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Archivio annuale 10/05/2012

Aikido senza Pace o Armonia

Libera traduzione dell’originale scritto da Christopher Li e pubblicato al seguente link:

http://www.aikidosangenkai.org/blog/archive/2012-04-01/aikido-without-peace-or-harmony          

Traduzione di Gianni Canetti

Amico, dov’è finito l’amore?

Copertina di  "Budo Hiketsu Aiki no Jutsu" ("Metodi segreti del Budo Aiki no Jutsu")
Pubblicato nell’anno 33 del periodo Meiji (1900)

L’Aikido è spesso conosciuto come "Arte di Pace" o "La Via dell’Armonia". Qualche volta e stato descritto come "La Via dell’Armonizzazione del Ki".

"Do" ovviamente, è "La Via", e la parola "Ki" è così comune al giorno d’oggi che può rimanere semplicemente scritta così com’è.

Quindi abbiamo "Ai" – che può non significare ne pace ne armonia.

Il carattere 合 è una copertura posta sopra un buco o un’apertura ed effettivamente significa "unire/associare", "corrispondere/abbinare" o "mettere insieme" (come un coperchio su di un contenitore).

Per essere certi, ci sono alcune implicazioni di pace e armonia – ma quando i Giapponesi parlano di queste cose usano termini completamente differenti (anche se alcuni composti includono questo kanji).

Questo non significa che pace, amore o armonia non siano importanti nell’Aikido o che non lo siano stati per il suo fondatore Morihei Ueshiba, per il quale certamente lo erano.

E questo non significa nemmeno che le traduzioni che ho dato all’inizio siano scorrette, perché non sono necessariamente sbagliate.

Quello che sono è interpretazione – tentano di tradurre la parola "Aikido" in modo che rappresenti la missione globale dell'arte.

Comunque, "Aiki" come composto con una specifica definizione tecnica esisteva molto prima di Ueshiba, ed è chiaro dalle sue scritture del 1960 che, a prescindere dai toni, la parola può essere stata aquisita, lui non ha mai abbandonato questa definizione tecnica.

Lui espanse in quel termine un piccolo pensiero, con la frase "Take Musu Aiki". Verso la fine della sua vita Ueshiba spesso prese a chiamare la sua arte "Take Musu Aiki", e questa direi che era la forma più elevate della sua arte. Qui troviamo un rilevante commento di Morihiro Saito:

In Iwama, O-Sensei esplorò l’Aikido attraverso le divinità guardiane del Budo e pregando ogni mattina ed ogni sera. E così il Takemusu Aikido venne creato. Egli diceva che l’Aikido iniziale non era il “vero” Aikido. Poteva non essere Aikido scorretto, ma questo è quello che  O-Sensei diceva. Nel Takemusu Aikido, poco a poco, nuove tecniche si manifestano spontaneamente. Questo non si ferma mai, è infinito come una spirale. Questo è Takemusu.

"Take" (武) significa "Marziale", e "Musu" (産) significa "far nascere" o "produrre" – quindi è facile intravvedere il riferimento sopra esposto, nel quale nuove tecniche appaiono spontaneamente, ma cosa significa tutto questo?

Cerchiamo di chiarire un po’ meglio.

Se prendiamo "Ai" inteso come  "mettere insieme" e "Ki" come…"Ki" otteniamo alla fine qualcosa come  "Mettere insieme con Ki".

Ma cosa dobbiamo mettere insieme?

E cosa significa "Take Musu"? Significa qualcosa di più di “creatività”?

Per arrivare a questo dobbiamo tornare indietro al Hachiriki, gli "8 Poteri".

Verso la fine dell’ultimo post, "Aikido and the Structure of the Universe", ho menzionato un commento di Morihei Ueshiba a proposito del Hachiriki:

八力は、対照力「動、静、解、凝、引、弛、合、分、」「9-1、8-2、7-3、6-4」をいいます。

"Gli 8 poteri sono forze opposte: Movimento – Immobilità, Fusione – Solidificazione, Spinta – Assorbimento, Combinazione – Scissione / 9-1, 8-2, 7-3, 6-4"

Alcune persone hanno replicato dicendo di non essere interessati alla numerologia, ma ovviamente questa non è numerologia, questa è la descrizione tecnica delle forze In e Yo (Yin e Yang). Possiamo vedere che i numeri sono gli stessi che Morihei Ueshiba ha citato come uno dei Gokui ("segreti") dell’ Aikido in "Kiichi Hogen and the Secret of Aikido".

Fatta eccezione che effettivamente questa è numerologia, qualche volta – qui possiamo vedere un simpatico diagramma che è stato postato da Josh Lerner su Aikiweb:

Morihei Ueshiba ha citato la coppie di numeri nella cornice esterna del qadrato magico

La leggenda narra che, lo schema ebbe origine dal dorso di una tartaruga magica in Cina, che emerse dalle aque del fiume Luo con questa matrice di punti sul suo carapace. Questi numeri e schemi sono la base della divinazione Cinese e numerologia come “I Ching” e geomanzia come il “Feng Shui”.

Quindi è veramente numerologia – eccetto quando non lo è – è anche un antica metodologia di allenamento per le arti marziali.

Gli otto poteri sono rappresentati nella cosmologia Cinese dalle forze opposte dello In e Yo (Yin and Yang) separate da una linea curva (rappresentando l’Uomo, otteniamo il paradigma Cielo-Terra-Uomo), e circondato da otto trigrammi rappresentanti le combinazioni mutevoli della combinazione delle forze In e Yo:

Tratto da "The Illustrated Canon of Chen Family Taijiquan" di Chen Xin

Nel diagramma sopra illustrato, possiamo vedere le forze opposte dello In e Yo nella loro progressione di cambiamenti intorno al cerchio. Gli 8 Poteri sono rappresentati da 8 trigrammi, che mostrano la progressione dei cambiamenti – le forze In rappresentate da linee tratteggiate e le forze Yo da linee continue.

Questi numeri sono anche utilizzati nelle arti marziali interne come il Baguazhang, la quale usa gli otto trigrammi come suoi principi guida.

E… nell’Aikido, secondo Morihei Ueshiba – come sopra, i numeri rappresentano una progressione di cambiamenti in relazione tra forze opposte. Questo è il motivo per cui Ueshiba le cita come uno dei segreti dell’Aikido.

