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Archivio annuale 21/01/2012

Aikido giusto o sbagliato? Quanti stili di Aikido ci sono?

Spesso ci si chiede come mai l'aikido che si vede fare da una persona può essere completamente diverso da quello di un'altra persona. Uno è giusto e uno è sbagliato?

Provo a esprimere una mia opinione.

Di certo, l'esperienza e la propria struttura fisica incidono moltissimo e sebbene la base deve essere uguale per tutti, a partire da certi livelli di padronanza (che secondo me possono arrivare prima o anche molto dopo aver conseguito il primo livello di cintura nera) si inizia volenti o nolenti a "interpretare" l'aikido alla luce di quanto si è capito e di cosa si può esprimere.

Storicamente, gli allievi di O-sensei arrivavano dalle più disparate arti marziali e ognuno assimilava una parte dell'aikido del fondatore.

Morihei Ueshiba stesso creò l'aikido a partire dal Daito-Ryu Akijujutsu, scuola guerriera da cui è partito per poi formare l'insieme di tecniche che compongono l'aikido.

Alcuni di questi allievi facevano parte di una cerchia interna privilegiata (gli uchi-deshi) che vivevano a stretto contatto con il fondatore e potevano studiare in maniera più approfondita tutti gli aspetti di quest'arte marziale.

Si dice che O-sensei difficilmente spiegava le tecniche; le dimostrava e basta. Tutte le spiegazioni erano su base filosofica, più che su come andasse eseguita la tecnica.

Un praticante che ha già una base di un altra arte marziale, inevitabilmente tende a fondere gli aspetti di queste discipline e quindi praticanti molto diversi iniziano a manifestare un aikido piuttosto diverso. 

Queste persone trasmettono una base comune e un' interpretazione diversa della stessa disciplina.

Se questo nasce già dai grandi maestri, figuriamoci poi le strade che possono prendere i successivi allievi.

L'aikikai rappresenta lo stile ufficiale, la base se vogliamo.

L'Iwama Ryu (o Takemusu Aikido) viene ritenuto quello più autentico e vicino a quello del fondatore.

Poi tra i più noti ci sono lo Yoshinkan e il Ki-aikido, giusto per citarne alcuni,

Quindi trovo piuttosto naturale vedere impostazioni ed esecuzioni differenti quando ci si confronta con gli altri praticanti, ma definire quale sia l'aikido giusto o l'aikido sbagliato (tranne che per le evidenti eccezioni del caso, dove chiaramente quel che si pratica non è più aikido e manca la base vera e propria) diventa piuttosto un "fai parte del mio circolo" o "non fai parte del mio circolo".

Fai la tecnica nel modo Aikikai o nello stile IWAMA? Stile duro o morbido? realistico o farlocco? Fai parte della federazione grande o di quella piccola?

Trovo che separare, quando alla base ci dovrebbe essere l'unione, non sia una gran cosa, e spesso ci si scorda che si è partiti tutti dalla stessa radice.

Fortunatamente non ragionano tutti allo stesso modo e spesso si incontrano o si vedono maestri e praticanti che vanno oltre queste divisioni e finalmente si può praticare la via dell'armonia 🙂

E per l'aikido in italia?

Qui si trova un approfondimento al riguardo, che dimostra anche quanto sia stata articolata e interessante la sua evoluzione nel nostro paese,

 

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Stage da Yoshimitsu Yamada Maggio 2011

Già che ci sono un piccolo recupero…

Uno stage che ha messo a dura prova le mie gambe e la schiena, ma estremamente soddisfacente, pieno di stimoli tecnici molto interessanti e anche di idee organizzative che dovrebbero essere copiate anche in altri stage che attirano grandi numeri di partecipanti (nello specifico, mettere a disposizione frutta fresca nelle pause stage e acqua a profusione, tutto compreso nell'obolo di iscrizione)

Notare la mia faccia da pirla sconvolto e quella estatica, quasi in beatitudine di Canetti-san 🙂

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katana contro pistola

Sono pazzi questi americani.

