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Archivio annuale 25/04/2012

pura poesia come un ramo di salice

Come il ramo di salice

Fin da piccoli siamo stati abituati a vivere secondo schemi che altri hanno preconfezionato per noi: regole, limiti, imposizioni a non finire. Crescendo questi schemi non fanno che irrigidirsi ulteriormente. La mattina si lavora, il pomeriggio si lavora, al sabato si va al centro commerciale, le giornate festive bisogna passarle con i suoceri o i genitori, in vacanza si va sempre nello stesso posto. Sempre le stesse cose, tutte uguali, una routine che si ripete all’infinito. Routine che crea nella nostra mente un’assuefazione tale da ripercuotersi anche sulla nostra capacità di affrontare la vita.

 

Si crea una zona di confort data dall’abitudine che ci fa sentire sicuri solo al suo interno, portandoci a essere impreparati agli eventi esterni imprevisti, ad averne quasi paura e quindi a subirli passivamente con conseguenze più o meno gravi.

Quando le nostre certezze crollano, non sappiamo come reagire, ci sentiamo impotenti!Questa vita compartimentata per scadenze, a mio opinabile avviso, ci ha fatto perdere la capacità di immaginare, di essere curiosi, di adattarci alle situazioni che ci si presentano, di affrontare l’ignoto, di scoprire… noi stessi e il mondo che ci circonda! Invece di accettare la diversità e da essa apprendere preferiamo averne paura, rifuggirla,  allontanarla… celando un desiderio di distruggerla! La rigidità nel pensiero e nell’azione non porta armonia ma solo scontro (quante volte ci siamo fissati sulle nostre posizioni e abbiamo finito per litigare pur di non cedere un passo?). Ciò non porta nemmeno benefici in termini di crescita personale, facendoci rimanere un passo indietro rispetto a chi ama conoscere (“ho sempre fatto in questo modo e continuerò a farlo”).

Praticando l’Aikido Tendoryu di Shimizu Sensei ho compreso che la flessibilità è (secondo la mia modesta opinione di aikidoka in erba) la via migliore per non farci spezzare dal fluire degli eventi che ci impedirebbero di realizzare i nostri desideri, soprattutto in un mondo dove il cambiamento è sempre più repentino. Ho capito che rimanere flessibili in corpo e mente è un buon modo (l’unico secondo me) per non farsi trascinare nel “caos” e di esso rimanere vittima. Possiamo diventare come un ramoscello di salice, che flettendosi dolcemente alla furia della tempesta non si spezza.

 

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Ecco un articolo di un mio amico maestro di aikido sul Jo

L’eleganza del Jo: la mia relazione col bastone dell’Aikido

La derivazione dell’Aikido di antichissime arti quali lo “yari jutsu” (uso della lancia dritta) e del “naginata jutsu” (lancia curva ) è evidente nella pratica di esercizi basati sull’uso di un bastone diritto, lungo generalmente 126/128 cm, detto “jo”.

La peculiarità di questo strumento, secondo la leggenda in grado di disarmare un samurai armato di katana, sta nella fluidità di movimento e nell’adattabilità alle altrui tecniche, creando un contatto con il compagno di turno tramite una sorta di “estensione del proprio braccio”.

 

Il bastone nella storia dell’umanità ha assunto le forme e le dimensioni più disparate: dalle clave a lunghi bastoni appuntiti, dalle armi classiche del kung-fu alla coppia di bastoni tipica dell’escima/kali filippino. Ciò che mi affascina da quando maneggio questo strumento, di diversa tipologia e tradizione,  è ciò che offre a chi lo impugna, ossia di migliorare le proprie abilità non solo di combattente, ma soprattutto di uomo. Maggiori capacità coordinative, maggior sensibilità e cognizione della distanza, del tempismo e una particolare eleganza dettata dalle movenze col jo dell’aikido, rendono il praticante un tutt’uno con lo strumento nato prettamente per fini difensivi.

Ciò che ho riscontrato in questi anni di aikidoka ma soprattutto negli ultimi tempi in cui ho iniziato a insegnare questa nobile arte giapponese, il bastone è diventato uno strumento di crescita, un perfetto mezzo per entrare in relazione più profonda con me stesso e con chi mi sta di fronte. L’armonizzazione (awase) del praticante col jo è allenabile individualmente nei suburi (colpi fondamentali codificati) e nei kata (esercizi formali codificati), ma la bellezza di trovare armonia con il compagno turno, all’apparenza sottoforma di coordinazione e giusto tempismo, è ancor più rara e proprio per questo così meravigliosa quando la si raggiunge… Impugnare il jo nel ruolo di uke (colui che attacca) o di tori (chi si difende) poco importa, ciò che mi entusiasma ogni volta che ne faccio uso è l’eleganza che a poco a poco acquisisco muovendomi nello spazio in sintonia col partner, donandomi quella sensazione palpabile di serenità che accarezza corpo-mente-spirito e che auguro a ogni marzialista d’ottenere, prima o poi, nel proprio “do”.

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Shin gatsu

Shin gatsu. Aprile. E' innanzitutto il momento dell'hanami, la spettacolare fioritura del ciliegio, il fiore che è simbolo del Giappone e della classe guerriera dei samurai, che nonostante il passare dei secoli continua ad essere a sua volta simbolo dello spirito e della cultura giapponesi.