Quindi cosa succede con queste forze opposte? Qui vediamo cosa Morihei Ueshiba avrebbe detto:

上にア下にオ声と対照で気を結び、そこに引力が発生するのである。

"Sopra il suono "A" e sotto il suono "O" – opposti connessi con Ki,  Forza Attrattiva (“Inryoku") viene creata."

Con "A" e "O" Ueshiba si riferisce al Ponte Galleggiante – in altre parole, un collegamento tra Cielo e Terra. Parleremo meglio del Ponte Galleggiante del Cielo in un altro momento – per adesso è sufficente dire che stiamo parlando della connessione tra gli opposti, forze opposte.

Come visto in precedenza, la connessione tra Cielo e Terra era importante per Ueshiba, il quale disse che l’Aikido è:

天地の理を身体に現実に描き出す道であります。

"La via dei principi tra Cielo e Terra è scritta nel vostro corpo.”

O anche più classicamente:

合気道は天地人和合の道と理なり。

"L’Aikido è Via e principio di armonizzazione di Cielo, Terra e Uomo."

Espresso nelle arti Cinesi questo è:

Tratto da "The Illustrated Canon of Chen Family Taijiquan" di Chen Xin

Così torniamo a "Inryoku", o "Forza Attrattiva".

"Inryoku" è anche il termine usato per "gravità", e possiamo vederlo tradotto così allo stesso modo. Comunque, quando usiamo questa parola nel contesto di forze opposte è facile capire che “gravità” non è la corretta interpretazione.

Quindi… cosa ha a che fare "Inryoku" con "Take Musu"? Qui vediamo cosa il fondatore ha detto:

武産とは引力の錬磨であります。

"Take Musu è la pratica della Forza Attrattiva."

Così adesso siamo pronti per la traduzione tecnica del termine "Take Musu Aiki":

"Mettere insieme forze opposte con Ki e praticare le forze attrattive che vengono così a crearsi."

Una vera delizia – possiamo capire perchè le più eloquenti traduzioni all’inizio di questo articolo possono essere state adottate.

In altre parole, questa traduzione dovrebbe essere chiara a chiunque con il giusto tipo di pratica, ed è molto più eloquente della versione classica.

 

Christopher Li

 

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Struttura del DOJO tradizionale

Il Dojo ha una organizzazione definita in quattro aree principali disposte indicativamente secondo i punti cardinali:

  • NORD   Kamiza (“posto d’onore”), che rappresenta la saggezza, è riservato al maestro (“Sensei”)      titolare del Dojo alle spalle del quale è appesa l’immagine del  fondatore (Ueshiba Morihei – O – Sensei) ;
  • EST        Joseki (“posto dei gradi alti”), che rappresenta la virtù, è riservato ai Senpai (compagni anziani in termini di pratica), agli ospiti illustri o in generale agli Yudansha (“cinture nere di grado Dan”);
  • SUD       Shimoza (“posto inferiore”), che rappresenta l’apprendimento, è riservato ai Mudansha (“senza grado Dan”);
  • OVEST  Shimoseki (“posto dei gradi bassi”), che rappresenta la rettitudine, è generalmente vuoto ma all’occorrenza è occupato dai 6° Kyu o Mukyu (“senza grado Kyu”).

 

L'ordine da rispettare è sempre quello per cui, rivolgendo lo sguardo a kamiza, i praticanti si dispongono dai gradi inferiori a quelli superiori, da sinistra verso destra.

Il capofila di shimoza, usualmente il più anziano tra i mudansha, di norma è incaricato del rispetto del Reiho.

 In particolare è incaricato di avvisare i compagni di pratica riguardo: l'assunzione della posizione formale in ginocchio seiza ("posizione formale"), del mokuso ("silenzio contemplativo") e del suo termine yame ("fine"), del saluto al fondatore shomen-ni-rei ("saluto al principale"), del saluto all'insegnante sensei-ni-rei ("saluto al maestro"), del saluto a tutti i praticanti otagai-ni-rei ("saluto reciproco"), e del ritorno alla posizione eretta kiritsu ("in piedi").
Nei dojo tradizionali, inoltre, vi è usualmente uno spazio adiacente alla parete dove vi sono conservate le armi per la pratica dei kata: bokken ("spada di legno"), tanto ("pugnale"), jo ("bastone"); e il nafudakake ("tabella dei nomi"), dove sono affissi in ordine di grado i nomi di tutti i praticanti appartenenti al dojo.

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Kamikaze IL vento divino

tratto da wikipedia

«  Voi siete il tesoro della nazione; con lo stesso spirito eroico dei kamikaze, battetevi per il benessere del Giappone e per la pace nel mondo. »

 
(Dalla lettera scritta dall'ammiraglio Takijiro Onishi, principale fautore dei kamikaze, e indirizzata ai giovani giapponesi, prima di suicidarsi il 15 agosto 1945.[1])

Kamikaze (神風) è una parola giapponese, di solito tradotta come vento divino (kami significa "divinità" — è un termine fondamentale nello shintoismo — e kaze sta per "vento" ka significa inspirare e ze significa espirare[2] ). È il nome dato ad un leggendario tifone che si dice abbia salvato il Giappone da una flotta di invasione Mongola inviata da Kublai Khan nel 1281. In Giappone la parola "kamikaze" viene usata solo per riferirsi a questo tifone. Internazionalmente questa parola viene generalmente riferita agli attacchi suicidi eseguiti dai piloti giapponesi (su aerei carichi di esplosivo) contro le navi alleate verso la fine della campagna del pacifico nella seconda guerra mondiale.

Gli attacchi aerei furono l'aspetto predominante e meglio conosciuto di un uso più ampio di attacchi — o piani — suicidi da parte di personale giapponese, inclusi soldati che indossavano esplosivo ed equipaggi di navi cariche di bombe. In giapponese il termine usato per le unità che eseguivano questi attacchi è tokubetsu kōgeki tai (特別攻撃隊, letteralmente "unità d'attacco speciale"), solitamente abbreviato in tokkōtai (特攻隊). Nella seconda guerra mondiale le squadre suicide provenienti dalla Marina Imperiale Giapponese furono chiamate shinpū tokubetsu kōgeki tai (神風特別攻撃隊), dove shinpū è la lettura-on (cinese) dei kanji che formano la parola "kamikaze".