Devono sempre fare le prove più assurde! 🙂

 

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Katana contro spada medievale

solo in inglese purtroppo… 

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LA KATANA

 

Katana – spada giapponese

La katana è la spada classica giapponese, anche se molti giapponesi usano questa parola genericamente per intendere una spada, Katana (o più precisamente uchigatana) si riferisce ad una specifica spada a lama curva e a taglio singolo usata dai samurai.

Veniva usata principalmente per colpire con dei fendenti, nonostante permetta tranquillamente di stoccare, e può essere impugnata ad una o due mani. Quest'ultima diventò la maniera più comune, ma nel Libro dei Cinque Anelli, Musashi Miyamoto raccomanda la tecnica a due spade, e quindi una per mano. Veniva portata con la parte concava della lama verso il basso, in modo da poterla sguainare più velocemente con dei sapienti movimenti.

Katana e Wakizashi
Copyright

L'arma era portata di solito dai membri della classe guerriera insieme al wakizashi, o spada corta. Le due spade insieme erano chiamate daisho, e rappresentavano il potere o classe sociale e l'onore dei samurai, i guerrieri che obbedivano al daimyō (feudatario). In particolare la combinazione daishō era costituita fino al XVII secolo da tachi e tanto, in seguito da katana e wakizashi.

Storia

La produzione di spade in ferro inizia in Giappone alla fine del IV secolo. Le katana cominciano ad apparire intorno alla metà del periodo Muromachi (1392-1573). Nel successivo periodo Momoyama (1573-1614) si realizza un grande sviluppo sia tecnologico che estetico. Con l'epoca Tokugawa (1603-1868) le lame di lunghezza superiore ai 2 shaku (60,6 cm) furono riservate ai samurai e vietate a tutti gli altri cittadini. Dopo la restaurazione imperiale del periodo Meiji (1868-1912), con l'editto Haitorei del 1876, venne dichiarata estinta la casta dei samurai e quindi il portare in pubblico il Daisho, loro simbolo sociale.

Con quest'atto (1876) termina la grande fioritura dell'arte della forgiatura delle spade. La produzione riprende in sordina con l'era Taishō ma ormai solo per preservare le tecniche costruttive che per effettiva necessità. Negli anni della seconda guerra mondiale la produzione raggiunge numeri rilevanti ma la qualità è ben lontana da quella degli anni d'oro. Dal dopoguerra la produzione muta orientamento riprendendo la migliore tradizione. In epoca contemporanea, grazie anche all'impulso di un collezionismo attento e appassionato, in Giappone e all'estero, si ritorna a produrre pezzi di grande pregio. Nel contempo i pezzi creati da grandi maestri del passato, ma anche di quelli contemporanei, raggiungono quotazioni elevatissime.

Da quando l'arte della pratica nell'uso della spada per i suoi scopi originari è diventata obsoleta, il kenjutsu viene sostituito dal gendai budo, moderni stili di combattimento per altrettanto moderni combattenti. L'arte di usare la katana si chiama iaido, battōjutsu o iaijutsu, mentre il kendo è una scherma praticata con la shinai, una spada di bambù, in cui i praticanti sono protetti dal tipico elmetto e dall'armatura tradizionale.

Morfologia

Tsuba
Copyright

La montatura della katana è costituita da impugnatura (tsuka), elsa o guardia (tsuba) e fodero (saya). L'impugnatura in legno era ricoperta di pelle di razza (same), rivestita con una fettuccia di seta intrecciata (tsukaito). Il fodero era realizzato in legno di magnolia laccato. La tsuba, posta tra il manico e la lama per evitare le lesioni alle mani da scivolamenti sulla lama, era metallica, finemente intagliata, spesso un'opera d'arte.

