni accadeva che stranieri nel suolo Giapponese interferissero nelle dispute tra lo Shogun (capo supremo dell'esercito) e l'Imperatore del Giappone. Per circostanze non chiare Taki Zenzaburo ordinò di sparare sul gruppo di stranieri causandone la morte di alcuni. Il fatto avvenne presso la città di Kobe (allora chiamato Hiogo). Gli venne pertanto ordinato di fare Seppuku.

Lord Redesdale fu il primo straniero in assoluto ad assistere ad un rituale di suicidio e narra l'episodio nel suo volume “racconti dal Giappone”.

Ne riporto i punti salienti:

I preparativi
Come testimone di una cerimonia di Hara Kiri (termine popolare per definire il Seppuku), posso descriverne lo svolgimento. La persona condannata era Taki-Zenzaburo, un Ufficiale Samurai del Daimyo (principe) di Bizen. Il Samurai condannato era stato giudicato responsabile della strage contro un accampamento straniero avvenuto nel febbraio 1868.

La cerimonia, ordinata dal Mikado in persona, ebbe luogo alle ore 22,30 nel Tempio di Seifukuji, nel quartier generale dell'esercito di Satsuma a Hiogo (attuale Kobe).

Ogni delegazione straniera era rappresentata da uno straniero, per un totale di sette testimoni stranieri. Erano accompagnati dai Samurai della principessa di Satsuma e Choshu. La cerimonia si svolgeva in privato. Alle porte del Tempio comunque, si accalcò una numerosa folla.

 

Il cortile del Tempio era molto pittoresco, molti soldati stazionavano all'interno attorno a grandi fuochi, che illuminavano le grotte situate nel luogo sacro.

Fummo introdotti in una sala dove aspetammo assieme ad alti Ufficiali giapponesi.
Dopo un lungo intervallo di tempo, reso ancora più lungo dal silenzio che regnava, arrivò Ito-Shunsuke, vice governatore di Hiogo, che prese i nostri nominativi e ci informò che sarebbero stati presenti altri sette Samurai “Kenshi” (ispettori di corpo giapponesi), un numero pari ai testimoni stranieri.

Il vice governatore Ito-Shunsuke quindi chiese se qualcuno volesse fare qualche domanta al condannato, ma nessuno fece richiesta. Dopo un altro lungo periodo di attesa fummo invitati a seguire i Kenshi nella sala principale “hondo” del Tempio, dove si sarebbe svolta la cerimonia.

Era una sala grande con colonne in legno e un alto soffitto sempre in legno, con grandi lampade dorate, Sul un lato era disposto un altare con il pavimento ricoperto da splendidi tappeti bianchi, mentre l'altare era coperto da un feltro rosso. Numerose candele erano disposte nella sala e diffondevano una luce attenuata, appena sufficente ad illuminare l'ambiente. I sette Kenshi si sistemarono alla sinistra degli scalini dell'altare, i testimoni stranieri a destra. Non erano presenti altre persone come testimoni o spettatori.

I preliminari
Dopo alcuni minuti entrò un uomo vigoroso, di circa 32 anni di età, dall'aria nobile, coperto da un grande mantello bianco, che seppi veniva usato solo per grandi occasioni. Si trattava del Samurai Taki-Zenzaburo, il condannato.
Era accompagnato da un “Kaishaku” e da tre Samurai vestiti in abiti da guerra, di stoffa dorata.
Lo “kaishaku” non è da considerarsi come il boia europeo. Egli aveva l'incarico di tagliare la testa del condannato subito dopo il taglio dell'addome. Era considerato un grande onore essere richiesto per tale funzione, e molte volte si trattava dell'amico più caro del condannato o di un parente.

In questo caso il Kaishaku era un allievo di Taki-Zenzaburo, che era stato scelto dagli amici del condannato per la sua abilità e precisione nell'uso della spada.

Taki-Zenzaburo, con il Kaishaku alla sua sinistra, si rivolse verso i testimoni Giapponesi con un rispettoso e solenne inchino da seduto, i Kenshi risposero con un solenne inchino, poi si rivolse a noi e ci salutò allo stesso modo.

Lentamente il condannato salì gli scalini e di fronte all'altare si inchino per due volte, con le mani giunte battè per tre volte e fece un altro inchino, poi si girò e fece un ultimo saluto verso di noi. Il Kaishaku si trovava alle spalle a sinistra del nobile Taki-Zenzaburo.

Uno dei tre Samurai vestiti di guerra avanzò poggiando davanti al condannato un cuscino dorato usato per le grandi offerte, sopra il cuscino poggiava una spada corta chiamata “Wakizashi” (la spada compagna), tagliente come un rasoio.

Questa spada gli venne consegnata con molti inchini e accettata dal condannato con grande rispetto, che la portava alla fronte inchinandosi più volte, poi la posò a terra davanti a lui.

La dichiarazione
Giunti a questo punto Taki-Zenzaburo prese la parola, la voce tradiva una certa emozione come del resto ci si poteva aspettare data la situazione, ma dall'aspetto esteriore non traspariva niente dello stato d'animo.

“Io, e solo io, ho dato l'ordine senza averne il potere, di sparare sugli stranieri a Kobe, mentre tentavano di fuggire. Per questo orrendo crimine io mi ucciderò, e vi prego di farmi l'onore di essere presenti quali testimoni”

Quindi si inchinò profondamente verso i testimoni e si tolse parte dei suoi vestiti rimanendo a torso nudo, fino alla cinta, e utilizzando i vestiti tolti ripiengandoli con cura e ponendoli sotto le proprie ginocchia affinchè, in tal modo, non potesse cadere all'indietro poiché un Samurai deve cadere sempre in avanti. Poi, deliberatamente, con la mano ferma prendeva la corta spada che aveva posto avanti a lui. La guardava a lungo, quasi con affetto, come se volesse fissarvi i propri pensieri per l'ultima volta.

Seppuku
Si conficcava quindi la spada nel fianco sinistro, tirandola poi in alto verso il fianco destro. Durante questa operazione, senz'altro molto dolorosa, il viso del guerriero non tradiva alcun segno di dolore.

Mentre estraeva la spada dal proprio ventre si chinava in avanti e allungava il collo. Per la prima volta notai che aveva un'espressione di dolore senza però emettere alcun lamento.

In quel preciso momento il Kaishaku, che era stato fino ad allora in ginocchio, si alzò di colpo, alzo la spada lunga sopra la propria testa, poi con severo fendente separò la testa dal corpo con colpo netto.

"in quale altra parte del mondo si insegna all'uomo che l'ultimo tributo di affetto che può rendere al miglior amico è quello di essere l'esecutore della sua morte?"

Il Kaishaku e tutti i Samurai presenti quindi si inchinarono. Poi il Kaishaku poggiò la spada su una ampio foglio bianco e la consegnò ad uno dei Samurai presenti perché venisse portata via in modo solenne e venisse mostrata alla folla come prova dell'avvenuta esecuzione.
 

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REI, il saluto e i suoi significati

 

REI – Il saluto e le quattro Gratitudini

 
Rei (il saluto)
Il primo aspetto della filosofia dell'Aikido, la gratitudine e rispetto, si applica attraverso il "Reigi" (il giusto atteggiamento).