Dalla fine della seconda guerra mondiale, la parola kamikaze è stata applicata ad una varietà più ampia di attacchi suicidi, in altre parti del mondo ed in altre epoche. Esempi di questi includono Selbstopfer nella Germania nazista durante la seconda guerra mondiale ed attentati suicidi di natura terroristica e militare. L'uso internazionale corrente del termine kamikaze per identificare attentati suicidi di natura terroristica – o di qualsiasi altra natura – non viene adottato dalla stampa nipponica, che invece gli preferisce jibaku tero (自爆テロ), abbreviazione della locuzione anglo-giapponese jibaku terorisuto (自爆テロリスト, "terroristi autoesplodenti").

Seconda guerra mondiale

Situazione

Le forze giapponesi, dopo la loro sconfitta nel 1942 alla battaglia delle Midway avevano perso l'iniziativa che avevano all'inizio della Guerra del Pacifico (conosciuta ufficialmente in Giappone come "Grande Guerra dell'Asia Orientale"). Nel 194344 le forze alleate, sostenute dalla potenza industriale e dalle risorse naturali degli Stati Uniti d'America stavano avanzando costantemente verso il Giappone.

I caccia giapponesi erano ormai messi in minoranza e surclassati dai nuovi caccia USA, particolarmente l'F4U Corsair e il P-51 Mustang e, a causa delle perdite in combattimento, i piloti di caccia abili stavano diventando sempre più rari. Infine la scarsezza di parti di ricambio e di carburante rendevano problematiche anche le normali operazioni di volo.

Il 15 luglio 1944, l'importante base giapponese di Saipan venne occupata dalle forze alleate. Ciò rese possibile l'uso dei bombardieri a lungo raggio B-29 Superfortress per colpire direttamente il Giappone. Dopo la caduta di Saipan l'alto comando giapponese predisse che il prossimo obiettivo degli alleati sarebbero state le Filippine, strategicamente importanti per la loro posizione tra il Giappone ed i campi petroliferi del sud est asiatico.

Questa predizione si avverò il 17 ottobre 1944 quando le forze alleate assaltarono l'isola di Suluan iniziando la battaglia del golfo di Leyte. Alla Prima Flotta Aerea della Marina Imperiale Giapponese con base a Manila venne assegnato l'incarico di assistere le navi giapponesi che avrebbero tentato di distruggere le forze alleate nel golfo di Leyte. La Prima Flotta Aerea disponeva di soli 40 aerei: 34 Mitsubishi Zero imbarcati su portaerei, e 3 aerosiluranti Nakajima B6N, 1 Mitsubishi G4M, 2 bombardieri Yokosuka P1Y e un aeroplano da ricognizione. Il compito che dovevano affrontare le forze giapponesi pareva totalmente impossibile. Il comandante della Prima Forza Aerea, il vice ammiraglio Takijiro Onishi decise di formare una "Forza d'Attacco Speciale Kamikaze"; Onishi divenne il "padre dei kamikaze". In un incontro all'aeroporto di Mabacalat (Clark Air Base) vicino a Manila, Onishi che stava visitando i quartieri del 201º Corpo Navale di Volo suggerì: «Non penso che ci sia un'altra maniera di eseguire l'operazione che mettere una bomba da 250 kg su uno Zero e farlo sbattere contro una portaerei per metterla fuori combattimento per una settimana.»

La prima unità kamikaze

Il comandante Asaiki Tamai chiese ad un gruppo di abili studenti di volo che aveva personalmente addestrato di unirsi alla forza di attacco speciale. Tutti i piloti alzarono entrambe le mani, dando pertanto l'assenso ad unirsi all'operazione. Più tardi Asaiki Tamai chiese al tenente Yukio Seki di comandare la forza di attacco speciale.

Si dice che Seki Yukio abbia chiuso gli occhi ed abbassato la testa per dieci secondi prima di chiedere: «La prego di lasciarmelo fare».

Yukio Seki divenne pertanto il 24° pilota kamikaze ad essere scelto.

Dunque, il 20 ottobre 1944 è la data di nascita del reparto kamikaze, formato da 24 piloti del 21º Stormo:

  • Unità d'Attacco Speciale Tokkoutai (abbreviazione di Tokubetsu Kougekitai) "Shinu"
    • Unità Shikishima (Isola Bella)
    • Unità Yamato (Razza Giapponese)
    • Unità Asahi (Sol Levante)
    • Unità Yama-zakura (Fiori di Ciliegio Selvatico di Montagna)

Questi nomi furono tratti da un poema patriottico (waka o tanka) dello studioso giapponese classico Motoori Norinaga, scritta nel XVIII secolo:

Shikishima no
Yamatogokoro wo
Hito towaba
Asahi ni niou
Yama-zakura bana

(in italiano: Se mi chiedete cos'è l'anima della razza giapponese della bella isola, rispondo che è come fiore di ciliegio selvatico ai primi raggi del sol levante, puro, chiaro e deliziosamente profumato.)

I primi attacchi

Un Mitsubishi Zero in procinto di colpire la USS Missouri.

Almeno una fonte cita un episodio di aeroplani giapponesi scontratisi con le portaerei USS Indiana e USS Reno a metà del 1944, considerandoli come i primi attacchi kamikaze della seconda guerra mondiale[3], ma le prove che questi scontri fossero intenzionali e non collisioni accidentali, possibili durante intense battaglie aeronavali, sono scarse.

Il ponte e torrette di prua della HMAS Australia, nel settembre 1944. L'ufficiale a destra è il capitano Emile Dechaineux, ucciso durante il primo attacco kamikaze il 21 ottobre 1944.

Secondo le testimonianze del personale alleato, il primo attacco kamikaze — nel senso generalmente accettato del termine — non venne eseguito dall'unità di Tamai, ma da un pilota giapponese non identificato. Il 21 ottobre 1944 l'ammiraglia della Marina Reale Australiana, venne colpita da un aeroplano giapponese armato con una bomba da 200 kg (441 libbre). L'aeroplano colpì le sovrastrutture dell'Australia sopra il ponte spargendo carburante e detriti su una vasta area. La bomba non esplose, altrimenti la detonazione avrebbe potuto effettivamente distruggere la nave. Nell'attacco morirono almeno 30 membri dell'equipaggio, incluso l'ufficiale comandante, il capitano Emile Dechaineux; tra i feriti ci fu il commodoro John Collins, comandante della forza australiana.