La lama vera e propria invece si divide in codolo (Nakago), corpo della lama e punta (Kissaki). Vista invece dal dorso al tagliente la lama si divide in:
Mune: il dorso della lama. Può essere distinto in vari tipi: Hikushi 'basso', Takashi 'alto', Mitsu 'a tre lati', Hira o Kaku 'piatto', Maru 'arrotondato';
shinogi-ji: il primo dei due piani che formano la guancia della lama, lucidato a specchio. Su di esso di possono trovare profonde incisioni longitudinali, solitamente sul primo terzo della lama, rappresentanti disegni (horimono) o caratteri sanscriti (bonji). Sempre su di esso può essere presente un solco da entrambi i lati (Hi) il cui fine principale è l'alleggerimento ed un ulteriore bilanciamento della lama;
Shinogi: Linea di divisione tra i piani. Nella forma di lama denomitata shinogi-zukuri, dopo il cambio di piano del kissaki determinato dalla linea di yokote, lo shinogi prende il nome di ko-shinogi;
Il secondo dei due piani che formano la guancia della lama (Hira), non lucidato per permettere la struttura della lama (Hada);
Linea di tempra (Hamon)
Parte temprata ed affilata (Ha)

Procedimento costruttivo

La katana veniva forgiata alternando strati di ferro acciaioso, con percentuali variabili di carbonio. L'alternanza di strati di acciaio dolce e acciaio duro le conferiva la massima resistenza e flessibilità. Si partiva da un blocchetto di ferro (tamahagane) che veniva riscaldato e lavorato mediante piegatura e martellatura. Le piegature successive producevano un numero di strati molto elevato: poiché ad ogni piegatura il numero degli strati veniva raddoppiato, con la prima piegatura da 2 strati se ne ottenevano 4, con la seconda 8 e così via. Alla fine della lavorazione, dopo 15 ripiegature, si arrivava a 32.768. Ulteriori ripiegature erano considerate inutili in quanto non miglioravano le caratteristiche finali.

Successivamente veniva definita la forma generale della lama: la lunghezza, la curvatura, la forma della punta (kissaki). Il filo veniva indurito mediante riscaldamento e successivo raffreddamento in acqua (tempra). La lama veniva poi sottoposta ad un lungo procedimento di lucidatura eseguito con pietre abrasive di grana sempre più fine. L'ultima finitura era eseguita manualmente con particolari barrette di acciaio. Tutto il procedimento veniva effettuato in modo da esaltare il più possibile le caratteristiche estetiche della lama.

Il procedimento costruttivo tradizionale viene ancor oggi tramandato di generazione in genenerazione, dal Mastro forgiatore all'Allievo forgiatore. La tecnica di forgiatura prevede generalmenente le seguenti fasi:

1. preparazione dei materiali per la fusione: grande quantità di carbone, ciotola di pezzi di ferro sminuzzato e ciotola di minerale di ferro
1. fusione: in una fornace di piccole dimensioni, all'aperto o nella fucina
2. raccolta del pezzo d'acciaio di fusione in una ciotola apposita
3. trasformazione del pezzo di fusione in un blocco approssimativamente cubico d'acciaio
2. pulizia delle crepe e delle irregolarità:
1. il blocco cubico grezzo viene sottoposto a pulizia
2. viene forgiato e trasformato in un parallelepipedo, contenente ancora molte crepe e sporgenze irregolari
3. viene ulteriormente forgiato e sezionato a metà
4. questo processo viene ripetuto da quattro a otto volte, prima che il pezzo d'acciaio sia pulito e utilizzabile
3. forgiatura:
1. il parallelepipedo d'acciaio viene sottoposto a forgiatura, portandolo al calor rosso e battendolo, piegandolo e ribattendolo decine di volte, come spiegato sopra, fino ad ottenere una stratificazione dell'acciaio, chiamata (in europa) damasco (perché i primi ad aver fatto spade di questo tipo sono stati gli arabi nel Medioevo). Questa stratificazione é necessaria per rendere la lama flessibile ma nel contempo molto dura, addirittura così dura da non intaccarsi nemmeno con fendenti di lama su corazza o su altra spada. L'estrema durezza permette inoltre di affilare un filo molto fine e quindi molto tagliente senza renderlo troppo fragile.
4. forgiatura finale:
1. per ottenere la forma finale della spada, si uniscono due pezzi d'acciaio damascati, formando un'anima interna, un filo e un dorso esterni
5. tempratura:
1. dopo che il dorso è stato parzialmente ricoperto d'argilla la lama viene portata al calor rosso, poi viene immersa in acqua tiepida circa a 37° Centigradi. Questa tempratura differenziata permette di ottenere un dorso più flessibile ed un filo più duro.
6. molatura:
1. sgrezzatura o prima molatura
2. seguono almeno quattro gradi di pulitura usando mole sempre più fini, in Occidente a macchina e in Oriente a mano
3. affilatura finale