La pratica dell'Aikido inizia e termina con il saluto (Rei). Nel Dojo di Iwama, quando O Sensei era vivo e, dopo la sua morte, sotto la custodia di Saito Sensei, il saluto veniva praticato con il rituale Shintoista. O Sensei esaltava il principio delle quattro gratitudini, queste si possono riconoscere nel rituale del saluto che, anche oggi, nei Dojo di Takemusu Aikido si pratica. 
 

Il primo inchino è rivolto all'universo e all'intero creato, il mondo divino (prima gratitudine), Il secondo inchino è alla natura, mondo animale e vegetale, il mondo in cui viviamo (seconda gratitudine). La doppia battuta di mani e il terzo inchino è rivolto all'attenzione degli antenati, il mondo dell'aldilà (terza gratitudine). Il quarto inchinino, tra maestro e allievi, è rivolto ai propri simili, il mondo dell'umanità (quarta gratitudine)

 
Per capire quale rapporto filosofico-spirituale dobbiamo considerare con questo tipo di cerimoniale, che tradizionalmente non appartiene alla nostra cultura, ho steso un parallelismo tra la parte spirituale predicata da O Sensei e quella che può essere applicata nel nostro Dojo.
 
1 – Gratitudine verso l'universo
E' la gratitudine per il dono della vita. E di riflesso è la gratitudine rivolta  all'intero cosmo.
Nella pratica razionale è rapportato alla gratitudine verso l'ambiente dell'Aikido e del Budo nella sua espressione più costruttiva. 
 
 
2 – Gratitudine verso il nostro mondo e la natura
 
Gratitudine verso il nostro mondo e la natura. Verso il mondo animale vegetale e minerale.
Nella pratica razionale è rapportato alla gratitudine verso l'ambiente di pratica, che comprende persone (praticanti) e luogo (Dojo).
 
3 – Gratitudine verso gli antenati e predecessori
La gratitudine verso i nostri predecessori che, attraverso battaglie, guerre, lotte sociali hanno contribuito al miglioramento dell'umanità.
Nella pratica razionale viene manifestato con la gratitudine verso O Sensei, che ci ha donato l'Aikido.
 
 
4 – Gratitudine verso i nostri simili
Non possiamo vivere senza il sostegno degli altri.
Nella pratica razionale viene manifestato con la gratitudine verso i compagni di pratica. La gratitudine verso coloro che si uniscono nella pratica collettiva e che collaborano per il miglioramento collettivo.

Questi principi trascendono la tradizione dei popoli, con questo spirito possiamo entrare nella logica del rituale del saluto dell'Aikido.

 

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LA FILOSOFIA di O-Sensei

Ueshiba Morihei:
L'arte della Pace comincia da te

Le seguenti citazioni sono tratte da discorsi, poesie e scritti di Ueshiba Morihei.

L'arte della pace comincia da te. Lavora su te stesso e sul tuo compito assegnato nell'Arte della Pace. Ognuno di noi ha uno spirito che può essere purificato, un corpo che può essere allenato in qualche modo, un percorso adeguato da seguire. Sei qui per nessun altro scopo se non per quello di realizzare la tua divinità interiore e manifestare la tua innata illuminazione. Nutri pace nella tua vita e in seguito applica I'Arte a tutto quello che incontri.

Non c'è bisogno di edifici, soldi, potere o stato sociale per praticare l'Arte della Pace. Il cielo è proprio dove ti trovi, e quello è il posto per allenarsi.

Tutte le cose, materiali e spirituali, hanno origine da un'unica fonte e sono in relazione come se fossero una famiglia. Il passato, il presente e il futuro sono tutti contenuti nell'energia vitale. L'universo è apparso e si è sviluppato da un'unica fonte, e noi ci siamo evoluti attraverso il processo ottimale di unificazione e armonizzazione.

L’Arte della Pace è medicina per un mondo malato. Esistono il male e ii disordine nel mondo perché la gente ha dimenticato che tutto deriva da un'unica fonte. Ritorna a quella fonte e lasciati dietro tutti i pensieri egoistici, i desideri trascurabili e la rabbia. Coloro che non sono posseduti da niente possiedono tutto.

L’Arte della Pace funziona ovunque sulla terra, estendendosi nei regni dalla vastità dello spazio fino alle più piccole piante ed animali. L’energia vitale penetra ovunque e la sua forza è illimitata. L'Arte della Pace ci permette di percepire ed inserirci in quella straordinaria riserva di energia universale.

Otto forze sostengono la creazione: movimento e quiete, solidificazione e fluidità, estensione e contrazione, unione e divisione.

La vita è crescita. Se smettessimo di crescere, tecnicamente e spiritualmente, saremmo praticamente morti. L'Arte della Pace è una celebrazione del legame tra cielo, terra e umanità; è tutto ciò che è vero, buono e bello.

***

Ueshiba Morihei:
Confidare nelle tecniche segrete non porta a niente

I Doka sono dei poemi didattici scritti da O'Sensei seguendo una precisa sequenza di 5-7-5-7-7 sillabe allo scopo di insegnare l'essenza dell'arte e ispirare gli allievi.

L'essenza dell'aikido è di mettersi
in armonia col funzionamento
dell'Universo, divenire uno con
l'Universo. Quelli che hanno afferrato
il significato dell'aikido possiedono
l'Universo in se stessi.

Quando un nemico
si scaglia contro di te
per colpirti,
spostati di lato
e colpiscilo di taglio istantaneamente.

Il progresso
arriva per coloro
che praticano e praticano;
confidare nelle tecniche segrete
non porta a niente.

Anche quando vieni sfidato
da un singolo avversario,
rimani in guardia,
perché sei sempre circondato
da una folla di nemici.

Tenendo yang
nella mano destra
e girando con yin
nella sinistra,
puoi condurre il tuo avversario.

Se tu non ti fondi con la vacuità
del Puro Vuoto,
non conoscerai mai
Il Sentiero dell'Aiki.

Chiara come il cristallo,
affilata e luminosa,
la mia mente non offre aperture
perché il male possa attaccarsi.

Il penetrante splendore
della spada
maneggiata da un uomo della Via
colpisce il nemico
che sta in agguato
nella profondità del corpo
e della mente.

Lo spirito attivo e passivo
perfettamente armonizzati
formano la croce dell'aiki;
tendete sempre in avanti
versando vigore virile.

Colui che è
sempre pronto a qualunque cosa
possa accadere
non sfodererà
la spada in fretta

Tratti da "Ueshiba la biografia del fondatore dell’Aikido"
Di John Stevens

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L’Aikido spiegato da C. Tissier

Testo tratto dal sito http://www.aikidosapri.com/

Christian Tissier

L’Aikido praticato bene pone tante domande, ne abbiamo proposte alcune a Christian Tissier  7° dan.

Per giungere ad un’applicazione perfettamente efficace in Aikido, bisogna prima agire e poi pensare scordandosi della tecnica o piuttosto il contrario?

C.T. Per come la vedo, l’unica applicazione efficace dell’Aikido è la preservazione della propria ed altrui integrità e il successo nelle scelte che ci si è prefissati, lo sviluppo delle proprie qualità umane, fisiche e spirituali.
Però la seconda parte della domanda richiede una risposta più “terraterra”.
In Aikido non si può dire che ci siano veramente delle regole, ma piuttosto dei livelli d’applicazione.
Mettendo in pratica con determinazione e violenza, certe tecniche (non tutte) sono temibili, anche se il praticante non ha ancora acquisito una grande esperienza.