Il 25 ottobre l'Australia venne colpito nuovamente e forzato a ritirarsi nelle Nuove Ebridi per le riparazioni. Quello stesso giorno cinque caccia Zero condotti da Seki attaccarono una portaerei di scorta: la USS St. Lo. Sebbene solo un kamikaze riuscì a colpirla con efficacia, la bomba a bordo dell'aereo causò un incendio che fece esplodere il deposito bombe, affondando la portaerei. Altri colpirono e danneggiarono altre navi alleate. Poiché molte portaerei americane avevano ponti di volo in legno, furono considerate più vulnerabili agli attacchi kamikaze rispetto alle portaerei britanniche della Flotta Britannica del Pacifico, dotate di ponti in acciaio.

L'Australia ritornò nella zona di combattimento nel gennaio 1945, prima della fine della guerra subì (e sopravvisse) a sei diversi attacchi di kamikaze, con una perdita totale di 86 vite. Tra le navi principali che sopravvissero ad attacchi multipli di kamikaze durante la seconda guerra mondiale, vanno ricordate l'Intrepid e la Franklin, entrambe della classe Essex.

L'ondata principale degli attacchi kamikaze

La USS Columbia attaccata da un kamikaze fuori dal Golfo di Lingayen, 6 gennaio 1945

Il kamikaze colpisce la Columbia alle 17:29. L'aeroplano e la bomba penetrano due ponti prima di esplodere, uccidendo 13 uomini e ferendone 44.

I primi successi, come l'affondamento della St. Lo portarono ad uno sviluppo immediato del programma e nel giro dei mesi successivi vennero lanciati oltre 2000 attacchi suicidi. Nel computo vanno compresi le azioni di guerra eseguite con le bombe razzo Yokosuka MXY7 Ohka ("Bocciolo di ciliegio", ribattezzata baka: "folle" dagli statunitensi), costruite appositamente per questo scopo, e gli assalti condotti con piccole barche imbottite d'esplosivo, o torpedini guidate dette kaiten.

Gli aerei kamikaze espressamente costruiti come tali, a differenza dei caccia o bombardieri in picchiata convertiti allo scopo, non possedevano meccanismi di atterraggio. Un aeroplano progettato specificamente, il Nakajima Ki-115 Tsurugi, era realizzato con una struttura in legno, semplice da costruire e pensato per utilizzare le scorte di motori rimanenti. Il carrello non era retrattile e veniva sganciato poco dopo il decollo per consentire il riutilizzo con altri aeroplani.

Il picco dell'attività venne toccato il 6 aprile 1945 durante la battaglia di Okinawa, quando varie ondate di aeroplani condussero centinaia di attacchi durante l'Operazione Kikusai (Crisantemi galleggianti). A Okinawa gli attacchi dei kamikaze si focalizzarono all'inizio sui cacciatorpediniere in servizio di protezione e quindi sulle portaerei al centro della flotta. L'offensiva, per cui vennero utilizzati 1465 aeroplani, seminò distruzione: i resoconti delle perdite variano, ma per la fine della battaglia almeno 21 navi americane erano state affondate dai kamikaze, insieme a navi alleate di altra nazionalità e dozzine di altre erano state danneggiate.

L'offensiva comprese la missione di sola andata della nave da battaglia Yamato, che non riuscì a raggiungere le vicinanze dell'operazione perché affondata dagli aerei alleati a diverse centinaia di miglia di distanza (Vedi Operazione Ten-Go).

A causa della scarsità del loro addestramento, i piloti kamikaze tendevano ad essere facili prede per gli esperti piloti alleati, che pilotavano aerei di molto superiori. Anche gli equipaggi navali alleati iniziarono a sviluppare tecniche per neutralizzare gli attacchi dei kamikaze, come sparare con i cannoni navali di grosso calibro nel mare lungo la direzione di attacco, per poterli inondare. Queste tattiche non potevano essere usate contro gli Okha ed altri attacchi veloci portati in picchiata dall'alto, ma quest'ultimi aerei erano più vulnerabili al fuoco antiaereo e ai caccia Alleati.

Nel 1945 l'esercito giapponese iniziò ad accumulare scorte di centinaia di Tsurugi, di altri aerei a propulsione, di Ohka e di navi suicide per fronteggiare le forze alleate, che si aspettavano avrebbero invaso il Giappone. Pochi di essi vennero usati.

L'uso come difesa contro i raid aerei

Quando il Giappone iniziò ad essere soggetto al bombardamento strategico da parte dei bombardieri B-29 Superfortress dopo la cattura di Iwo Jima l'esercito giapponese tentò di usare attacchi suicidi contro questa minaccia.

Comunque questa si dimostrò molto meno fruttuosa e pratica, poiché un aeroplano era un bersaglio molto più piccolo, manovrabile e veloce di una tipica nave da guerra. Aggiungendo a ciò il fatto che il B-29 possedeva un formidabile armamentario difensivo, gli attacchi suicidi contro questo tipo di aeroplano richiedevano un'abilità di volo considerevole per avere successo. Ciò era contrario allo scopo fondamentale di usare piloti sacrificabili e incoraggiare i piloti abili a balzare fuori prima dell'impatto era inefficace causando spesso la morte di personale vitale che calcolava male il tempo di uscita e falliva l'impatto e/o ne restava ucciso.

Effetti

Alla fine della seconda guerra mondiale il servizio aeronautico della marina giapponese aveva sacrificato 2.526 piloti kamikaze, mentre quello dell'esercito ne aveva sacrificati 1.387. Secondo un dato ufficiale, di fonte giapponese, le missioni affondarono 81 navi e ne danneggiarono 195, ammontando (rispetto al conteggio giapponese dei danni inflitti) all'80% delle perdite USA durante le fasi finali della guerra nel Pacifico. Secondo una fonte delle forze aeree americane:

  « Approssimativamente 2.800 attaccanti kamikaze affondarono 34 navi della marina, ne danneggiarono altre 368, uccisero 4.900 marinai e ne ferirono oltre 4.800. Nonostante l'allarme dei radar, l'intercettazione in volo ed un massiccio fuoco antiaereo il 14% degli attacchi Kamikaze giungeva fino all'impatto contro una nave; circa l'8,5% delle navi colpite dagli attacchi kamikaze affondò »
 
(Airforcehistory[4].)

Tradizioni e folklore

L'esercito giapponese non ebbe mai problemi nel reclutare volontari per le missioni kamikaze; in effetti ci fu il triplo di volontari rispetto agli aerei disponibili. In conseguenza di ciò i piloti esperti venivano scartati, in quanto considerati meglio impiegati in ruoli difensivi e di insegnamento. Il pilota kamikaze medio aveva circa 20 anni e studiava scienze all'università. Le motivazioni nell'offrirsi volontario andavano dal patriottismo, al desiderio di portare onore alle proprie famiglie, al mettersi alla prova — in maniera estrema.