A questo punto la lama é finita e si provvede ad immanicarla e a darle un fodero di legno di vari tipi e qualità. Anche qui, é presente tutto un lavoro artigianale specialistico, del quale i punti più importanti sono:

* il mekugi ana un piccolo foro nel corpo (nakago) della spada, nel quale si fissa un piccolo cono di legno, chiamato caviglia (mekugi) che fissa il corpo della spada al manico.
* la fettuccia (tsuka-ito)con la quale si avvolge l'impugnatura, sia per fissare la caviglia, sia per avere una migliore presa che per l'assorbimento del sudore.

Il codolo (nakago), cioè la parte terminale, veniva rifinito con colpi di lima disposti in varie forme a seconda delle scuole e delle epoche.

Il particolare tipo di tempratura "differenziata", tra dorso e filo, produce una linea di colore leggermente diverso sul tagliente, detta Hamon La forma dell'Hamon costituisce un segno identificativo, per un occhio esperto, dell'epoca della lama e dell'autore Mastro fabbro. Riportiamo per esempio alcuni tipi di Hamon, dei quali alcuni chiamati con nomi fantasiosi:

* Ko-midare, dritta frastagliata piccola, tipica dell'era Heian (987-1183)
* Sugu-ha, dritta, tipica dell'era Kamakura (1184-1231)
* Notare-ha, finemente ondulata, Era delle Dinastie Nordiche e Meridionali (1334 -1393)
* Hitatsura, pieno, Era delle Dinastie Nordiche e Meridionali (1334 -1393)
* Midare-ha, non dritta, Era del Periodo di Mezzo Muromachi (dopo il 1467)
* Gonome-ha, ondulata largheggiante come le nuvole, Periodo di Koto (circa 1550)
* Kiku-sui-ha, a fiori di crisantemo che galleggiano sull'acqua, che i francesi chiamano extremement alambiquè, perché è simile ai vapori che si producono nell'alambicco Primo Periodo dell'Era di Edo (1600)
* Sambon-sugi-ha, raffigurante gruppi di tre abeti, ove il centrale è più alto degli altri due, periodo Edo (1688-1704)
* Toran-ha, ondulato come le onde dell'oceano, Periodo Finale di Edo (1822)

La parte di Hamon visibile sulla punta della lama (kissaki) si chiama bōshi.
Vi sono più tipi di bōshi :

* Kaen boshi, a forma di fiamma, Era Hogen (1156-1159)
* Jizo boshi, a forma di testa di prete, Era Hogen (1156-1159)
* Kaeri tsuyoshi boshi, solo sul dorso della punta, rivoltato, Primo Periodo Kamakura (1170-1180)
* Ichimai boshi, area della punta interamente temprata, Periodo Kamakura (1170-1180)
* Yaki zumete boshi, attorno al filo della punta, che termina sul dorso senza Kaeri, Periodo Meiji (1868-1912)
* Mru boshi, a forma di gruppo di persone
* Midare boshi area temprata irregolarmente, Era Hogen (1156-1159)

I primi forgiatori di spada giapponesi erano monaci buddhisti Tendai o monaci di montagna guerrieri chiamati Yamabushi. Avevano conoscenza vastissime per la loro epoca e il luogo in cui vivevano: erano alchimisti, poeti, letterati, invincibili combattenti e forgiatori di lama.
Per loro la costruzione di una lama costituiva una vera e propria pratica ascetica. Erano talmente temuti che venivano considerati fantasmi e nessuno osava disturbarli.

Cura e conservazione della katana

La cura e la conservazione della katana segue le stesse regole generali che si applicano nel rituale del thè o nella calligrafia o nel bonsai o nell'arte di disporre i fiori (Ikebana).