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Bra incontra il Giappone

Festa di Primavera 2012. “Bra meets Japan” da Jardecò a Bra Domenica 15 aprile una brezza orientale lambirà la città di Bra.
Quest’anno la consueta Festa di Primavera organizzata dal garden center Jardecò avrà come tema portante il Sol Levante. Le serre vetrate e i giardini esterni di Jardecò a Bra, un punto di riferimento per gli appassionati del verde e del design, saranno il cuore della manifestazione in programma domenica 15 aprile, che vedrà una serie di interessanti workshop ed eventi. Alcune aree saranno occupate da esposizioni di bonsai e kusamono. I primi più conosciuti agli italiani, sono le note “piante in vaso” rese celebri in Italia negli anni ‘80 dal film “Karatè Kid”. Forse meno conosciuti i kusamono, sono composizioni di piante, felci e piccoli arbusti in vaso, su lastre di pietra o addirittura in “sfere di muschio”. E proprio a queste ultime, i kokedama, (o all’inglese “moss balls”) sarà dedicato un workshop condotto dal designer e bonsaista Igor Carino, a partire dalle ore 14.30. Verranno fornite le piante e tutto il materiale necessario per realizzare oggetti verdi di design, originali e divertenti. L’essenza estetica del Giappone sarà presente anche grazie alla vestizione del kimono tradizionale, condotto dalla Maestra Tomoko Hoashi e organizzato dall’Associazione Culturale “Giappone in Italia”. La preziosità delle sete, i complessi decori degli “obi” (tipica cintura giapponese indossata sul kimono) che riprendono la natura e il passare delle stagioni, saranno presentati grazie alle delicate movenze di una giovane ragazza giapponese che farà da modella, accompagnata da musica tradizionale. Dopo aver nutrito gli occhi e la mente non dobbiamo dimenticarci del corpo: due workshop di cucina giapponese (alle ore 10 e alle ore 15.30), condotti dalla Chef Michiyo Murakami, vi porteranno alla scoperta dei veri sapori della cucina nipponica. Verranno realizzati invitanti maki di salmone, tonno e verdure, saranno svelati i segreti della cottura del riso e di questo complesso tipo di cucina che sta conquistando sempre più seguaci in Italia. Una degustazione di pregiati tè cinesi e giapponesi, assieme a prelibati sake (organizzata dall’Associazione “La Via del Sake”) accompagnerà i partecipanti durante tutta la giornata, accanto all’esposizione e alla vendita di carpe Koi giapponesi. Jardecò infine, sponsor della 27a edizione della StraBra,
sarà lieto di accogliere con un goloso omaggio tutti i bambini che in mattinata hanno partecipato alla manifestazione sportiva: un’Ape gelataia preparerà gustosi coni e coppette che saranno distribuiti nel pomeriggio. Una “Festa di Primavera” nipponica, che permetterà quindi di trascorrere una domenica a contatto con la natura e le tradizioni di un
paese unico e meraviglioso come il Giappone.

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quando il silenzio è d’ oro

 

Aikido e il linguaggio del corpo

Durante una lezione di Aikido, è vietato ai praticanti di parlarsi tra loro. L’allenamento incomincia sempre con un saluto: per prima cosa l’insegnante saluta e ringrazia il “Kamiza”, un tempietto scintoista che rappresenta lo spirito degli antenati, successivamente Maestro ed Allievi si salutano tra loro. Il saluto, in se, è rappresentato da un profondo inchino eseguito da una posizione accovacciata. La comunicazione insita in questo gesto richiama immediatamente un’ attitudine all’umiltà.

La lezione, Keiko, può adesso avere luogo. La prima parte dell’allenamento consiste nell’ascoltare il proprio corpo in movimento. Una serie di esercizi per padroneggiare la corretta postura, per valutare lo stato delle articolazioni, per acquisire un rilassamento muscolare adeguato, per “pulire” i gesti da una serie di movimenti “parassiti”, conferisce al praticante la coscienza delle potenzialità del proprio corpo. Quale forma d’arte l’Aikido si serve del corpo dell’atleta come una tela e dei movimenti come la tavolozza dei colori. Ciò che si vuole esprimere, lo stato interiore dell’aikidoka, dev’essere comunicato, similmente al teatro No^, esclusivamente col movimento del corpo. Appare quindi ovvio che, così come, per avere un’alta potenzialità di comunicazione al livello verbale, è indispensabile avere una padronanza della lingua, per potersi servire al meglio di una comunicazione gestuale, deve esistere un’assoluta padronanza degli strumenti e, cioè, il corpo ed i suoi movimenti.

La seconda parte dell’allenamento è dedicata allo studio delle relazioni tra i praticanti. Tali relazioni, che nascono col pretesto dell’esistenza di un attacco ed una difesa, devono essere stabilite su un livello avanzato di comunicazione.

Ho già affermato che non dovrebbe esserci uno scambio di informazioni tra i praticanti a livello verbale.

La pratica di un movimento a coppie, similmente ad una danza, è uno strumento didattico finalizzato alla creazione di un’armonia tra gli individui.

Ma, sebbene i gesti siano ritualizzati in modo da essere ripetuti in maniera analoga ogni volta, le variabili che nascono da una situazione di dinamismo sono tante e tali che ci permettono di affermare che ogni tecnica è diversa dalla precedente.