Ma a questo punto si parla d’Aikido?
Difesa personale sotto forma d’Aikido sarebbe probabilmente un termine più adatto .
Riguardo al pensare prima e poi agire?
Può andar bene se si intende la strategia precedente all’azione. Può anche andar bene se c’è il tempo di considerare le diverse possibilità dominando le proprie emozioni.
Ma quando esiste la padronanza, l’unica modalità davvero efficace è la spontaneità.
Tutta la pratica della nostra arte marziale tende a sviluppare quest’istante, questa scelta non ragionata nella quale solo quanto avrete acquisito in profondità vi condurrà come la migliore delle guide.
In quei precisi momenti, la visione dell’azione è allora molto chiara, come rallentata, la vera potenza si esprime sciolta e leggera, eppure terribilmente pesante al momento cruciale.

A priori, tutte le tecniche d’Aikido si possono applicare a qualsiasi forma d’attacco?

C.T.   A priori sì.
Anche se gli attacchi sono molto convenzionali, questo è un bene, perché resta la forma al di là della varietà dell’attacco.
I colpi dovrebbero rappresentare tutte le direzioni: dall’alto verso il basso (shomenuchi), di lato o di rovescio (yokomenuchi), di fronte (tsuki), etc.
Si può dunque considerare che, dal punto di vista della direzione, non ci siano differenze sostanziali tra un yokomen ben dato ed un gancio classico.
Il problema è piuttosto quello che si vede nella pratica: gli aikidoka non fanno abbastanza attenzione alla qualità dei loro attacchi che sono spesso troppo molli e poco precisi.
Troppo aperti quando le braccia si alzano o al contrario rigidi e poco veloci,  non concentrati sul centro e privi della nozione d’impatto e di distanza.
Questo  aspetto va migliorando, ma un grosso lavoro resta da fare.
Per quanto riguarda gli attacchi di piedi, il numero di tecniche applicabili direttamente sul primo attacco, è abbastanza limitato .
Ma schivare il primo attacco di piedi modificando la distanza e le reazioni dell’avversario può portare a una presa, un colpo di mani o una proiezione che renda dunque possibile tutta una serie di applicazioni.

L’efficacia e la progressione qualitativa delle tecniche sono legate ad una  ricerca estetica? Di fatto esiste un’opposizione tra un Aikido artistico e un Aikido efficace?

C.T.    No, non lo credo, in ogni caso non sono legate ad una ricerca solo estetica. Di certo non si deve praticare un Aikido “manierato”.
Il fatto è che l’Aikido, come qualsiasi arte che utilizza il corpo come supporto, tende all’esecuzione di un gesto puro, sbarazzato d’ogni paura, stizza, irritazione e bloccaggi, sia fisici che psichici. Secondo me non c’è un Aikido efficace ed uno artistico. L’Aikido, se praticato bene, è efficace e per forza bello. Se è efficace senza essere bello, è di certo praticato con la forza ed è dunque limitato nella sua capacità e potenzialità, ancorché nella sua possibilità di progredire. Esprime solo quello che l’aikidoka in questione ha già più o meno acquisito e utilizza per rassicurarsi, niente più.
L’Aikido estetico, ma senza efficacia, sarebbe come mimare.
Somiglierebbe all’arte, ma la forma sarebbe vuota.
Una pratica privata del suo contenuto reale, non potrà portare in se alcuna autenticità e realtà.
E’ vero che con la connivenza di un buon partner può apparentemente funzionare, ma quell’ Aikido non resisterebbe certo in un conflitto, perché il timore ne farebbe apparire tutti i limiti.

Squilibrare l’avversario è fondamentale in aikido, che ne è dell’atemi ad esempio?

C.T.    O Sensei Morihei Ueshiba diceva che l’Aikido da lui fondato consistesse in irimi ed atemi.
Il senso dell’atemi è quindi essenziale per diverse ragioni.
L’atemi permette di materializzare una distanza, di fissare il partner in qualche modo, di fermarlo o di posizionarsi in confronto a lui.
Al di là del colpo, è anche un punto d’appoggio non trascurabile.
L’atemi può anche aiutare a neutralizzare la violenza dell’avversario.
O anche, ancora meglio, dosandolo a seconda dell’azione che si è deciso di realizzare, per immobilizzare con fermezza e senza danni l’avversario.
L’atemi può mostrare delle chiusure nell’azione e per questo non c’è bisogno che ci sia impatto. E’ più importante che l’atemi chiuda e apra degli angoli al momento giusto ed anche alla distanza giusta.
Ma attenzione, non si tratta soltanto di un semplice gesto, deve essere credibile e quindi preciso, intenso e potente.
L’atemi deve sempre essere utilizzato consapevolmente, mai come reazione di paura, d’impotenza o con aggressività. Perché in questi casi, non è più un aikidoka che si esprime, ma una persona qualsiasi.
Di fatto praticato con efficacia, l’atemi deve rappresentare una sanzione potenziale e radicale, lasciando all’aikidoka la scelta della clemenza, ma senza debolezza durante l’azione.

La scioltezza e la forza entrano in contrasto con una pratica esemplare dell’aikido o al contrario in quali casi sono complementari?

C.T. Penso che sia essenziale distinguere tra una persona, naturalmente forte, ma che utilizza la sua potenza senza lavorare con la forza, ed una che fonda la sua pratica “solo” sulla propria forza.
Oltre al fatto che sarebbe inaccettabile per la propria progressione tecnica, la quale sarebbe impedita da questo “tradursi in applicazione della forza”, l’uso di questa forza sarà ovviamente limitato dall’età e col tempo invece di progredire, il praticante si irrigidirà e si contrarrà sempre più, le conseguenze sarebbero evidentemente negative.
Bisogna ricordare che tutto il lavoro sulla precisione della tecnica tende ad ottenere il massimo d’efficacia con il minimo sforzo.
Per quanto riguarda la scioltezza è lo stesso, si deve distinguere fra la scioltezza articolare e quella nell’azione.
Se la tecnica non è precisa, la postura aleatoria e se ci dovesse essere un aggressione inaspettata o della paura, il più sciolto dei praticanti si bloccherebbe subito e proverebbe a compensare con quello che è accessibile immediatamente e cioè un sentimento di rigetto, di rifiuto, un aumento di forza nelle spalle.
Non si può avere un movimento naturale senza scioltezza.
Ma naturale significa che ci sia pratica, dunque economia, quindi precisione. E’ solo in un movimento tecnico, sciolto e senza blocchi fisici e mentali (quindi senza paura) che tutta la forza si esprime per liberare una grande potenza.

Il lavoro sul Ki basta ad aprire la porta dell’Aikido o è necessario un allenamento più fisico?

C.T. Certo il problema del Ki, se si può definire così con esattezza, è il suo scorrere, la sua libera circolazione e il suo scambio esterno – interno in armonia con tutti gli elementi che ci circondano.
E’ possibile allenarsi da solo o con un partner particolarmente compiacente: imparare a piazzare le proprie spalle, la schiena, il bacino, la respirazione, cercare il proprio centro, etc. Ma quando c’è un aggressione fittizia o reale, quando c’è una relazione con l’altro, senza un precedente ed intenso allenamento, senza una vera esperienza, senza calma, come mantenere il piazzamento, le spalle basse, la posizione dell’hara etc.? L’Aikido elaborato da O Sensei e scelto da noi come base di pratica, consapevolmente è un budo, l’attaccante è il pretesto con il quale bisogna trovare una soluzione armoniosa del conflitto, dei Ki, anche se quest’ultimo non lo volesse.