Dopo aver smontato la lama dal Koshirae la si cosparge con una polvere ricavata dall'ultima pietra utilizzata per la politura (Uchigomori) tramite un tamponcino. Successivamente, usando della carta di riso piegata tra pollice ed indice, si rimuove la stessa con un movimento dal nakago al kissaki pinzando la lama con il mune verso la mano. Successivamente con un altro panno leggero (o sempre con carta di riso) imbevuto parzialmente di olio di garofano raffinato si passa di nuovo tutta la lama con lo stesso movimento utilizzato per rimuovere la polvere di uchigomori. La prima operazione rimuove tracce di ossidazione e grasso lasciato dalle dita durante il rinfodero, la seconda operazione invece serve per evitare ossidazioni successive.

In montature utilizzate per l'esposizione si può notare un nodo caratteristico più o meno complesso attorno al kurikata fatto con il sageo.

Etichetta della tecnica di katana

Le tecniche di katana (iaido) essenzialmente sono tecniche di estrazione veloce della spada, da qualunque posizione (seduto, in piedi, ecc.) una persona possa trovarsi ed hanno una loro "etichetta", sia formale che sostanziale.

Fanno parte di una trattazione specialistica e si imparano nella palestra (dojo) di scherma direttamente dal Maestro.

Questo articolo è rilasciato sotto i termini della GNU Free Documentation License. Esso utilizza materiale tratto dalla voce diWikipedia: "Samurai"

 

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il punto di partenza

 

L'Iwama Dojo

Il Dojo del fondatore dell'Aikido

Kamisama - Aiki Iwama Dojo Dal 1942 Maestro Morihei Ueshiba si trasferì a Iwama , un piccolo villaggio situato a 100 km a nord est di Tokyo, dove ha costruito il suo dojo e santuario dedicato all'Aikido ( Aiki Jinja ). Riuscì a impegnarsi pienamente nella formazione e meditazione per perfezionare ulteriormente la sua arte marziale. Ci ha usato per la prima volta il nome " Aikido "e cominciò ad approfondire lo studio della spada e del bastone ( aiki ken ed aiki jo ). Considerava infatti essere fondamentale saper gestire di queste armi per eseguire correttamente le tecniche a mani nude. In realtà, sentiva che il programma completo dell'Aikido incluso sia la pratica con le armi ( Buki waza ) e la pratica a mani nude ( taijutsu).

 

Aiki Dojo di Iwama In questi anni in Iwama il Fondatore definisce anche il concetto di Takemusu Aiki che corrisponde alla fase di esperti, l'esecuzione spontanea di una infinità di tecniche adatte alla situazione attuale. Così, Aikido Maestro UESHIBA contiene nella sua essenza un grande modernità.
 
O Sensei e Saito Sensei (Foto Aiki News) Lo sviluppo dell'Aikido in Iwama è stata fatta. Durante tutto questo periodo O Sensei Morihei Ueshiba è stato uno studente che sarebbe diventato uno dei suoi più stretti discepoli e, in molti modi, il suo successore tecnico 

Morihiro Saito , che ora è la responsabilità del Dojo e la custodia di l' Aiki Jinja .

 

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LA BUONA EDUCAZIONE

 

USANZE GIAPPONESI E BUONE MANIERE

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Vi presentiamo una serie di regole e usanze che vi permetterano di non essere considerati sgarbati o poco rispettosi durante il vostro viaggio in Giappone. Alcuni di questi consigli sono estrememente tenuti da conto e possono essere utili a coloro che vogliono fare bella figura con un partner d'affari giapponese.

 

CIBO E RISTORANTI

  • E' poco educato mangiare o bere mentre si cammina per strada

  • Non mordersi le unghie in pubblico o leccarsi le dita di fronte ai commensali

  • Nei ristoranti viene fornito un tovagliolo umido per pulirsi, ma va utilizzato solo per pulirsi le mani e non faccia e altre parti del corpo.

  • In Giappone è maleducazione versarsi da bere da soli, ognuno versa all'altro.

  • Se non vuoi più da bere, lascia pure il bicchiere pieno.

  • E' buona norma dire "Itadakimasu" prima di mangiare e "Gochisosama deshita" appena finito il pranzo, specialmente se vi viene offerto da qualcuno.