Una situazione di ritardo da parte di uno dei due praticanti, uno stato di indolenzimento articolare o muscolare, la padronanza più o meno profonda del gesto, la stanchezza, sono solo alcune delle variabili da considerare. La comprensione della situazione in cui si sviluppa il movimento deve nascere da un dialogo tra i corpi degli atleti. Unicamente osservando lo sguardo del nostro compagno, la sua postura, il suo modo di respirare, l’intensità dei suoi attacchi, dobbiamo essere in grado di ricavare una serie di informazioni che ci consentano di relazionarci all’altro nella maniera più adeguata, entrando in sintonia con la comunicazione costante del suo Hara.

Fabio Branno

 

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Stage Yamada

 

Stage internazionale con il M°Yamada Yoshimitsu

28-29 Maggio 2011
Aikido – Stage Internazionale
Yamada Yoshimitsu, Aikikai Shihan, VIII Dan
Monza
Organizzazione: Shumeikai Italia

# Informazioni dettagliate
Consultare l’annuncio allegato, scaricabile anche dall’indirizzo internet
seguente:
http://shumeikaiitalia.altervista.org/download/YamadaMonza2011.pdf
Annuncio in inglese:
http://shumeikaiitalia.altervista.org/download/YamadaMonza2011en.pdf
Annuncio in francese:
http://shumeikaiitalia.altervista.org/download/YamadaMonza2011fr.pdf

# Organizzazione
SHUMEIKAI ITALIA – Associazione di Aikido
e-mail smkmilano@gmail.com
http://shumeikaiitalia.altervista.org/
Shumeikai Italia è un’associazione che riunisce dojo che seguono il modello
tecnico del M° Tamura Nobuyoshi, Aikikai Shihan, VIII dan (1933-2010).
Shumeikai Italia è membro fondatore del progetto A.I. – Aikido Italia.

# Calendario attività
Stages di Aikido, Iaido e Jodo in Italia
http://shumeikaiitalia.altervista.org/calendario.html

 

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kinomichi

 

Introduzione al Kinomichi

Introduzione al Kinomichi domenica 1 aprile 2012  orario 10-13   14-16
presso l’Associazione YogaSangha via Villa Glori, 6   –  Torino
L’incontro è rivolto sia a chi desidera avvicinarsi alla disciplina, sia a chi pratica già da più tempo.
Come è ormai consuetudine, nel corso dell’intervallo di pranzo sarà offerto un semplice e leggero buffet vegetariano. Se hai intenzione di partecipare, visto che la disponibilità di posti è limitata,  ti chiediamo cortesemente di prenotare telefonando al n° 011 6618844, dal lunedì al giovedì, ore 16-18, oppure inviando una mail a info@yogasangha.it.
Kinomichi Il Kinomichi, o metodo Noro, è una pratica d’affinamento del corpo e della mente basata essenzialmente sui principi dell’Aikido, da questo si differenzia totalmente per metodo e finalità. La relazione e il contatto con gli altri assumono un aspetto rieducativo del giusto tono muscolare volto ad un miglioramento generale della sensibilità. I movimenti sono suddivisi in due grandi classi simboliche che rispecchiano la tradizione Taoista della percezione della natura: terra e cielo. I due principi opposti del maschile e del femminile che costituiscono l’equilibrio dell’individuo e dell’universo. Il Kinomichi è stato creato dal Maestro Masamichi Noro, a Parigi nel 1979, è il frutto della fusione della tradizione marziale orientale con la sensibilità estetica della ricerca del benessere della cultura occidentale. Ancora quasi totalmente sconosciuto in Italia, fatta eccezione per gli specialisti della sfera motoria, il Kinomichi apre prospettive sorprendenti nel campo della ricerca della consapevolezza corporea e s’inserisce a pieno titolo fra quelle correnti filosofico-umanistiche che mirano ad una ricomposizione della scissione mente-corpo.

YogaSangha
Associazione di Pratica e Ricerca Yoga e Discipline Orientali
Via Villa Glori, 6 –10133–Torino
(zona Corso Moncalieri – Piazza Zara)
Tel. +39 011 661 88 44       info@yogasangha.it

 

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Sakabato

Cos'è una Sakabato ?

La sakabato (spada dall'affilatura rovesciata) è un tipo fittizio di spada giapponese. Nella normale katana, il lato esterno curvo della lama è affilato, mentre il lato interno curvo è smussato. Al contrario, la sakabato è fatta in modo che il tagliente è sul lato che curva verso l'interno. Anche se le sakabato affilate sono attualmente prodotte per l'acquisto da parte di collezionisti e appassionati, non vi è alcuna traccia di queste a testimonianza che sia mai stata utilizzata storicamente in Giappone. Ci sono comunque scuole di scherma esistenti che le impiegano. Tuttavia, l'uso storico di armi a "lama rovesciata" è evidente da campioni conservati presso il Museo del Palazzo Reale Deoksu in Corea. Dato che il Giappone una volta invase la Corea, rimane aperta la possibilità che la sakabato sia stata sviluppata sulla base di esempi coreani. Tuttavia, come già detto, non esiste la prova in nessun registro storico, né archeologico attualmente esistente a sostegno di questa teoria. Sono stati trovati invece alcuni Tanto (coltelli) a "lama-rovesciata". Questi sono chiamati kubikiri, a volte tradotto come "taglia testa" o "coltello del dottore". La sakabato è l'arma principale del personaggio Himura Kenshin nel popolare manga Rurouni Kenshin, e come tale è tipicamente raffigurata come l'arma 'pacifista' di coloro che sono disposti ad uccidere solo come ultima risorsa.