Aikido è un budo, si può considerare solo come un arte di difesa?

C.T. Un budo è un sistema d’educazione marziale, fisico, mentale, umano, che deve sviluppare fino al massimo grado le qualità inerenti all’essere umano sviluppando le costanti dello studio della “via” che bisogna ricordare: la ricerca del gesto puro che porta alla purezza dello spirito, il rispetto, l’attitudine giusta al momento giusto, la spontaneità etc. Ridurre il budo ad una sola arte di difesa, è scordarsi la sua dimensione d’apertura sul mondo e sbagliare epoca e armi. Quando tutte le qualità del budoka sono acquisite, arte di difesa inclusa, egli può andare dritto nel mondo per comunicare, vivere ed amare senza timore per lui e per gli altri.
Chi pratica soltanto un arte di difesa non fa altro che forgiarsi un carapace, che vorrebbe sempre più solido, ma nel quale rischia di isolarsi e di non riuscire più ad uscirne.
Traduzione a cura di Marco Marini

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Keiko Wakabayashi Sensei

A compendio della locandina pubblicata da Pat, ecco una bella intervista rilasciata al TG3 Toscana dalla signora Wakabayashi.

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Takemusu aiki

Takemusu Aiki – Discorsi di Morihei Ueshiba

Questa è una parte di una serie di discorsi di Morihei Ueshiba, il fondatore dell’Aikido. Questi discorsi sono stati trascritti e redatti da Hideo Takahashi del Byakko Shinkokai (vedi intervista in AJ115) e originariamente pubblicati come Takemusu Aiki nel 1976. L’importanza di questi discorsi come una fonte primaria di materiale affidabile sulla visione spirituale di Morihei Ueshiba non sarà mai abbastanza sottolineata.

 

Aikido è la via del principio dell’eterno, immutabile sistema dell’Universo

 

(1)

Aikido è la via del principio dell’eterno, immutabile sistema dell’Universo. La Grande Vacuità venne creata prima della nascita della voce Universale “SU”, l’Unica Fonte Originaria, il nostro Dio padre. La vita è la storia degli atti di Dio da allora, fin dall’antica epoca delle divinità del nostro paese, e la pratica dell’aikido ha origine da questa storia. Il mio aikido è una Via per svolgere pratiche ascetiche guidate dalla Divina Provvidenza, che esprime il significato della Spada Divina (matsurugi) ed è una manifestazione della spada stessa. Io lo considero la vera arte marziale (bujutsu). Le opere dell’Universo sono chiamate “takemusu aiki”, sono nate dall’Unica Fonte Originaria, e unificano l’acqua e il fuoco, ovvero il Respiro del Cielo e il Respiro della Terra, allo scopo di produrre un respiro unificato.

Vorrei spiegare cosa significa questo. Quando il corpo e l’anima che ho ricevuto in dono interagiscono fra di loro come un’unione inseparabile attraverso le opere di “SU” e “U”, io produco i suoni “A, O, U, E, I” dal basso del mio ventre lasciandoli fuoriuscire dalla mia bocca fisica. Questa forma è esattamente la stessa della manifestazione delle attività di attrito prodotte dai movimenti di acqua e fuoco, ovvero dall’interazione delle due divinità Takami Musubi e Kami Musubi (vedi Takemusu Aiki in AJ116), quando essi danzano mentre si muovono in una spirale ascendente a destra e discendente a sinistra).

Se lucidiamo e perfezioniamo il kotodama, lo spirito donato a ciascuno di noi che costituisce la sua vera natura, ci saranno donate tutte le spiegazioni per comprendere la combinazione di tutte le cose e la saggezza per comprendere la vera condizione della Grande Creazione di questo mondo. Inoltre, ci verrà anche dato l’onore di usare le “Sfere di Michihiru” (Michihiru no Tama)1 secondo il Kojiki (l’antica cronaca giapponese), un tesoro della nostra nazione, consultando Dio con i bastoncini divini (Ame Tsukuri no Kannagi) di Cielo, Fuoco, Acqua e Terra, facendo abbondanti offerte per espiare i nostri peccati a Oki a Chikura2 e dedicando noi stessi a Dio.

Queste Sfere di Michihiru sono donate a ciascuno di noi affinché compiamo le nostre missioni e le nostre opere. Inoltre noi, esseri umani, preserviamo le nostre vite grazie a queste Sfere di Michihiru.

Aikido è una vera arte marziale e si manifesta in tutte le arti marziali che sono arrivate nel mondo fino ad oggi, e nelle opere dell’Universo, vale a dire, il nucleo della Fonte Originale dell’aikido. Esso è saldamente radicato e si esprime specialmente nelle azioni delle due divinità, Izanagi no Mikoto e Izanami no Mikoto (vedi AJ116), quando essi hanno dato vita alle isole e alle divinità, cioè la cospicua opera dell’interazione tra fuoco e acqua. In altre parole, l’interazione tra fuoco e acqua è l’opera di Ame no Minaka Nushi (vedi AJ116) ed è una manifestazione della Volontà Divina. Pertanto, l’Unica Fonte Originaria ha dato la vita alle Due Fonti Originarie. Le opere di ciascuna Fonte sono un’espressione della Volontà Divina e una manifestazione della complessa e sottile interazione tra Cielo e Terra, vale a dire, la Vita dell’Universo, il Respiro del Cielo e della Terra. Non esiste una cosa che non sia una manifestazione della Volontà Divina, non importa che forma abbia il suo corpo o quanto piccola essa sia. Ogni cosa è la Vita dell’Universo.

Ho cantato questo per celebrare l’aikido nella sua forma moderna, perfezionata: Questa meravigliosa apparizione Di Terra e Cielo Ogni Cosa è Una Famiglia Creata dal Signore

Tutte le benedizioni di questo Grande Universo si manifestano, senza eccezione, in tutte le divinità e in tutti i Buddha, in tutta la natura, negli animali, gli uccelli, i pesci e perfino gli insetti. Aikido significa ricevere tutte le benedizioni dentro di noi e svolgere i nostri compiti come esseri umani. Riguardo alle religioni, io credo che ogni religione dovrebbe diventare un ubuya (case per la nascita dei bambini, vedi Takemusu Aiki in AJ116) per impartire questo stesso insegnamento. Dovete assimilare tutte queste benedizioni nel respiro del Cielo e della Terra anche quando eseguite solo un movimento con la spada. Pertanto, quando svolgete il vostro compito come esseri umani, formate un cerchio mentre espirate pronunciando una preghiera, e un quadrato mentre inspirate. Allora, lasciate che il meraviglioso spirito dell’Universo circoli attraverso il vostro intero corpo e purifichi i vostri sei sensi (rokkon, vedi AJ116) consentendo loro di operare. La forma circolare di espirazione è la forma dell’acqua, e quella quadrata è quella del fuoco. Il cerchio significa il respiro del cielo, e il quadrato significa quello della terra. Pertanto, diamo vita alle tecniche combinando il Respiro del Cielo con quello della Terra per mezzo del ki del Cielo. Questo è quello che dobbiamo fare e io so, inoltre, che tutte le divinità ci proteggeranno totalmente lungo la Via. Dobbiamo diventare consapevoli di questo e realizzarlo sulla Via mostrataci da Goi Sensei. Questo è il mio compito. Io devo compiere la mia missione senza dimenticare i benefici che mi vengono dalle divinità.