  • Quando si condivide una pietanza, bisogna prendere la propria parte e metterla sul proprio piatto prima di consumarla.

  • Non fare richieste eccessive durante la preparazione del vostro pranzo, e non abbuffarsi mai.

  • Non infilzare mai il cibo con le bacchette, e non usarle MAI per spingere il cibo nel piatto di un'altra persona con la parte che avete messo in bocca, usate l'altra estremità.

  • Non indicare mai qualcuno usando le bacchette.

  • Non lasciare mai le bacchette infilzate nel cibo.

  • E' normale alzare la ciotola di riso o zuppa giapponese fino al mento per evitare di far cadere residui durante il tragitto delle bacchette fino alla bocca.

  • Il cibo tradizionale giapponese viene servito in diversi piattini en ciotole, ed è normale passare da una all'altra senza prima finirle completamente.

  • Mai lasciare il piatto e la tavola in disordine, piegare i tovaglioli in maniera ordinata.

  • Non protarsi a casa decine di tovaglioli, bacchette, spezie da un ristorante come souvenir.

  • Non mettere la salsa di soia sul riso, non è il suo scopo.

  • Non mettere zucchero o latte nel the Giapponese

  • Se ospitate qualcuno offritegli sempre quello di cui potrebbero aver bisogno prima che ve lo chiedano, perchè non lo faranno mai.

  • Cercate di nonusare mai gli stuzzicadenti.

  • E' normale fare rumori quando si mangiano noodles, udon e altri piatti umidi.

  • In giappone il conto si paga di solito alla cassa e non al cameriere, non sono inoltre previste mance.

  • E' considerato rude contare il resto ricevuto al ristorante.
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Aiki…Tango!!

Baila Uke, baila che te pago….

In tanti dicono che l'Aikido sembra una danza e questo video esalta questo concetto.

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la cerimonia del thè

 

La diffusione del tè è universale, ma in nessun altro luogo al mondo questa bevanda ha fornito un apporto così sostanziale alla cultura come in Giappone, dove l'atto di preparare e bere il tè (la cerimonia del tè, appunto, o cha no yu , che alla lettera significa semplicemente "acqua calda e tè") ha acquisito un alto significato estetico, artistico e filosofico.
Essa non è un semplice passatempo per conversare di frivoli pettegolezzi o un modo raffinato di dissetarsi. Esprime piuttosto una filosofia di vita. Gli ospiti che intervengono alla cerimonia devono trovare in essa un'oasi di pace e di tranquillità dalle ansie del mondo, dove la mente possa aprirsi a una serena riflessione o meditazione. La cerimonia del tè incarna la ricerca della bellezza del popolo giapponese, la cui raffinatezza si esprime tramite la semplicità e la povertà delle cose. Una tazza di tè per soddisfare l'umano bisogno di serenità.
Le varie scuole differiscono le une dalle altre per i dettagli e le regole, ma mantengono intatta l'essenza della cerimonia che il grande maestro Sen no Soeki detto Rikyu (1522-91) aveva istituito. Quest'essenza è arrivata fino a noi incontestata e il rispetto per il fondatore è uno degli elementi che tutte le scuole hanno in comune.
Egli ha raccolto i principi fondamentali (o virtù) della cerimonia del tè in quattro semplici parole: 

1)  wa, armonia tra le persone e con la natura, armonia degli utensili e la maniera in cui essi vengono usati; 

2)  kei, rispetto verso tutte le cose e sincera gratitudine per la loro esistenza; 

3)  sei, purezza interiore, ma anche nitore e pulizia delle cose che ci circondano; 

4)  jaku, tranquillità e pace della mente, conseguente alla realizzazione dei primi tre principi. 