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Paolo Corallini Shinan 7° dan

Paolo Corallini Shihan – 7 Dan

 

piccola

        Il Maestro Paolo Nicola Corallini Shihan, Iwama Ryu 7° Dan, Aikikai 7° Dan, Presidente della Takemusu Aikido Association Italy e massimo rappresentante in Italia dell'Aikido di Iwama, inizia fin da giovane ad interessarsi alle Arti Marziali. All'età di 18 anni si iscrive presso un dojo di Ju Jutsu e subito dopo conosce l'arte marziale che doveva segnare la sua vita, l'Aikido, all'epoca ai suoi primi passi in Italia. Segue in quegli anni gli insegnamenti di Motokage Kawamukai Sensei che gli conferisce il 1° Dan nel 1977.

     Riceve poi il 2° dan da Hirokazu Kobayashi Sensei nel 1979 e comincia poi a frequentare le scuole di Aikido in Francia dove conosce il Maestro André Nocquet, allievo del fondatore e presidente dell'Union Europeenne D'Aikido, il quale gli conferisce il 3° dan nel 1981 e il 4° dan nel 1983, nominandolo anche Presidente e Direttore Tecnico dell'Unione Italiana Aikido, emanazione italiana dell'U.E.A.

     In quell'anno il M° Corallini pubblica il suo primo libro sull'Aikido e frequenta moltissimi seminar diretti dai più grandi Sensei giapponesi: Tamura, Tohei, Yamada, Saotome, Chiba ecc. Nel 1984, stimolato dal desiderio di conoscere Morihiro Saito Sensei e di vedere il dojo dove il Fondatore aveva creato l'Aikido, si reca in Iwama (paese situato nella Prefettura di Ibaraki, a circa 90 km a nord-est di Tokyo).

     Qui avviene il magico incontro con Morihiro Saito Sensei, e subito il M° Corallini si rende conto che quello che veniva praticato in Iwama, era l'Aikido Tradizionale del Fondatore. Decide quindi che da quel momento in poi Morihiro Saito sarebbe stato il suo unico Maestro e ne diviene devotissimo deshi.

       Nel febbraio del 1985 Saito Sensei accetta l'invito di Paolo Corallini a dirigere un seminar di Iwama Takemusu Aikido in Italia e viene per la prima volta in Europa Centrale. Da quel lontano 1985 il M° Corallini ha invitato ogni anno Saito Sensei in Italia e si è recato egli stesso almeno ogni anno in Iwama, per ben 24 volte, per trascorrervi periodi di studio come Uchi Deshi (allievo interno).

       Nel 1985 il M° Corallini fonda l'IWAMA RYU ITALY, associazione di cinture nere che seguono esclusivamente e con fedeltà assoluta l'insegnamento di Saito Sensei. Dal 1984 ad oggi Paolo Corallini ha seguito il suo Maestro in molte nazioni come allievo fedele e si è sempre adoperato affinché l'Iwama Takemusu Aikido si diffondesse non solo in Italia ma in Europa ed oltre.

        Nel 1988 riceve il 5° dan dal Maestro Saito e in quegli anni riceve anche i 5 Mokuroku di Buki Waza e l'autorizzazione a conferire gradi Iwama Ryu Tai Jutsu-Buki Waza. Nel 1990 Saito Sensei lo nomina suo Rappresentante per l'Europa Centrale e Meridionale e nel marzo del 1993, nel dojo di Iwama, gli conferisce il 6° Dan e il titolo di SHIHAN. Il M° Corallini dirige ogni anno numerosi seminar in Italia e all'estero: Germania, Scozia, Svizzera, Francia, Portogallo,  Austria, Inghilterra, Spagna, Croazia, Bulgaria, Danimarca, Svezia, Russia, Libano, Sud Africa.

       Dal 1994 al 2006 egli è stato Direttore Tecnico Nazionale per il settore Aikido della F.I.J.L.K.A.M. (C.O.N.I.) su incarico del Presidente Federale, Dott. Matteo Pellicone.

      In data 14 marzo 2001 il Presidente della F.I.J.L.K.A.M. (C.O.N.I.), Dott. M. Pellicone conferisce al M. Corallini con decisione "Motu Proprio" il 7° Dan di Aikido "quale riconoscimento della pluriennale e meritoria opera da lui svolta in favore dell'Aikido e in considerazione delle tante e particolari benemerenze acquistate attraverso il sempre costante e qualificato impegno dimostrato per lo sviluppo tecnico e la diffusione dell' Aikido".

     Il 25 maggio 2001 Morihiro Saito Sensei conferisce a Paolo Corallini e Ulf Evenås il 7° Dan Iwama Ryu,  e li nomina suoi Rappresentanti Ufficiali (Kyoju Dai Ri).                                 

       Per la Federazione scrive nel 1998 un libro dal titolo "Aikido Iwama Ryu" e nel 1999 un volume edito dalla Sperling & Kupfer "Iwama Ryu Aikido".

       In data 15 aprile 2003 Moriteru Ueshiba Aikido Doshu autorizza ufficialmente Paolo Corallini  Sensei a condurre esami ai propri allievi per il conseguimento di gradi dan Aikikai e a richiedere personalmente e direttamente i relativi certificati presso l'Aikikai di Tokyo.