In una riunione di preghiera, dobbiamo assimilare la virtù della nostra vera fede nel Respiro del Cielo e della Terra in modo da poter unire e armonizzare questo mondo sotto la protezione di tutte le divinità e di tutti i Buddha. La preghiera è luce e anche calore. La vostra preghiera deve seguire la Via delle opere del Cielo e della Terra mentre si unisce con tutte le divinità e tutti i Buddha. Possiamo chiarire questo solo se ci riferiamo alle voci dell’aiki “SU” e “U”. la Terra non può funzionare senza interagire con il respiro del Cielo, e l’interazione del respiro del Cielo e della Terra dà la vita a tutte le cose. Riempiamo noi stessi con lo Spirito Divino e diamo intellettualmente la nascita alle arti marziali attraverso il respiro del kotodama (spirito).

Il Respiro del Cielo è il respiro del sole e della luna, e le tecniche dell’arte marziale nascono quando il Respiro del Cielo e della Terra sono uniti. Il Respiro della Terra è la marea. La marea respira attraverso l’interazione del Respiro del Cielo e della Terra. La Terra respira secondo il Respiro della Terra.

La nascita di un essere umano segue anch’essa lo stesso principio. Un essere umano nasce nel momento subito dopo la marea, quando questa comincia a ritirarsi. Tuttavia è meglio che io non parli del corpo umano, poiché Io posso assorbire ogni cosa in un movimento della mia spada.

In una precedente occasione ho detto “Attraverso l’Unione con Dio produciamo tecniche che mutano continuamente in varie forme”. Questo significa che possiamo manifestare scientificamente il ki della vacuità e il ki del vuoto nelle tecniche mentre combiniamo tra loro e introduciamo queste energie nella natura e nelle tecniche umane. Pertanto, dobbiamo produrre le tecniche rispettando il Futomani del Kojiki3, vale a dire, gli insegnamenti lasciatici in eredità dalle antiche divinità tra Amaterasu Oomikami4 e Jimmu Tenno5. Il Futomani del Kojiki è una storia dall’età delle divinità e una linea vitale per la costruzione della Nazione Universale. Esso è la Costituzione del nostro paese.

Come essere umano, ognuno deve svolgere incessantemente pratiche ascetiche in solitudine, in accordo con la missione assegnataci. In altre parole, se studiamo a fondo la nostra divinità protettrice principale e anche il nostro corpo e la nostra mente cominceremo a comprendere il lavoro che dobbiamo svolgere nella nostra vita quotidiana. Allo stesso tempo, dal punto di vista della preghiera, io stesso rispetto Goi Sensei e la Via che egli ci mostra. Anche se io non rimango costantemente in questa condizione quando io, ogni mattina e ogni sera, prego e ringrazio gli spiriti divini del Cielo e della Terra per la loro grande autorità divengo talmente chiaro e sereno nell’intermo mio corpo, come se fossi uno specchio, che non potrei esprimere una tale purezza con le parole. Tutti gli attaccamenti svaniscono e io attendo nel respiro del nostro Padre Originario che emana luce su tutte le cose nell’Universo.

Ritengo che la gioia suprema consista nell’essere in grado di restare in questo stato e continuare senza interruzione a lodare le virtù dell’universo.

(2)

Quando offrite una preghiera sincera, non vi è ego in essa. Tutti gli attaccamenti svaniscono e sono trasformati in luce. Io posso comprendere i santi dell’antichità quando affermano che vi sono tali e tante divinità. Percepisco anche che io, come mi sembra, resto nella Sacra Luce del Grande Universo. Credo che qui sta il motivo per cui le parole dei santi del passato vengano comprese erroneamente. Non dovrei parlarne con leggerezza. Anche se sono in grado di restare in una tale condizione, non pretendo che altri raggiungano lo stesso stato con un singolo sforzo, né mi considero particolarmente superiore ad altri. Io credo solo che sarò capace di farmi umile davanti alle persone e di dedicare loro il mio lavoro come un servitore, perché ora sono divenuto capace di restare in questo stato. La preghiera è realmente il fondamento ed il “Grande Ponte”. Il Grande Ponte si riferisce a Ame no Ukihashi (vedi AJ116). Ame no Ukihashi è la manifestazione dell’intersecarsi di fuoco e acqua. Qui risiede il divino messaggio che il mondo verrà purificato verticalmente e orizzontalmente e verrà governato.

C’è un proverbio che dice “I boccioli dei pruni sbocceranno tutti insieme in tutti i regni dei Tremila Mondi” (Sanzen Sekai).6 Tuttavia, questo non ha solo un significato religioso. Anche in aikido, questo messaggio divino che i boccioli dei pruni sbocceranno tutti insieme in tutti i regni dei Tremila Mondi è la Via della vita che ci è stata donata. Questo insegnamento significa che questo mondo comincia ad essere la manifestazione del potere spirituale cominciato con l’apparizione di Ame no Ukihashi. In aikido, questo è Nenpi Kannon Riki.7 Naturalmente senza un corpo fisico, ovvero haku, i nostri spiriti non possono stabilirsi, né noi possiamo svolgere i nostri compiti come esseri umani. Dobbiamo rivelare questa condotta dello spirito (Tamashii no O).8

Il corpo fisico che ci viene donato è un organo di creazione e, allo stesso tempo, è un luogo dove svolgere i servizi divini. Esso è anche una casa o un organo dove noi coltiviamo la nostra condotta dello spirito. Inoltre, il corpo fisico matura e si perfeziona magnificamente attraverso le pratiche spirituali richieste per la nascita degli spiriti. Pertanto, il nostro corpo diviene una casa dove gli spiriti possono nascere e crescere (seicho no ie).

Goi Sensei conosce bene questa materia. Non dobbiamo parlare di argomenti difficili. Se voi (rivolgendosi alla platea del Byakko Shinko Kai) continuate a pregare senza fare domande, Goi Sensei si prenderà carico di voi. Grazie a Goi Sensei, anche l’aikido si evolve tramite la preghiera. In altre parole, la condotta del vostro spirito verrà purificata tramite le preghiere.

Sentiamo parole come shikishin9 o hasshiki,10 ma non abbiamo bisogno di queste cose. Tutto quello che dovete fare è lucidare la condotta del vostro spirito. Dopo tutto, il mondo è stato un mondo fisico fino ad oggi. Aiki non esclude il mondo fisico, ma lo trasforma nel fondamento e sostituisce il mondo fisico con il mondo spirituale. Allora l’aiki costruisce un Cielo sulla Terra e realizza la sua funzione di costruire la Nazione Universale.

(3)

Takemusu aiki è il servizio che noi doniamo allo scopo di proteggere i mondi in cui si svolge tutta l’attività Universale, cioè i tre mondi –Apparenza, Subconscio e Divino– e di aiutarli ad armonizzarsi tra di loro e a fiorire. Lo chiamiamo “takemusu aiki” quando chiariamo il vero significato delle opere di Dio, purifichiamo la Grande Via e ci dedichiamo ad aiutare la Grande Via a rafforzarsi. Questo è ciò in cui credo fermamente.