Venivano spesso tenute cerimonie speciali, immediatamente prima della partenza delle missioni kamikaze, nelle quali ai piloti che portavano preghiere delle loro famiglie venivano date decorazioni militari. Queste pratiche aiutavano a romanzare le missioni suicide, attraendo pertanto altri volontari. I kamikaze giapponesi inoltre indossavano la nota bandana bianca con dei motivi patriottici disegnati, chiamata hachimaki.

Secondo la leggenda i giovani piloti delle missioni kamikaze spesso volano a sud-ovest dal Giappone sopra il monte Kaimon, alto 922 metri. La montagna è anche detta "Satsuma Fuji" (indicando una montagna bella simmetricamente, come il Monte Fuji, ma situata nella regione di Satsuma). I piloti delle missioni suicide vedevano questo guardandosi alle spalle, la montagna più a sud del Giappone mentre erano in aria, dicendo addio al proprio paese e salutavano la montagna.

I residenti dell'isola di Kikajima, ad est di Amami Ōshima, dicono che i piloti delle missioni suicide lanciavano fiori dall'aria mentre partivano per la loro missione suicida. Presumibilmente le colline sopra l'aeroporto di Kikajima hanno campi di fiordalisi che sbocciano all'inizio di maggio[5].

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Dojo KUN: le regole del gioco

(articolo tratto da www.budoblog.it)

Dojo Kun: le regole del gioco (introduzione)

Mi hanno sempre affascinato le regole di un gioco, non tanto per imparare a giocare e capire chi fa cosa, quanto per immergermi nelle finalità, negli obiettivi, nello scopo per il quale il gioco stesso è stato creato.

Anche le arti marziali possono essere paragonate a un gioco, poiché ci si diverte molto, ma anche perché coinvolgono il praticante – dal bambino all’adulto – in un mondo creativo, fantasioso, talvolta irrazionale ma non per questo privo di regole!

 

Il dojo kun è ciò che lega indissolubilmente il giocatore (=il marzialista) con l’aspetto più puro dettato da semplici ma fondamentali regole comportamentali: lo spirito del Budo viene racchiuso in pochi principi che permettono di trovare la via, il “do”, la strada che conduce allo scopo ultimo dell’arte praticata. Al di là del luogo in cui ci troviamo (“dojo”), palestra, cantina, posto di lavoro, tra le mura domestiche o in vacanza, dovremmo tenere in considerazione queste regole al fine di esercitarci quotidianamente nei valori che in essi si celano.

Tali principi, che esporrò in una serie di articoli dettati non tanto dagli studi in materia quanto dall’esperienza diretta, sono uno dei modi migliori per progredire nel Budo. Mi soffermerò in particolare su quelli del karate di Okinawa, che presentano molte analogie con i principi del Budo giapponese e che ho scelto di approfondire quando praticavo “tecnicamente” karate. Nel karate-do vi sono 5 principi del “dojo kun”, il cui codice originario è stato creato dal Maesto Sukagawa di Okinawa, e sono relativi al:

  1. perfezionamento del proprio carattere
  2. miglioramento del rapporto con gli altri
  3. curare il proprio spirito di ambizione
  4. onorare l’etichetta del comportamento
  5. agire senza alcuna forma di violenza

A presto… con la prima regola del gioco!

un bel articolo del mio amico Stefano da Brascia

 

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SAMURAI, tra passato e presente

Novara, Maggio 2012

INTK , in occasione dei campionati mondiali di kendo, in collaborazione con CIK e sotto il patrocinio del comune di Novara, ha organizzato il più esteso e importante evento dalla data della sua istituzione, oltre che il più interessante evento inerente la spada giapponese mai presentato in Italia.

A cavallo di tre fine settimana e durante le intere due settimane, dal sabato 5 Maggio fino a Domenica 27 Maggio, sarà allestita la mostra e nel fine settimana dal 19 al 21 Maggio il maestro Yoshihara condurrà la forgiatura di una katana, a partire da un sunobe, mostrerà la procedura dell 'allungamento della lama, la definizione di tutti i piani e la tempra finale. Nella ambientazione di eccezione del palazzo del Broletto di Novara, nel cortile di pietra medioevale, vedremo pian piano prendere forma all' acciaio grazie al sapiente martello del maestro Yoshindo e quello dei suoi assistenti. La bellezza del palazzo creerà un ambientazione unica, fatta di pozzi di pietra e portoni di legno, balconate e portici che permetteranno di ammirare il tutto dall'alto, molto spazio e una caratterizzazione davvero unica. La mostra è allestita a pochi passi dalla forgia del maestro, nella sala del consiglio del palazzo, antica sede del Com une Medioevale, una sede ricca di fascino storico, dove sono ancora presenti gli scranni di legno medioevali, gli stemmi e le vestigia dell'antica Novara. La mostra vedrà l'esposizione di quasi 50 lame, provenienti dalle collezioni dei nostri soci, e comprenderà alcuni pezzi di rilievo assoluto.
Durante il periodo, e in modo complementare agli altri eventi, Leon Kapp e Massimo Rossi effettueranno diverse dimostrazioni di togi, il restauro e affilatura tradizionale delle lame giapponesi. Nei fine settimana saranno sempre presenti i membri della associazione INTK, che organizzeranno visite guidate, incontri con il pubblico, esposizioni speciali dei pezzi in mostra e altre iniziative, di cui alcuni saranno riservati ai soci e amici di INTK. Inutile sottolineare che questo evento sarà l'occasione per incontrare tutti i più importanti personaggi della spada giapponese in Italia, studiosi, collezionisti, ma soprattutto artigiani, restauratori ed esperti a vario titolo, soci di INTK e non, e sono stati invitati molti amici anche dall'estero.
Visto il molto tempo a disposizione e l'impegno che stiamo rivolgendo a questo evento, saranno sicuramente organizzate iniziative dell'ultimo minuto, quali ad esempio lo studio approfondito di alcune lame dal vivo, guidato dagli esperti presenti, e non mancherà nessuna occasione per un confronto tra tutti i presenti.