      Il Consiglio Federale F.I.J.L.K.A.M. nella riunione del 5 Febbraio 2005 ha conferito al M°. Corallini la Medaglia d'Onore al Merito Sportivo per le benemerenze acquisite durante la pluriennale attività svolta in favore delle discipline sportive della Federazione.

      Nel 2009 Corallini Shihan ha celebrato i suoi 40 anni di Aikido.

      Nel dicembre 2009 il Panathlon gli conferisce il Premio "Fair Play" per la sua carriera nell'Aikido.

      Il 16 gennaio 2010 Il Maestro Corallini riceve a Osimo il Premio "Apollino d'Oro" alla carriera per i meriti di divulgazione e di insegnamento dell'Iwama Ryu Aikido nel mondo.

      Il 9 gennaio 2011 il Doshu conferisce al M°. Corallini il 7° Dan Aikikai, in ratifica del precedente grado già conferitogli da Saito Morihiro Shihan. Il 7° Dan Aikikai non era mai stato conferito a nessun italiano prima d'ora.

 

 

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geishe scopriamo la storia

La geisha (芸者?) o gheiscia è una tradizionale artista e intrattenitrice giapponese, le cui abilità includono varie arti, quali la musica, il canto e la danza. Le geisha erano molto comuni tra il XVIII e il XIX secolo, ed esistono tutt'oggi, benché il loro numero stia man mano diminuendo. Nel mondo moderno e soprattutto in Occidente vengono erroneamente considerate come prostitute.

Introduzione

"Geisha", pronunciato /ˈɡeːʃa/,[1] è un termine giapponese (come tutti i nomi di questa lingua, non presenta distinzioni tra la forma singolare e quella plurale) composto da due kanji, (gei) che significano "arte" e (sha) che vuol dire "persona"; la traduzione letterale, quindi, del termine geisha in italiano potrebbe essere "artista", o "persona d'arte".

Un altro termine usato in Giappone per indicare le geisha è geiko (芸妓?), tipico del dialetto di Kyōto. Inoltre la parola "geiko" è utilizzata nella regione del Kansai per distinguere le geisha di antica tradizione dalle onsen geisha (le "geisha delle terme", assimilate dai giapponesi alle prostitute perché si esibiscono in alberghi o comunque di fronte ad un vasto pubblico, vedi più sotto).

L'apprendista geisha è chiamata maiko (舞妓?); la parola è composta anche in questo caso da due kanji, (mai), che significano "danzante", e o (ko), col significato di "fanciulla". È la maiko che, con le sue complicate pettinature, il trucco elaborato e gli sgargianti kimono, è diventata, più che la geisha vera e propria, lo stereotipo che in occidente si ha di queste donne. Nel distretto di Kyoto il significato della parola "maiko" viene spesso allargata ad indicare le geisha in generale.

Storia

Le prime figure presenti nella storia del Giappone che potremmo in qualche modo paragonare alle geisha sono le cosiddette saburuko: esse erano cortigiane specializzate nell'intrattenimento delle classi nobili, che ebbero il loro apice attorno al VII secolo per poi scomparire pochi secoli più tardi, soppiantate dalle juuyo, ossia prostitute di alto bordo, che ebbero più successo tra gli aristocratici.

Per cominciare però a parlare di una figura simile all'odierna "donna d'arte", dobbiamo aspettare fino al 1600, quando alle feste importanti, dove erano chiamate le juuyo, presero a partecipare le prime geisha, che in principio erano uomini. Anche se può sembrare strano, queste figure maschili avevano il compito di intrattenere con danze, balli e battute di spirito gli ospiti e le juuyo partecipanti, qualcosa di simile ai nostri giullari e buffoni medioevali. Col passare degli anni, circa attorno alla metà del secolo successivo, cominciarono a comparire le prime donne geisha, che presero rapidamente piede, contrapponendo alle rudi figure degli uomini la grazia della figura e dei movimenti femminili. Fatto sta che donne geisha furono così tanto richieste che in pochi anni soppiantarono i loro antenati uomini, acquistando l'esclusiva su questa professione.

Quando nel 1617, durante il periodo Edo, Tokugawa Hidetada, secondo shōgun dello Shogunato Tokugawa, rese la prostituzione legale in tutto il Giappone, bordelli e case di piacere si moltiplicarono a dismisura nelle città; poiché in questi anni la professione della geisha era ancora in via di assestamento, spesso questa figura e quella della prostituta si confusero. Infatti, anche se alle geisha fu subito proibito di acquistare la licenza di prostituzione[2], il controllo non era molto stretto. Fu solo nel XIX secolo, quando ormai le geisha avevano completamente soppiantato le juuyo, che si cominciarono ad emanare leggi più precise in tale proposito; in tutte le principali città del Giappone (Kyōto e Tokyo in particolare) furono approntati dei quartieri, detti hanamachi (花街? "città dei fiori"), perché in essi vi potessero sorgere le case da té (ochaya) e gli okiya (le case delle geisha), ben distinti dai bordelli, dove le geisha avrebbero potuto svolgere la loro professione, distinguendola definitivamente da quella delle prostitute. I primi hanamachi furono quelli di Kyoto, capitale imperiale, che avevano nome Yoshiwara e Shimabara.