È per questo che le arti marziali del nostro paese (budo) non sono chiamate sport. Lo scopo delle arti marziali è di formare e perfezionare noi stessi. Una volta che abbiamo costruito noi stessi, dobbiamo realizzare ogni cosa con successo, e prima di tutto noi, come esseri umani, dobbiamo proteggere tutta la natura.

Nel nostro paese, originariamente, non abbiamo sport come quelli che ha la gente dei paesi occidentali. Certe persone sono ben liete di affermare che le arti marziali giapponesi hanno guadagnato popolarità da quando sono diventate degli sport. Tuttavia questo è un grossolano malinteso che dimostra come essi non hanno assolutamente compreso che cosa siano veramente le arti marziali.

Gli sport sono giochi e passatempi che non coinvolgono lo spirito. Sono solo competizioni tra corpi fisici e non fra anime. Pertanto, queste competizioni hanno come unico scopo il piacere. Le arti marziali Giapponesi sono una competizione nel modo in cui possiamo esprimere e realizzare l’amore che unisce e protegge ogni cosa in armonia e aiuta questo mondo a prosperare.

La Via che preserva questo mondo è una competizione per proteggere lo spirito e anche il mondo fisico. Essa è una competizione per proteggere completamente la Via della nascita e della crescita di tutta la natura, e per proteggere amorevolmente la Via della fioritura di ogni cosa, attraverso il respiro di A-UM (espirare ed inspirare), nel quale lo spirito e il corpo fisico sono equilibrati in armonia. Questa competizione è esattamente la stessa della creazione del mondo di oggi, in cui erano coinvolto il Grande Dio, per tramite delle due divinità Izanagi e Izanami. Essa è la via per ringraziare quotidianamente il Grande Dio per la sua opera, e quindi è una preghiera. Non c’è nulla di meglio di una preghiera. Anche quando ci sentiamo male o a disagio possiamo rinnovarci e guarire offrendo le preghiere. Io ho sperimentato questo per mezzo delle mie preghiere. Io sto sulla piattaforma del Cielo e venero Dio restando rivolto a est e verso il cielo. Io offro la mia gratitudine nella preghiera, restando al centro della Terra insieme con tutte le cose esistenti tra il Cielo e la Terra. Questo è il vero aikido e il takemusu. Questa è la fonte dell’interazione armoniosa tra il respiro del fuoco e quello dell’acqua.

(4)

“L’eterno, immutabile sistema dell’Universo” significa che l’Universo è la Via sulla quale tutte le virtù degli atti divini si manifestano sotto la guida del nostro Dio Padre, l’Unica Fonte Originaria, e tutto è in ordine solenne e perfetto proprio come le innumerevoli stelle che brillano attorno al loro centro.

Inoltre, attraverso l’opera dei quattro Kon (vedi AJ 116), l’Universo si manifesta nelle forme del Cielo, del Fuoco, dell’Acqua e della Terra, e chiarisce il significato dell’unione degli spiriti tra gli esseri umani. Questo ha esattamente lo stesso significato di quando un gruppo di divinità si riunisce in nobile e perfetto ordine attorno al loro centro, Ama Terasu Oomikami, e viene riflesso in uno specchio sacro.

In altre parole, il respiro di A-UM è essenziale allo scopo di svolgere i nostri compiti in questo mondo. Da un punto di vista spirituale, esso è l’opera dei quattro kon (Kusu Mitama, Ara Mitama, Nigi Mitama, e Sachi Mitama) (vedi AJ116) e, da un punto di vista fisico, sono le quattro grandi funzioni costruttive operate da Cielo, Fuoco, Acqua e Terra. Sia le cose materiali sia gli spiriti appartengono totalmente al nostro Padre, l’Unica Fonte Originaria.

In un certo senso, con l’aiki voi purificate e rimuovete il male con il vostro stesso respiro invece che usando una spada. In altre parole, cambiate il modo fisico in un mondo spirituale. Questa è la missione dell’aikido. Il corpo fisico è posto sotto, e lo spirito sopra e davanti. Pertanto l’aikido guida lo spirito a produrre nobili fiori e a portare frutti. Essendo il nucleo dell’amministrazione, l’aikido opera al servizio della Suprema Lealtà, ovvero il Bene Supremo e l’Amore Supremo in questo mondo. In altre parole, questo significa che dobbiamo coltivare la Vera Via del Cielo e della Terra, dedicando noi stessi a non turbare il fondamento della lealtà, il vero significato dell’unione del governo e della religione. Pertanto tutte le divinità e i buddha verranno e ci proteggeranno senza che sia necessario che glielo chiediamo. Nello stesso spirito degli insegnamenti della Bibbia sul ritorno di Michele (vedi Daniele, 12), tutti e tre i mondi ammireranno totalmente questo Grande Santo e seguiranno le sue parole con gioia. Dobbiamo industriarci per svolgere le nostre missioni assegnate, per guidare gli altri a dare il benvenuto a questo saggio, Grande Santo. Tradotto da Sonoko Tanaka Note

1. Michihiru no Tama. Due sfere usate per manipolare a piacimento la marea. Una è per la marea crescente, l’altra per quella calante. Nel Kojiki, si narra che queste due sfere vennero date a Hoori no Kami dalla divinità del mare. Hoori no Kami è un figlio di Masakatsu Agatsu Katsuhayahi Ame no Oshihomimi no Mikoto, che è un figlio di Amaterasu Oomikami (vedi nota 4)

2. Oki a Chikura. Nel Kojiki si narra che a Susanoo no Mikoto (vedi AJ116) fu richiesto di fare molte offerte a Chikura, per espiare la sua cattiva condotta.

3. Futomani. Un tipo di divinazione usata nei tempi antichi. La gente profetizzava la buona o la cattiva sorte bruciando ossa di animali (di solito caproni) o carapaci e osservando la forma delle crepe che apparivano sulla loro superficie.

4. Amaterasu Oomikami. La divinità del sole, considerata una divinità femminile, una figlia di Izanagi no Mikoto e sorella maggiore di Susanoo no Mikoto. Nacque quando Izanagi no Mikoto si lavò l’occhio sinistro durante lo svolgimento del misogi a Ahagihara (vedi AJ116)

5. Jimmu Tenno. Il leggendario primo Imperatore della dinastia Yamato, secondo le antiche cronache Kojiki e Nihon Shoki. Era anche conosciuto come Kamu Yamato Iwarebiko no Mikoto ed era un nipote di Hoori no Kami.

6. Sanzen Sekai. Lett. “Tremila mondi”, un concetto Buddista Indiano del Mondo o dell’Universo. Al centro del mondo c’e’ un’alta montagna chiamata Shumisen, e il mondo che circonda la montagna è proprio il mondo in cui viviamo ed è detto uno Shumi Sekai. Sanzen Sekai si riferisce a Daizen Sekai, che è Shumi Sekai moltiplicato per mille per tre volte. Pertanto, l’effettivo numero di mondi non è 3000, ma piuttosto 1.000.000.000.

7. Nenpi Kannon Riki (Nenpi Kannon Riki Tojin Dandan Ne). Questo termine deriva dall’ Hokkekyo, un testo Buddista. Esso si riferisce alla credenza nel potere di Kannon, la Dea della Pietà. Uno non verrà tagliato neanche se il suo nemico lo taglia con una spada, piuttosto la spada del nemico verrà spezzata in più parti.