Il programma attuale :

– Sabato 5 Maggio ore 16:30 – Inaugurazione mostra INTK, presentazione dei dirigenti e incontro con il pubblico.
– Tutta la settimana – Mostra aperta al pubblico
– Venerdì 18 Maggio – Allestimento della forgia
– Sabato 19 Maggio ore 17 circa – Inizio della forgiatura del maestro Yoshihara: martellatura e allungamento dell'acciaio, tsukurikomi di base.
– Domenica 20 Maggio ore 17 circa – seconda fase della forgiatura, definizione dei piani, tsukurikomi finale.
– Lunedì 21 Maggio ore 18 circa – fasi preparatorie della tempra, stesura dello tsuchioki ; ore 21, – Yaki-ire finale, tempra della lama, fasi di finitura preliminare da parte di togishi presenti e presentazione finale della katana.
– Tutta la settimana – Mostra aperta al pubblico
– Domenica 27 ore 17 – Chiusura della mostra, incontro finale con gli organizzatori.

Per l'accesso alla mostra, il comune richiede il pagamento del biglietto al complesso monumentale del Broletto, che comprende la visita al palazzo, il prezzo comunque è limitato, attorno ai 7 euro ed è convenzionato con numerosi enti come tutti i musei della regione Piemonte.
La dimostrazione del maestro Yoshindo Yoshihara invece, sarà nel cortile, accessibile liberamente al pubblico.

Il programma è ancora molto aperto. Chiunque voglia proporre una iniziativa, organizzare un incontro particolare, o richiedere qualcosa, può contattare direttamente gli organizzatori.
Invitiamo quindi tutti gli appassionati, soci e non, nell'ottica più aperta possibile, a partecipare agli eventi e a vivere tutti insieme questa grande festa e questi eventi unici.

Per qualsiasi informazione è possibile chiedere in questa discussione sul forum, oppure scrivendo direttamente a Simone Di Franco all' indirizzo webmaster@intk.it , a Massimo Rossi all'indirizzo rossi@intk-token.it e agli altri contatti che troverete sul nostro sito internet.

Come sempre, se avete qualsiasi problema per collegarvi al forum o per qualsiasi cosa che riguardi il sito internet di INTK, potete contattarmi all'indirizzo e-mail webmaster@intk.it

Grazie, a presto.

Simone Di Franco

consigliere di INTK e amministratore di intk-token.it

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Stage Aikido e Esami DAN

ASSOCIAZIONE “AISHIN”

 

 

AIKIDO

 

PRESSO LA PALESTRA

AREA SPORT

Via Castelgomberto 116 – TORINO

 

SABATO 12 MAGGIO 2012

DALLE ORE 14,00 ALLE ORE 15,00

SI SVOLGERANNO GLI ESAMI PER I E II DAN

Gli esaminandi sono invitati a presentarsi 30 minuti prima con tutta la documentazione richiesta:Aikido-pass, jo, boken, tanto.

 

DALLE ORE 15,00 ALLE ORE 17,30

STAGE libero a tutti

Diretto dal maestro Pino Gramendola 6° Dan

 

OBBLIGATORIO MUNIRSI DI CALZINI PER PRATICARE L’USO DELLE ARMI

 

Siete tutti invitati a presenziare, in modo particolare coloro che hanno presentato domanda per le prossime sessioni d’esame.

Portare: Jo, boken, tanto e Aikido-pass precompilato

N.B.:tutti i partecipanti devono essere in possesso della tessera di iscrizione al proprio ente di promozione sportiva valida per l’anno 2012.

 

Per informazione tel. 3396431125

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Il cibo nella cultura nipponica

L'arte culinaria nel Giappone tradizionale

L'atto di mangiare, in Giappone, non è un semplice gesto per nutrirsi bensì è parte intrinseca della cultura nipponica. Il modo di preparazione, di cottura e di consumo è un'arte dove l'estetica, la tradizione, la religione e la storia sono altrettanto importanti, se non di più che il cibo stesso. Ogni fase nella preparazione e presentazione di un piatto è come il movimento di una sinfonia, e un pasto giapponese riflette la più intima natura di questo popolo, il suo amore per una bellezza disciplinata, il suo rispetto per ogni forma d'espressione artistica.
Contrariamente ai costumi occidentali che tentano di mescolare i sapori, i piatti sono costituiti da differenti alimenti ognuno dei quali deve possedere ciascuno la propria individualità di gusto e di aspetto.
I consumi alimentari dei giapponesi hanno profonde radici nella loro storia, e nella natura della loro terra e del loro mare. Le isole giapponesi sono circondate da acque ricchissime di pesce, mentre solo una piccola parte delle terre è adatta alla coltivazione, di modo che – con un paio di eccezioni – il pesce e altri prodotti ittici giocano un ruolo primario nell'alimentazione quotidiana e, a Tokyo al mercato di Ameyoko vicino al parco di Ueno, al mercato centrale di Tsukiji, le bancarelle abbondano di sarde, di piccoli pesci sott'olio, di alghe, di molluschi ecc. La vendita all'incanto dei tonni alle prime ore dell'alba è uno spettacolo al quale ogni turista dovrebbe assistere.
Delle eccezioni suddette la più importante è il riso, pilastro dell'alimentazione giapponese fin dall'antichità, e anche oggi presente in tavola ad ogni pasto, cominciando dalla prima colazione.
Il Giappone non sarebbe il Giappone senza il gohan, che significa sia pasto che riso ed è presente dalla prima colazione alla cena.
Le porzioni sono sempre minuscole, preferendo moltiplicare così i sapori come se ogni pasto fosse un campionario da degustazione.
Qui, non si ricercano i prodotti esotici o fuori stagione, poiché ogni stagione apporta le proprie specialità.

La tradizione culinaria giapponese risale a tempi lontani

Tra il VI e il VII secolo della nostra era, il Giappone è stato largamente influenzato dalle sue strette relazioni con la Cina, quando si importavano il tè verde e i fagioli di soia. La cucina cinese, molto più complessa e più sofisticata, era influenzata dal buddhismo, una religione basata sulla valorizzazione e il rispetto qualsiasi forma di vita – la carne era bandita dall'alimentazione quotidiana in quanto colpiva la vita animale. Tutta questa filosofia ha segnato il menu tradizionale. Questa influenza ebbe fine a metà del IX secolo con la caduta della dinastia Tang. Poi giunse l'età d'oro del Giappone, chiamata età Heian, dal nome di Heian-Kyo, l'antica capitale del Giappone (l'attuale Kyoto).
Per 400 anni, la vita sociale e l'arte in generale furono al loro apogeo. Si elaborò un codice per il cerimoniale e, se la tavola era ancora frugale, la disposizione dei piatti e degli alimenti entrò a far parte della rivoluzione dell'arte e dell'estetismo visivo. Più tardi, l'epoca dei samurai introdusse l'eleganza e l'arte di mangiare divenne un'arte, una raffinatezza e una cerimonia.
I primi contatti con il mondo occidentale non furono indolori. Parimenti a quello cinese, il popolo nipponico considerava gli occidentali come dei barbari, e per far loro piacere, creò a metà del XVI secolo il tempura, traendo ispirazione da alcuni piatti fritti portoghesi e adottando questo principio con un'arte consumata e una leggerezza di tessitura che andavano ben oltre alla versione originale. Non è che alla fine del XIX secolo, dopo una lunga frequentazione del mondo in generale, che la cucina giapponese abbandò la dieta vegetariana.