La base della filosofia della cerimonia del tè è quindi l'armonia con la natura. La cerimonia si svolge solitamente in piccole costruzioni in legno che sorgono all'interno di meravigliosi giardini di aspetto totalmente naturale, con piante fresche, acque e rocce. Gli utensili, le tazze sono in materiale naturale e variano durante i diversi mesi dell'anno per essere sempre in accordo con la stagione.
La cerimonia è caratterizzata da un'estrema semplicità: la casa del tè è quasi spoglia nella sua totale mancanza di arredi e nel suo rigore. Gli utensili, solitamente poco decorati, hanno forme estremamente semplici e funzionali, in linea con il gusto dei giapponesi, che ammirano più il garbato riserbo della vistosa ostentazione. Tutto è semplice, umile, frugale.
La casa del tè è solitamente costruita in legno, bambù e paglia, con finestre e porte costituite da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso; il pavimento è ricoperto da tatami, le stuoie in paglia sono quelle delle tipiche abitazioni tradizionali.
Un vero e proprio rituale guida non solo l'abile tecnica del maestro di cerimonia, che ha studiato per anni e anni, ma anche i gesti degli ospiti intervenuti, che sorbiranno il loro tè seguendo precise regole.
La cerimonia del tè fu anche una rivoluzione della cucina giapponese, con la creazione dello stile kaiseki. Fu Rikyu a chiedere un nuovo e leggero stile di cucina che si armonizzasse con il suo rituale. 
Essendoci diverse scuole, vi sono vari modi di celebrare la cerimonia del tè, ma tutti condividono gli stessi elementi essenziali.
La casa del tè (sukiya) comprende una sala per il tè (chashitsu) e una stanza per la preparazione (mizuya), una sala d'attesa (yoritsuki) e un sentiero (roji) che, attraverso il giardino, porta fino all'ingresso della casa del tè. La casa è generalmente situata in un angolo del giardino particolarmente boscoso.
I principali utensili, generalmente dei veri e propri oggetti d'arte, sono la ciotola per il tè (chawan), il contenitore del tè (chaire), il frullino di bambù (chasen) e il mestolo di bambù (chashaku).
Sono da preferire abiti con colori discreti. Nelle occasioni di grande solennità, gli uomini portano un kimono decorato con lo stemma familiare e le bianche calze tradizionali giapponesi (tabi). Le donne indossano lo stesso abbigliamento. Gli invitati devono portare con sé un piccolo ventaglio pieghevole e un pacchetto di fazzolettini di carta (kaishi).
La cerimonia del tè comprende di solito una prima parte nel corso della quale viene servito un pasto leggero di sette portate (kaiseki), un breve intervallo, il nakadachi, il goza iri che è la parte principale della cerimonia e durante la quale viene servito un tè denso (koicha), e l'usucha durante il quale viene servito un tè meno denso del precedente. Tutta la cerimonia completa dura circa quattro ore; spesso, tuttavia si svolge soltanto l'usucha, il quale richiede al massimo un'ora.
Gli invitati, di solito in numero di cinque, si riuniscono nella sala d'attesa. L'ospite li raggiunge e li conduce per un sentiero attraverso il giardino fino alla sala del tè. Lungo il sentiero vi è una conca in pietra piena d'acqua, dove gli invitati si lavano le mani e si sciacquano la bocca. L'entrata nella sala è così piccola che essi devono superarla in ginocchio, in un attegiamento quasi di umiltà. Nell'entrare nella stanza, che è dotata di un focolare fisso o di un braciere portatile per il bollitore, ciascun invitato si inginocchia davanti al tokonoma e fa un rispettoso inchino. Poi, tenendo il proprio ventaglio pieghevole davanti a sé, egli ammira il kakejiku appeso nel tokonoma; quindi, rivolge nello stesso modo il proprio sguardo verso il focolare o il braciere. Non appena tutti gli invitati hanno terminato di ammirare tutto ciò, prendono posto, a cominciare dall'invitato più importante che prende posto vicino all'ospite. Dopo lo scambio dei convenevoli, viene servito il pranzo con dei dolci per terminare il pasto leggero.
Dietro suggerimento del loro ospite, gli invitati si ritirano e vanno ad aspettare sulla panchina che si trova fuori, nel giardino interno, vicino alla sala del tè.
L'ospite fa suonare il gong sospeso vicino alla sala per indicare che la cerimonia principale sta per iniziare. L'uso vuole che egli colpisca il gong da cinque a sette volte. Gli invitati si alzano in piedi ed ascoltano attentamente; poi, dopo aver ripetuto il rito della purificazione alla vasca piena d'acqua, entrano di nuovo nella stanza. I pannelli di bambù, sospesi all'esterno davanti alle finestre vengono ritirati da un assistente al fine di illuminare l'ambiente. Il kakejiku è sparito e nel tokonoma è stato sistemato un vaso con un ikebana. Il recipiente per l'acqua fresca e la scatola in ceramica del tè sono al loro posto prima che l'ospite entri, portando la ciotola per il tè contenete il frullino di bambù e il mestolo per il tè. Gli invitati guardano e ammirano i fiori e il bollitore come avevano fatto all'inizio della cerimonia.