8. Tamashii no O. La condotta che lega il tama o tamashii (spirito) al corpo fisico in modo che lo spirito non lasci il corpo. Lo si può anche intendere come indicante “la vita”. Shikishin. Una manifestazione del buddha che è incarnata in un corpo fisico nel Mondo delle Apparenze.

9. Hasshiki. Lett. “Le otto shiki”. Shiki si riferisce a un’abilità della mente di riconoscere e giudicare la natura delle cose materiali attraverso i sei sensi e percezioni. Shiki è una delle dodici leggi di causa ed effetto nel Buddismo. I sei sensi sono la vista, l’udito, l’odorato, il gusto, il tatto e la coscienza. Il termine Hasshiki include altri due aspetti, Mana Shiki (l’illusione dell’amore di sé) e Araya Shiki, la consapevolezza fondamentale dell’esistenza di un essere umano, che accumula esperienze e forma l’individualità. Essa è il centro di tutte le attività della mente. Subcoscienza.

10. A-UM. “A” è il suono prodotto dall’esalazione dalla bocca aperta, ovvero l’espirazione. “UM” si forma con la bocca chiusa, inspirando. Ogni cosa inizia da “A”, e con “UM” ogni cosa ha termine. Questo concetto ha avuto origine nel Buddismo.

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Onisaburo l’uomo che ispirò O-Sensei

tratto aikido-vittorio veneto.it

 

Onisaburo Deguchi

Intorno al XIX secolo era nata la speranza che una nuova epoca sarebbe emersa dal caos e molti profeti predicavano una via sul come uscire da questo periodo buio. Molti di questi profeti furono donne contadine o comunque di basso rango al tempo più vicine a Dio rispetto alle signore aristocratiche. Nel 1836 nacque Nao Deguchi unica sopravvissuta della sua famiglia decimata da una delle più disastrose carestie del Giappone. Anche se Nao sopravvisse la sua vita fu dura fino al compimento del suo diciassettesimo anno di età, anno in cui venne adottata da una sua vecchia zia appartenente alla famiglia Deguchi. Con la zia rimase circa un paio d'anni fino alla morte suicida di quest'ultima. Nao si maritò poi con un maestro carpentiere, un uomo che non amava, ma dal quale poteva ambire ad una vita migliore. Purtroppo la combinazione del bere sakè, delle notti fino a tarda ora in città e gli incidenti sul lavoro lo fecero diventare un invalido disoccupato, cosicché la famiglia Deguchi divenne sempre più povera.

Fin dalla giovinezza Nao sentiva voci interiori che la portavano a meditare giorni interi sulle montagne. Nel 1892 Nao, allora cinquantasettenne, ebbe una visione da parte del Kami Konjin, il quale le disse di purificarsi per i tredici giorni successivi e pregare. Dopo questi giorni di meditazione e preghiera Konjin le ordinò di scrivere i Fudesaki, gli scritti che vengono da Konjin. In poco tempo con la diffusione di questi scritti, questa religione trovò molti seguaci. Nel 1898 fu avvicinata da un giovane nato a Kameoka nel 1871 di nome Kisaburo Ueda. Il giovane Ueda era un giovane molto intelligente che amava la letteratura, la calligrafia e la pittura. Nel 1897 perse il padre e attraversò una crisi spirituale: si rifugiò quindi in una caverna del monte Takakusa deciso a trovare la verità e in quel luogo vi rimase una settimana in una trance divina ricevendo i segreti degli dei. A questo suo messaggio che portava alla popolazione non ebbe risposta. Un giorno dopo molti studi e mentre si trovava a praticare riti in un santuario Kisaburo sentì una voce che gli indicava di andare a ovest. Fu così che Kisaburo e Nao si incontrarono. Ueda andò ad abitare nella casa Deguchi avendo sposato la figlia di Nao, Sumi e prendendo il nome di Onisaburo. Nel 1913 Onisaburo fondò l'Omoto-kyo e quando, nel 1918, morì Nao divenne il “Santo Guru”. Diffuse molto la sua religione e scrisse anche molti libri. Onisaburo era un maestro spirituale che calmava migliaia di persone con la meditazione. Tra il 1919 e il 1921 gli adepti divennero milioni. Fu proprio in questo periodo che Morihei sentì parlare del “Santo Guru” e preoccupato per il padre malato decise di passare ad Ayabe per pregare per lui. Appena arrivò ad Ayabe, Morihei sentì subito che quel posto aveva un non so che di spirituale; si recò subito al santuario e quindi si mise subito a recitare i mantra shingon. Una figura si avvicinò a lui e gli disse che suo padre stava bene com'era e che doveva lasciarlo andare: era Onisaburo Deguchi. Dopo la morte del padre, Morihei, nello stupore di tutti, decise di unirsi all'Omoto-kyo. In questo periodo si dedicò completamente allo studio della religione e all'agricoltura, un lavoro che si diceva molto affine al samurai e alla pratica Zen in quanto si era in costante contatto con la natura. In poco tempo divenne capo dell'”Accademia Ueshiba” costruita col favore di Onisaburo Deguchi e lì insegnò agli adepti dell'Omoto-kyo.

Il carisma di Onisaburo era arrivato fino in Mongolia all'orecchio di Yutaro Yano, un ufficiale della Marina che aveva problemi con la popolazione ribelle e viste le aspirazioni del Guru di diffondere la propria religione in tutto il mondo, non si fece scappare quest'occasione. Nel 1924 così Onisaburo e Morihei con altre persone partirono alla conquista spirituale della Mongolia. Arrivati non ebbero vita facile vista la riluttanza delle persone a credere in qualcosa; venivano infatti chieste loro continue prove spirituali. Dopo poco tempo furono arrestati e i loro beni vennero confiscati. Passarono pochi giorni che vennero rilasciati e vennero trattati da pascià: gli diedero vestiti nuovi, un bagno caldo e vennero rasati… ma questo non era altro che la preparazione alla loro esecuzione. L'esecuzione però non ebbe luogo perché i mongoli avevano troppa paura di un intervento militare diplomatico da parte del Giappone. Fecero ritorno in Giappone e le vie di Onisaburo Deguchi e Morihei Ueshiba si divisero anche se Ueshiba rimase per tutta la vita un fermo credente di questa religione. Onisaburo decise di allargare il suo progetto divino di portare il Paradiso sulla Terra; decise di espandere la sua religione cominciando a vestirsi come un imperatore, portando quindi le effigi imperiali cosa che attrasse l'attenzione della polizia imperiale. L'8 dicembre 1935 la polizia arrestò il “Santo Guru” con l'accusa di lesa maestà, un'accusa molto grave. Successivamente l'Omoto-kyo venne perseguitata e tutti i loro simboli vennero distrutti. Onisaburo rimase imprigionato per sei anni e mezzo prima della fine del processo che lo vide accusato di lesa maestà e incitamento alla rivolta. Appena uscito si diede da fare per il suo intento ma l'unico ostacolo che non riuscire fu la sua morte in quanto era uscito dalla prigione ormai anziano e innocuo per il governo.

Della sua dottrina non era rimasto ormai nessuno in grado di poterla diffondere e anche tra i suoi discepoli c'erano contrasti sull'interpretazione della religione: questi motivi più altri segnarono la fine dell'Omoto-kyo e il sogno di portare il Paradiso sulla Terra.