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UKE il significato

Uke è un ideogramma giapponese (detto “kanji“) che rappresenta due mani, una rivolta verso il basso e una verso l’alto, oltre a un carattere posto tra le due che ha il significato di “barca”. Uke indica una sorta di “trasmissione di merci, attraverso una barca (ovvero il mezzo), da una persona all’altra” (ovvero la mano) e lungo i secoli ha assunto il significato di “ricevere” qualcosa attraverso uno strumento. Tale strumento è la tecnica, in cui l’esecuzione di un gesto, sia esso una leva articolare, una presa, un’immobilizzazione, un colpo, che porta una persona a dare qualcosa che l’altra “accetta”, riceve in senso piacevole e mai lesivo a livello psico-fisico o spirituale.

Ad esempio le ukemi, volgarmente tradotte con “cadute”, sono una bellissima forma di ricezione e non di sottomissione, inteso come subire un qualcosa dal compagno di pratica. Non si subisce, si assorbe l’energia di colui che ha eseguito la tecnica e si lascia fluire il proprio corpo verso terra. Uke non è il ruolo del perdente, dello sconfitto, tutt’altro: è colui che con umiltà ha accettato il ruolo di chi gli sta di fronte e soprattutto il suo… aprendo un porta, o meglio un portone, su un meraviglioso mondo ai più sconosciuto…

 

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O-SENSEI

Morihei Ueshiba (植芝盛平 Ueshiba Morihei?) (Tanabe, 14 dicembre 1883Tokyo, 26 aprile 1969) è stato un artista marziale giapponese. Considerato uno dei più grandi maestri di arti marziali del XX secolo, è stato il fondatore dell'Aikidō e viene definito Ōsensei (gran maestro) dagli aikidōka.

La vita

Bambino esile e molto fragile viene spinto dal padre, uomo di politica, a praticare il sumo e il nuoto per irrobustire il proprio corpo. Comincia a praticare con costanza e dedizione le arti marziali a seguito di una vicenda che vede coinvolto il padre picchiato a sangue dai suoi avversari politici. Decide quindi di imparare le arti marziali per difendere se stesso e i suoi cari.

Frequenta varie scuole e impara diversi stili di Jūjutsu e di Bukijutsu. L'arte che segnerà il suo cammino marziale sarà però il Daito-Ryu Aiki Jujutsu, l'arte dai samurai della famiglia Takeda.
Il suo principale maestro fu Takeda Sōkaku, considerato da alcuni uno degli ultimi veri samurai, che gli insegnò il Daitō ryū conferendogli il grado che sta sotto solo al Menkyō kaiden e il certificato di maestro di Daitō ryū Aiki Jūjutsu. Aprirà quindi un proprio dōjō a Tōkyō dove inizierà a insegnare l'Aiki Budō, specchio del Daitō ryū e scheletro dell'Aikidō. Fonderà presto l'associazione Aikikai Foundation e il Kobukan dōjō ne diventerà l'honbu dōjō.

Durante il suo soggiorno a Tōkyō verrà a conoscenza di una tragica notizia che vedrà coinvolto suo padre, ormai in fin di vita. Deciderà quindi di partire per Tanabe ed accorrere al capezzale del padre morente, ma durante il viaggio, incontrerà una persona che segnerà profondamente la sua vita, il suo cammino spirituale e l'arte dell'Aikido. Costui fu Ōnisaburō Deguchi, capo di una setta shintoista chiamata Ōmoto-kyō. Deciderà quindi di recarsi ad Ayabe, nella sede dell'Ōmoto-kyō. Durante il suo soggiorno ad Ayabe suo padre muore. Morihei rimarrà ad Ayabe per diversi anni diventando la guardia del corpo di Ōnisaburō Deguchi e partecipando insieme alla setta a diverse vicende.

Successivamente si recò ad Iwama, nella prefettura di Ibaraki, dove fondera l'Ibaraki dōjō e l'Aiki Jinja, il tempio dell'Aikidō. Qui fonderà l'arte, la filosofia e la religione conosciuta col nome di Aikidō e si dedicherà allo studio del Budō e all'agricoltura.

Da questo periodo in poi verranno narrati diversi aneddoti che vedranno protagonista Ueshiba in sbalorditive dimostrazioni anche di carattere sovrannaturale, testimoniate da diversi suoi allievi. Egli infatti da questo momento si presenterà come l'incarnazione di una divinità shintoista, quale Il Re Dragone e affermerà di dover compiere una missione: portare l'armonia nel mondo.

Morirà il 26 aprile 1969 per un cancro allo stomaco.

Evoluzione dell’ispirazione: da “daitoryu-AiKi-Jutsu” ad “Ai-Ki-Do”