Katsushika Hokusai, "L'onda" (Tsunami), 1826.

Nel frattempo, in Europa e nel mondo occidentale, il Giappone stava cominciando a fare la sua comparsa nella cultura popolare. Il fenomeno denominato giapponismo, infatti, alla fine dell'800 dilagò in tutto il continente, poiché le navi mercantili inglesi si trovarono d'improvviso davanti ad un porto nuovo, che fino ad allora era stato chiuso ai loro commerci: il Giappone, appunto, che tra il 1866 e il 1869, con un radicale cambiamento politico, pose fine al lungo periodo di isolamento che aveva caratterizzato la sua politica estera fino a quel momento, aprendosi alle importazioni occidentali ed esportando in occidente molte stampe ukiyo-e, che furono immediatamente molto conosciute.

Artisti come Manet, Van Gogh, Klimt e tutto il movimento impressionista furono profondamente influenzati da queste stampe che, sebbene fossero eseguite da artisti contemporanei, si rifacevano a tradizioni pittoriche antichissime, che non si curavano tanto dei volumi e delle prospettive quanto del colore. Il tratto semplice e netto, privo di chiaroscuro, e la stesura omogenea dei colori, sempre smaglianti e chiari, furono aspetti che piacquero molto, all'epoca, poiché rendevano queste stampe (spesso applicate su tavole lignee) estremamente decorative. Il soggetto nipponico, quindi, cominciò spesso ad essere rappresentato anche da artisti europei, come Claude Monet, che dipinse la moglie con il kimono e il ventaglio, o lo stesso Van Gogh, che nel 1887 dipinse "La cortigiana", il ritratto di una donna nei tipici costumi nipponici.

Yoshimachi Geisha.jpg

Il Giappone, insomma, aveva cominciato ad influenzare un po' tutti gli aspetti della vita quotidiana europea (furono rappresentate opere musicali sul tema, come The Mikado e la Madama Butterfly di Puccini, e all'inizio del '900 si affermò la moda dei kimono, indossati dalle signore bene di tutta Europa), ma la sua cultura, come spesso accade, fu travisata. In particolare la figura della geisha, appunto, che agli occhi degli occidentali divenne una donna sensuale e provocante, un'artista del sesso, che rifletteva quella rivolta contro il puritanesimo vittoriano che in quegli anni cominciava a svilupparsi maggiormente.

Lo spirito, infatti, con cui i soldati americani sbarcarono sulle coste giapponesi, nella Seconda guerra mondiale, rifletté subito quest'idea distorta che gli occidentali avevano delle geisha. Costoro, infatti, si aspettavano prostitute di classe, donne completamente asservite all'uomo e desiderose di compiacerlo. Ma questa immagine che si erano portati dietro, non corrispondeva alla realtà, dove le geisha rappresentavano invece gli unici esempi nella civiltà giapponese di donne emancipate e "libere", tutto il contrario di come erano state dipinte.

Nonostante questo, il mito della geisha prostituta, sottomessa e servile non terminò affatto con la fine del conflitto. Contribuì il fatto che, per compiacere i soldati, gli alti ranghi delle forze armate assunsero un vero e proprio esercito (più di 60.000 secondo lo storico orientalista John W. Dower) di prostitute, chiamate geisha girls, che contribuirono sia ad intrattenere gli uomini che a banalizzare ancor più la figura della geisha vera e propria. Difatti, dopo la vittoria americana, si cominciò a sviluppare, nella neonata Hollywood, un filone cinematografico molto prolifico, teso a ridisegnare ancora una volta la figura di queste donne, stavolta come arma anti-femminista. Le donne, infatti, che avevano preso il posto dei mariti, partiti per il fronte, negli enti pubblici e privati, rivendicavano ora con forza i loro diritti, e quale modo migliore di stroncare questi moti se non far tornare di moda la figura di una donna amorevole e sottomessa? Ecco che l'uomo torna, dopo la liberazione dal vittorianesimo, a rifugiarsi in oriente, per sentirsi servito e riverito.

Solo di recente, complice l'editoria, con la pubblicazione di molti volumi e romanzi sull'argomento (sicuramente importante il celebre Memorie di una geisha di Arthur Golden), e la cinematografia, si sta riscoprendo la vera storia di queste donne, che non poteva essere più lontano da quanto fino ad oggi è stato creduto.

Le geisha ieri: l'educazione

Tradizionalmente le geisha cominciavano il loro apprendimento in tenerissima età. Anche se alcune bambine venivano e vengono ancora vendute da piccole alle case di geisha ("okiya"), questa non è mai stata una pratica comune in quasi nessun distretto del Giappone. Spesso, infatti, intraprendevano questa professione in maggior numero le figlie delle geisha, o comunque ragazze che lo sceglievano liberamente.

Due maiko che danzano con il ventaglio. Kamogawa, Tokyo.

Gli okiya erano rigidamente strutturati; le fanciulle dovevano attraversare varie fasi, prima di diventare maiko e poi geisha vere e proprie, tutto questo sotto la supervisione della "oka-san", la proprietaria della casa di geisha.