BIBLIOGRAFIA:
"UESHIBA" – John Stevens – Luni Editrice 2003
Sito dell'Aikikai d'Italia – www.aikikai.it
Vari siti sull'Aikido e sul Daito Ryu Aiki Jujuts
 

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il teatro Kabuki

Kabuki

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Con il termine kabuki (歌舞伎) si indica una forma di teatro sorta in Giappone all'inizio del '600.

Origini

Il Kabukiza nel quartiere di Ginza a Tokyo, uno dei più importanti teatri di kabuki.

Le origini leggendarie di questa forma teatrale risalgono agli ultimi anni del '500 e fanno riferimento a danze eseguite, sulle rive del fiume Kamo a Kyōto, da un gruppo di danzatrici sotto la guida di Izumo no Okuni. La parola Kabuki è formata da tre ideogrammi: 歌 ka (canto), 舞 bu (danza), 伎 ki (abilità). Gli ideogrammi scelti a formare il nome sono l'equivalente fonetico della parola kabuki, derivata dal verbo kabuku ("essere fuori dall'ordinario"), che stava ad indicare l'aspetto e il vestiario in voga al tempo di Toyotomi Hideyoshi (1536-1598) e caratteristico dei cosiddetti kabukimono: il loro stile fu poi adottato nelle prime danze di Okumi.[1]

All'inizio recitato solo da donne, in seguito alla proibizione per motivi di morale, interpretato solo da uomini anche per le parti femminili. Gli attori specializzati nei ruoli femminili sono chiamati onnagata. Il Kabuki, fin dai primi tempi del suo sviluppo, mantenne forti legami col teatro dei burattini, cioè il cosiddetto Jōruri (designato in seguito come Bunraku), infatti la struttura delle due forme espressive era analoga. Il Kabuki fu l'espressione teatrale favorita dei cosiddetti chōnin (lett. abitante della città), cioè della emergente classe borghese cittadina che comprendeva commercianti, professionisti, artigiani. Quindi di fatto si tratta di una forma popolare, inteso come rivolta ad uno strato ampio della popolazione. La novità di queste opere consisteva nella rappresentazione di fatti, solitamente drammatici, realmente accaduti. Anzi spesso tra l'accaduto e la rappresentazione trascorreva pochissimo tempo. Quindi la rappresentazione teatrale costituiva un vero e proprio mezzo di comunicazione che portava a conoscenza di un gran numero di persone l'accaduto.

Caratteristiche

Per capire a fondo il Kabuki bisogna considerare che, quando parliamo di forma teatrale, facciamo mentalmente riferimento al significato che questa espressione artistica ha avuto in occidente, a partire dalla Grecia. Ma la struttura del Kabuki è molto diversa dallo schema del teatro occidentale e ciò ha portato taluni a giudizi abbastanza riduttivi. Di fatto le opere non trattano mai argomenti di ordine generale, questioni esistenziali o riflessioni filosofiche derivanti dall'analisi degli avvenimenti. Quindi sono del tutto assenti situazioni quali, ad esempio, un monologo shakespeariano sulla caducità della vita umana o considerazioni dei protagonisti su questioni di carattere politico. Ciò non è che il riflesso del pragmatismo dei chōnin e di quella che era la loro ideologia. Anche la trama e la caratterizzazione dei personaggi sono abbastanza fragili. Le opere sono spesso confezionate a più mani, ognuno dei coautori si occupava di una singola sezione. Il che comportava scarsa unitarietà dell'insieme. In compenso le singole parti, spesso rappresentate autonomamente in sorta di raccolte di scene celebri, sono compiute nella loro struttura. Come per il , e del resto per tutta la cultura artistica giapponese, vale, anche per il Kabuki, il principio secondo cui non viene assegnata preponderanza, come in occidente, alla comunicazione verbale. E spesso ciò comporta una lettura più difficile e sottile (soprattutto per un occidentale) delle singole situazioni. Le vicende sono espresse attraverso l'emotività dei singoli personaggi, il particolare prevale sempre su considerazioni morali o politiche di carattere generale. Ma proprio per questo la tensione emotiva è altissima così come la comunicazione, spesso non verbale, di situazioni emotive forti.

Struttura scenica

Una rappresentazione di Kabuki

Nei primi tempi le rappresentazioni avvenivano su semplici piattaforme che non mettevano al riparo dagli agenti atmosferici. Col tempo le strutture divennero più complete, fino alla costruzione di edifici veri e propri, alcuni dei quali tuttora esistenti. Un elemento molto particolare di queste opere è il cosiddetto hanamichi (ponte dei fiori), cioè una passerella che gli attori percorrono prima di giungere alla ribalta. Questa soluzione scenica fu mutuata dal teatro . La creazione del palcoscenico girevole (mawari butai) alla fine del '700, cioè in netto anticipo rispetto all'occidente, rispondeva all'esigenza di repentini cambi di scena derivanti da un'evoluzione della tecnica scenica, che richiedeva ritmi dell'azione sempre più serrati.

 

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lo Shintoismo

Shintoismo

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Lo Shintoismo o Scintoismo è una religione nativa del Giappone. Prevede l'adorazione dei Kami, un termine che si può tradurre come divinità, spiriti naturali o semplicemente presenze spirituali. Alcuni kami sono locali e possono essere considerati come gli spiriti guardiani di un luogo particolare, ma altri possono rappresentare uno specifico oggetto o un evento naturale, come per esempio Amaterasu, la dea del Sole. Il Dio dei cristiani in giapponese viene tradotto come "kami". Anche le persone illustri, gli eroi e gli antenati divengono oggetto di venerazione dopo la morte e vengono a loro volta annoverati tra i kami. La parola Shinto nasce dall'unione dei due kanji: 神 shin che significa "divinità", "spirito"(il carattere può essere anche letto come kami in giapponese ed è a sua volta formato dall'unione di altri due ideogrammi 示 "altare" e 申 "parlare , riferire"; letteralmente ciò che parla, si manifesta dall'altare. 申 ne determina anche la lettura) e 道 in cinese Tao ("via", "sentiero" e per estensione; in senso filosofico rende il significato di pratica o disciplina come in Judo o Karatedo o ancora Aikido). Quindi, Shinto significa letteralmente "pratica degli Dèi", "via degli Dèi". In alternativa a Shinto, l'espressione puramente giapponese — con il medesimo significato — per indicare lo Shintoismo è Kami no michi. Il termine "shinto" viene adoperato anche per indicare il corpo del nume, ovvero la reliquia presso cui il kami partecipa materialmente (per esempio una spada sacra).

Nella seconda metà del XIX secolo, nel contesto del Rinnovamento Meiji fu elaborato lo Shinto di Stato 国家神道 (Kokka Shintō?), che mirava a dare un supporto ideologico e uno strumento di controllo sociale alla classe dirigente giapponese, e poneva al centro la figura dell'imperatore e della dea Amaterasu, progenitrice della stirpe imperiale. Lo Shinto di stato fu smantellato alla fine della seconda guerra mondiale, con l'Occupazione del Giappone. Alcune pratiche ed insegnamenti shintoisti che durante la guerra erano considerati di grande preminenza ora non sono più insegnati o praticati mentre altri rimangono grandemente diffusi come pratiche quotidiane senza però assumere particolari connotazioni religiose, come l'Omikuji (una forma di divinazione).

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