Ueshiba nutrì sempre un forte orientamento verso il sentimento religioso shintoista ed esprimeva la propria spiccata vocazione a coltivare la propria spiritualità in forme molto personali, con rituali e pratiche Shintoiste che avevano radici antiche e che spesso erano di difficile comprensione anche per i suoi più stretti allievi ed amici.
Ma fu durante il periodo del suo soggiorno ad Ayabe e soprattutto dopo la sofferta morte del padre che morì senza che lui potesse rivederlo, che la vita del fondatore dell'Aikido ebbe una "svolta" spirituale determinante a seguito dell'incontro con un'importante personalità nipponica dei primi del novecento, Onisaburo Deguchi, sacerdote di una setta nota come "Omoto-kyo", di cui il fondatore divenne amico e discepolo e la cui frequentazione ebbe un'importanza fondamentale nello svuiluppo della concezione dell'Aikido da parte di Morihei Ueshiba.
Onisaburo Deguchi, patriarca della religione Omoto, fu anche il principale responsabile della parentesi politica della vita del fondatore dell'Aikido, il quale all'età di 36 anni si lasciò indurre da Deguchi a seguirlo nei suoi progetti esagerati, se non folli, miranti ad espandere al di fuori dei confini del Giappone l'influenza del partito politico Omoto da lui fondato e della corrispondente religione Omoto, spingendosi in Asia fino alla Mongolia dove trovarono pane per i loro denti e tale avventura politica su base religiosa fallì miseramente.
Avventura collegata alla militanza del fondatore dell'Aikidō nel partito politico collegato alle ideologie sociali della religione Omoto, che gli costò quasi la vita, essendosi salvato da sicura morte unicamente per il miracoloso intervento "in extremis" del consolato giapponese, intervenuto all'ultimo momento quando nonostante si tramandino gesta epiche e fatti di combattimenti strabilianti ad opera del fondatore dell'Aikido sul territorio continentale asiatico, ormai catturati e arrestati dalle autorità cinesi, la loro fine sembrava già segnata ed imminente.
Dopo queste manifestazioni di incontinenza politica, gli aderenti al partito Omoto pare fossero stati tenuti di mira per un po' di tempo in Giappone e fossero anche socialmente osteggiati, ma il fondatore dell'Aikidō pare non abbia sofferto troppo di ciò, poiché dopo tale parentesi si disgiunse stabilmente dalla politica per immergersi completamente nella sua ricerca spirituale, da cui trasse infine i presupposti per questa nuova ed in un certo senso rivoluzionaria disciplina consistente in quell'innovativa arte marziale spirituale denominata Aikidō.

Onorificenze

Cavaliere di IV Classe dell'Ordine del Sol Levante - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di IV Classe dell'Ordine del Sol Levante
   
Medaglia d'Onore con nastro viola - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'Onore con nastro viola

 

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Hiroshi Tada

Tada Sensei, allievo di O'Sensei Ueshiba e fondatore Aikikai d'Italia,

Hiroshi Tada nasce a Tokyo il 14 dicembre 1929 da una famiglia appartenente alla classe dei Samurai, che dal 1245 risiedeva a Izuhara nell'isola di Tsushima. Il padre, Minoru Tada, svolgeva l'attività di amministratore ed il nonno, Tsunetaro Tada, era giudice e presidente di tribunale. La madre, Chizu Arai in Tada, era figlia di Kentaro Arai, Vice-Presidente del Suumitsuin (il Consiglio Privato dell'Imperatore). Nel 1952 si laurea in giurisprudenza all'Università di Waseda. Il 15 novembre 1970, al Dojo Centrale di Roma, si celebra il suo matrimonio con Kumi Yamakawa, violinista professionista laureatasi presso la Tokyo Geijutsu Daigaku. Nel 1971 la famiglia Tada viene allietata dalla nascita del figlio Takemaru, che attualmente frequenta il corso di dottorato di ricerca presso la facoltà di Scienze Matematiche dell'Università di Waseda. Il maestro Tada risiede a Tokyo, anche se i suoi impegni con l'Aikido lo portano in Europa spesso durante l'anno.

Già da bambino il maestro Tada prese contatto con le arti marziali tradizionali studiando con il padre uno stile di tiro con l'arco (Hekiryu-Chirurinha Bampa) tramandato per generazioni nella sua famiglia. Il 4 marzo 1950, nel corso della sua carriera universitaria, entra a far parte del Ueshiba Dojo (attuale Hombu Dojo) e inizia a praticare l'Aikido sotto la guida del fondatore, il Grande Maestro Morihei Ueshiba. Nello stesso periodo inizia per lui lo studio di una serie di pratiche miranti ad unificare ed armonizzare la mente ed il corpo, sotto la guida del Maestro Tempu Nakamura, e presso il dojo Ichikukai dove svolgeva pratiche spirituali. Già un anno dopo si misura per la prima volta nella pratica del digiuno (danjiki) per tre settimane, presso il tempio zen Hojuji. Pur terminando gli studi universitari decide di dedicarsi esclusivamene all'Aikido e alla ricerca storica nel campo delle arti marziali. Viene ben presto nominato istruttore dell'Hombu Dojo, del Ministero della difesa, e di alcuni importanti Club Universitari di Aikido.
 

Il 26 ottobre 1964 parte per l'Italia per diffondere l'Aikido e inizia l'attività di insegnante presso il dojo dei Monopoli di Stato. In questo periodo è instancabile nell'attività didattica e promozionale in diversi paesi europei, ed è chiamato inoltre dal Ministero degli Interni a tenere corsi presso la Scuola di Pubblica Sicurezza di Nettuno. Nel 1966 fonda l'Accademia Nazionale Italiana di Aikido – Aikikai d'Italia. L'attività didattica continua senza soste in varie città italiane. Nell'agosto del 1968 tiene il primo stage internazionale di Aikido al Lido di Venezia cui faranno seguito ininterrottamente con cadenza annuale stage estivi di grande richiamo per gli aikidoisti europei. Nel 1976 in seguito all'incontro con il Reverendo Shoken Murao responsabile del Tempio Zen Gessoji di Tokyo fonda il Gessoji Dojo di Aikido.

Il 15 gennaio 1994 gli è stato conferito il Budo Korosho (riconoscimento al merito per le attività svolte nel campo delle arti marziali). Il 3 agosto 1996 si è spenta fra le braccia dei familiari la signora Kumi Yamakawa in Tada. Famosa violinista e raffinata poetessa, la Signora Tada ha seguito, con grande dedizione, la crescita di innumerevoli giovani musicisti e praticanti di aikido, da lei tanto amati. In seguito a questa grave perdita, il Maestro Tada ha enunciato il desiderio di concentrare le proprie energie nello sviluppo e nella diffusione della pratica dell'aikido sia in Giappone che in Europa.

Attualmente il Maestro Hiroshi Tada è 9° Dan di Aikido, è Direttore Didattico e Vice-Presidente dell'Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese – Aikikai d'Italia, membro del Consiglio Superiore della Federazione Internazionale di Aikido, Istruttore dell'Hombu Dojo dell'Aikikai del Giappone e Istruttore Responsabile dei Clubs di Aikido presso l'Università di Waseda e l'Università di Tokyo (Kiren Kai) e di altri dojo affiliati all'Aikido Tada Juku.

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