    L'ospite si ritira nella stanza per la preparazione e ritorna ben presto con il recipiente per l'acqua, il mestolo, e un appoggio per il bollitore o per il mestolo. Asciuga poi la scatola del tè e il mestolo con un telo speciale, chiamato fukusa, e lava il frullino nella ciotola del tè contenente acqua calda presa dal bollitore con il mestolo. Vuota quindi la ciotola, versando l'acqua nel recipiente vuoto che aveva portato in precedenza e l'asciuga con un chakin, un pezzo di tela di lino. Quindi prende la scatola del tè e con l'apposito cucchiaio prende del matcha, tre cucchiai pieni per invitato; poi, prende un mestolo di acqua calda dal bollitore e ne versa circa un terzo nella ciotola e il resto di nuovo nel bollitore. Infine, rimescola con il frullino fino a che non si addensa, diventando come un puré di piselli sia per la consistenza che per il colore. Il tè così preparato si chiama koicha. Il matcha usato proviene dalle giovani foglie di piante di tè che hanno da venti a settanta anni o anche più. L'ospite depone la ciotola al suo posto, presso il focolare o il braciere, e l'invitato più importante si avvicina in ginocchio per prenderla; si china, quindi, davanti agli altri invitati e mette la ciotola sul palmo della sua mano sinistra, sorreggendone un lato con la mano destra. Dopo averne bevuto un sorso, ne loda l'aroma, quindi beve ancora uno o due sorsi. Pulisce il punto della tazza da cui ha bevuto con il kaishi e passa la ciotola al secondo invitato, che beve e asciuga la tazza esattamente nello stesso modo. La ciotola viene così passata al terzo, al quarto e quinto invitato perché tutti possano gustare il tè.

Quando l'ultimo invitato ha finito, porge la ciotola al primo, che a sua volta la restituisce all'ospite.
L'usucha differisce dal koicha nel fatto che il matcha usato proviene dalle giovani foglie di piante che non hanno più di tre o cinque anni. La bevanda che ne deriva è verde e schiumosa. Le regole osservate nel corso di questa cerimonia sono simili a quelle seguite durante quella del koicha, con le seguenti differenze essenziali: il tè viene preparato individualmente per ciascun invitato con due cucchiai o due cucchiai e mezzo di matcha; ogni invitato è tenuto a bere interamente la sua parte; l'invitato pulisce la parte della tazza che ha toccato con le labbra con le dita della mano destra e poi si asciuga le dita con il kaishi. Dopo aver trasportato gli utensili fuori dalla stanza, l'ospite in silenzio si inchina davanti agli invitati, indicando che la cerimonia è finita. Gli invitati lasciano il sukiya accompagnati dal loro ospite. (Adattamento del testo tratto da 
www.nipponico.com, ottimo sito, ricco di articoli sull'universo giapponese).

Al complicato rapporto tra Rikyu e Toyotomi Hideyoshi, uno degli unificatori del Giappone, e alla cerimonia del tè, è dedicato un interessante capitolo del libro "Samurai. Ascesa e declino di una grande casta di guerrieri", di cui consiglio in ogni caso la lettura, per una visione d'insieme della storia del Giappone attraverso le vicende della leggendaria casta dei samurai, qui riportata alla sua realtà documentabile. Allo stesso soggetto è ispirato anche il romanzo "Il maestro del tè".


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O-Sensei old school

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