Le ragazze nella prima fase di apprendimento, ossia non appena arrivano nell'okiya, sono chiamate "shikomi", e venivano subito messe a lavoro come domestiche. Il duro lavoro al quale erano sottoposte era pensato per forgiarne il carattere; alla più piccola shikomi della casa spettava il compito di attendere che tutte le geisha fossero tornate, alla sera, dai loro appuntamenti, talvolta attendendo persino le due o le tre di notte. Durante questo periodo di apprendistato, la shikomi poteva cominciare, se la oka-san lo riteneva opportuno, a frequentare le classi della scuola per geisha dell'hanamachi. Qui l'apprendista cominciava ad imparare le abilità di cui, diventata geisha, sarebbe dovuta essere maestra: suonare lo shamisen, lo shakuhachi (un flauto di bambù), o le percussioni, cantare le canzoni tipiche, eseguire la danza tradizionale, l'adeguata maniera di servire il tè e le bevande alcoliche, come il sake, come creare composizioni floreali e la calligrafia, oltre che imparare nozioni di poesia e di letteratura ed intrattenere i clienti nei ryotei.

Una volta che la ragazza era diventata abbastanza competente nelle arti delle geisha, e aveva superato un esame finale di danza, poteva essere promossa al secondo grado dell'apprendistato: "minarai". Le minarai erano sollevate dai loro incarichi domestici, poiché questo stadio di apprendimento era fondato sull'esperienza diretta. Costoro per la prima volta, aiutate dalle sorelle più anziane, imparavano le complesse tradizioni che comprendono la scelta e il metodo di indossare il kimono, e l'intrattenimento dei clienti. Le minarai, quindi, assistevano agli ozashiki (banchetti nei quali le geisha intrattevano gli ospiti) senza però partecipare attivamente; i loro kimono, infatti, ancor più elaborati di quelle delle maiko, parlavano per loro. Le minarai potevano essere invitate alle feste, ma spesso vi partecipavano come ospiti non invitate, anche se gradite, nelle occasioni nelle quali la loro "onee-san" (onee-san significa "sorella maggiore", ed è l'istruttrice delle minarai) era chiamata. Abilità come la conversazione e il giocare, non venivano insegnate a scuola, ma erano apprese dalle minarai in questo periodo, attraverso la pratica. Questo stadio durava, di solito, all'incirca un mese.

Dopo un breve periodo di tempo, cominciava per l'apprendista il terzo (e più famoso) periodo di apprendimento, chiamato "maiko". Una maiko è un'apprendista geisha, che impara dalla sua onee-san seguendola in tutti i suoi impegni. Il rapporto tra onee-san e imoto-san (che vuol dire "sorella minore") era estremamente stretto: l'insegnamento della onee-san, infatti, era molto importante per il futuro lavoro dell'apprendista, poiché la maiko doveva apprendere abilità rilevanti, come l'arte della conversazione, che a scuola non le erano state insegnate. Arrivate a questo punto, le geisha solitamente cambiavano il proprio nome con un "nome d'arte", e la onee-san spesso aiutava la sua maiko a sceglierne uno che,secondo la tradizione deve contenere la parte iniziale del suo nomee che secondo lei, si sarebbe adattato alla protetta.

La lunghezza del periodo di apprendistato delle maiko poteva durare fino a cinque anni, dopo i quali la maiko veniva promossa al grado di geisha, grado che manteneva fino al suo ritiro. Sotto questa veste, adesso, la geisha poteva cominciare a ripagare il debito che, fino ad allora, aveva contratto con l'okiya; l'addestramento per diventare geisha, infatti, era molto oneroso, e la casa si accollava le spese delle sue ragazze a patto che queste, lavorando, ripagassero il loro debito. Queste somme erano spesso molto ingenti, e a volte le geisha non riuscivano mai a ripagare gli okiya.

Le geisha oggi

Una via dell'hanamachi di Gion, a Kyōto.

Ai giorni nostri, il rituale di formazione ed educazione della geisha non è molto diverso da quello di cento anni fa. Le discipline in cui ogni geisha si deve specializzare sono le medesime, e la serietà con cui vengono offerte è sancita dal kenban (検番 ?), una sorta di albo professionale che obbliga coloro che vi sono iscritte al rispetto di regole morali ed estetiche molto severe, dall'abbigliamento, al trucco, allo stile di vita.

Il loro salario, inoltre, è fissato da organi statali appositamente adibiti; a costoro la geisha deve far sapere a quali incontri ha partecipato e per quanto tempo, perché essa possa ricevere lo stipendio in base al numero di clienti ed al tempo, e perché l'ufficio possa mandare il conto al cliente. In questo modo le geisha non sono più legate economicamente all'okiya, che per legge non può più far contrarre dei debiti alle sue geisha. Il tempo che viene loro pagato è misurato in base a quanti bastoncini di incenso bruciano durante la loro presenza, ed è chiamato senkōdai (線香代? "compenso del bastoncino d'incenso") o gyokudai (玉代? "compenso del gioiello"). A Kyoto, invece, si preferiscono i termini ohana (お花? "compenso del fiore") e hanadai (花代? con lo stesso significato).

Come si è detto precedentemente, le geisha stanno man mano scomparendo. La ragione principale, infatti, del successo delle geisha in passato va trovata nella passata posizione sociale della donna, soprattutto nel periodo Kamakura; essa doveva, infatti, rimanere confinata in casa, e riceveva un'educazione molto approssimativa, che non permetteva loro di conversare e di interessare adeguatamente i loro uomini. La geisha, perciò, compensava una figura femminile poco attraente, assolutamente sottomessa all'uomo e totalmente priva di una propria personalità, fornendo all'uomo quell'interesse che egli non riusciva a trovare tra le mura della propria abitazione. Ed è proprio la mutata condizione sociale della donna dei giorni nostri che sta facendo scomparire la figura della geisha. Le scuole stanno chiudendo una dietro l'altra e le ragazze iscritte sono in numero sempre minore, poiché il duro tirocinio a cui devono sottostare non è più gradito alle nuove generazioni.

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Ancora oggi, comunque, le geisha esistono, sebbene in minor numero. Le comunità che resistono sono principalmente quella di Tokyo e quella di Kyōto, la più importante. In quest'ultima esistono cinque hanamachi, i più famosi ed importanti dei quali sono quelli di Gion (diviso in Gion Kobu e Gion Higashi) e di Pontochō (gli altri due sono Miyagawacho e Kamishichiken), mentre Tokyo ne conta sei, anche se di minore importanza, Shimbashi, Akasaka, Asakusa, Yoshicho, Kagurazaka e Hachioji. Le geisha di Kyōto vivono ancora nei tradizionali okiya, e persistono figure come l'oka-asan, mentre fuori da questa città sempre più spesso queste decidono di vivere indipendentemente, in appartamenti nell'hanamachi o nei suoi pressi.

Le giovani donne che desiderano diventare geisha cominciano il loro addestramento sempre più tardi, dopo aver terminato un primo piano di studi nelle scuole statali, o persino l'università. Questo accade specialmente nelle città più popolate e aperte alla cultura occidentale, come Tokyo, dove le geisha sono, in media, più anziane rispetto a quelle di altre città.

Nel moderno Giappone è raro vedere geisha e maiko all'esterno del loro hanamachi. Nel 1920, infatti, c'erano più di 80.000 geisha in tutto il Giappone, ma oggi sono molte meno; il numero esatto non è noto se non alle geisha stesse (che sono molto protettive nei confronti del mistero che, anche nello stesso Giappone, aleggia attorno alla loro figura), ma si stima non siano più di un paio di migliaia. Molte di loro, inoltre, sono ormai quasi solamente un'attrazione turistica. La diminuzione dei clienti, infatti, con l'avvento della cultura occidentale, e la grande spesa che occorre pagare per ottenere l'intrattenimento di una geisha, hanno contribuito al declino delle antiche arti e tradizioni, che oggi sono difficili da trovare.

Geisha e prostituzione

Geisha in Kyoto.jpg

Come già accennato in precedenza, esiste oggi molta confusione, specialmente fuori dal Giappone, riguardo alla natura della professione della geisha; nella cultura popolare occidentale, le geisha sono frequentemente scambiate con prostitute di lusso. L'equivoco, che ha cominciato a diffondersi dal periodo dell'occupazione americana del Giappone, nella cultura cinese è, se possibile, ancor più marcato; in cinese, infatti, la parola geisha è tradotta con il termine yì jì (艺妓), dove (妓) ha il significato, appunto, di "prostituta".

Le geisha sono state spesso confuse con le cortigiane di lusso, chiamate oiran. Come le geisha, queste portano elaborate acconciature e tingono il viso di bianco; ma un semplice modo per distinguerle è che le oiran, portano l'obi (la cintura a fiocco legata in vita nel kimono) sul davanti, mentre le geisha lo portano a contatto con la schiena. La differenza, probabilmente, è dovuta al fatto che per le prime, dovendosi svestire spesso, l'obi risulterebbe in una posizione meno difficoltosa da rifare una volta finita la prestazione.

Un tipo particolare di geisha è costituito dalle cosiddette onsen geisha, "geisha delle terme". Costoro, infatti, sono geisha che lavorano negli onsen, ossia gli stabilimenti termali del Giappone, oppure più genericamente nei villaggi e nei luoghi turistici; sono viste molto male dai giapponesi, che le considerano quasi alla stregua delle prostitute, poiché, lavorando per i grandi alberghi, si esibiscono in danze e canti per un vasto pubblico, invece che per la ristretta cerchia di intenditori, come fa una geisha vera e propria, e ovviamente non sono iscritte al kenban.

Relazioni interpersonali e danna

Le geisha sono donne nubili, e possono decidere di sposarsi solo ritirandosi dalla professione. Se anche gli impegni di una geisha possono includere anche intrattenimenti di tipo amoroso, questo non è previsto nella sua professione. Una vera geisha non viene pagata per fare sesso, anche se può scegliere di avere relazioni con uomini incontrati durante il suo lavoro, sebbene mantenute al di fuori del contesto del suo lavoro come geisha.

Era uso nel passato che una geisha, per stabilirsi, prendesse un danna, o patrono. Tradizionalmente il danna era un uomo ricco, talvolta sposato, che aveva i mezzi per accollarsi le enormi spese di cui il lavoro di geisha abbisognava; anche oggi la tradizione del danna è viva, in Giappone, ma solo qualche geisha ne sceglie uno.

Anche se succedeva spesso che una geisha ed il suo danna si innamorassero, il sesso non era richiesto come pagamento per il supporto finanziario che il danna elargiva. Le convenzioni e i valori che si celavano dietro questo particolare rapporto sono molto intricate, sconosciute ed incomprensibili agli occidentali, come a molti giapponesi stessi.

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