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Archivio mensile 16/12/2012

la forgiatura di una spada

 

 
Fabbricazione di una spada giapponese  
 
   


       

La spada giapponese viene forgiata per stratificazioni di acciaio con tenore di carbonio diversificato. Lo spadaio inizia il processo di forgiatura partendo da un nucleo di ferro (Tamahagane) con elevata percentuale di carbonio (più del 1%), risultato della fusione di minerale ferroso nelle fornaci di tipo Tatara. Queste fornaci, di origine continentale, risalgono almeno il VI secolo. In Giappone si è cominciato a ripristinarle, nella loro forma originaria, a partire dal 1970. Il minerale introdotto nel Tatara eè prevalentemente sabbia ferrosa (Satetsu).
La temperatura raggiunta nella fornace si aggira intorno ai 1200 – 1500° C, ottenuta bruciando carbone di quercia e di pino. Alla fine del processo di fusione, che dura alcuni giorni, il forno viene distrutto e sul fondo si raccoglie un blocco di acciaio chiamato Kera, con tenore di carbonio fino al 1,5%. Altre parti con minori percentuali di carbonio verranno utilizzate durante la forgiatura della spada per graduare il contenuto in carbonio degli strati diversificati che compongono la lama. I requisiti più importanti di una spada giapponese sono la resistenza a rottura e a flessione. Per raggiungere questo risultato, si porta a 1000° C una barra di acciaio dolce (Shingane) a basso contenuto di carbonio (0,2 – 0,3%), avvolta in un guscio di acciaio duro (Kawagane) a elevato contenuto di carbonio (0,6 – 0,7%). 
Il processo descritto, utilizzato per la forgiatura delle spade più comuni, si chiama Kobuse sanmai kitae. Si conosco almeno 50 tipi di forgiatura per stratificazione, che possiamo tuttavia ridurre a una decina di schemi fondamentali. Il panetto di acciaio, con cui saranno costituite le principali superfici esterne della spada, viene piegato e martellato ripetutamente (almeno 15 volte). Piegatura e martellatura consentono di eliminare tutte le impurità e i grani più grossi di carbonio, e di conferire alla lama le nuove percentuali di carbonio desiderate. 5 piegature producono 32 strati a basso tenore di carbonio: questo acciaio non può essere indurito per immersione in acqua e viene perciò utilizzato per il nucleo interno della spada. 10 piegature producono 1.024 strati, dando origine all'acciaio più duro, adatto ai piatti ed al dorso della lama. 15 piegature producono 32.000 strati. In una barra spessa circa 2,5 cm, ogni strato viene così ad avere spessore molecolare. 
Ulteriori piegature sono inutili e portano addirittura a una perdita del 90% del materiale iniziale. A seconda della damascatura che si crea (Jihada), la superficie dell'acciaio può essere chiamata:

 Itame (venatura del legno);

– Mokume (venatura con nodi);

– Masame (venatura dritta);

– Nashiji (polpa di pera);

– Ayasugi (venatura molto ondulata);

– Muji (senza venatura).

La formazione del blocco stratificato, da cui parte la creazione della spada vera e propria, si chiama Tsukurikomi, "strutturazione".
La lavorazione di tale blocco si articola nelle seguenti fasi:

1.0 – Sunobe (prima sagomatura): Lo spadaio allunga per martellatura continua il blocco, scaldandolo costantemente sulla forgia, fino a raggiungere le dimensioni desiderate della spada, maggiorate del 10% circa.

1.1 – Hizukuri (definizione della lama): Dopo aver scaldato la lama fino al calor giallo (1.100° C) lo spadaio ne definisce i profili per martellatura-dorso (Mune), punta (Kissaki), costolatura (Shinogi), filo (Ha saki) finché la temperatura non cade scendendo al calor rosso (700° C). A questo punto il Sunobe viene nuovamente riscaldato sulla forgia e riportato alla temperatura iniziale, procedendo quindi nella lavorazione su porzioni di circa 15 cm per volta. Una volta definiti profili fondamentali della lama, lo spadaio conferirà la forma finale al manufatto, utilizzando lime, pietre e pialle speciali.

1.2 – Tsuchioki (definizione del tagliente): Con un impasto d'argilla, polvere di carbone (vedi cementazione), polvere d'arenaria e acqua (Yakibatsuchi) si ricopre l'intera superficie della lama. Ogni scuola e ogni armaiolo possiedono proprie formule per questo impasto, nel quale l'arenaria (Omura) impedisce all'argilla di screpolarsi. Lo strato d'impasto viene quindi assottigliato lungo il tagliente, creando i caratteristici profili denominati Hamon. A seconda di come viene eseguita la raschiatura dello strato d'impasto (Tsuchidori), gli Hamon possono risultare dritti o irregolari. Il termine Suguba indica quelli dritti, che a loro volta possono essere Hiro Suguba (larghi), Hoso Suguba (stretti). Il termine Midareba contrassegna invece quelli irregolari tra i quali ricordiamo: Ko Midare (compatto), Chôji (garofano), Juka Chôji (Chôji multipli), Kawazuko Chôji (Chôji a forma di girino), Gunome (a zig zag), Kataochi Gunome (a zig zag obliquo), Sambonsugi (gruppi di cedri) Notare (onde), Toran (onde alte), Hitatsura (per tutta la lama), Sudareba (tendine di paglia) eccetera.

1.3 – Yakiire (indurimento del tagliente): Quando il materiale di copertura si è seccato, la lama viene portata al calor rosso (700° C circa) nella forgia finché non è pronta per l'immersione in acqua fredda. Questa operazione, chiamata yakiire richiede da parte dello spadaio la massima perizia e sensibilità, ottenibili solo con una lunga esperienza.

1.4 – Bôshi: Questo termine si riferisce alla porzione di Hamon presente nel Kissaki dopo lo Yokote (spigolo di separazione tra Kissaki e lama). Le dimensioni del Kissaki e il profilo del Bôschi sono tanto caratterizzati da consentire all'esperto di riconoscere l'armaiolo, la scuola e l'età della spada e dunque rappresentano un elemento importantissimo per lo studio del manufatto.

 

Il profilo del tagliente (Ha), nel Bôschi assume diversi nomi a seconda della forma, quali per esempio:

  • Ô Maru – (semicerchio grande)
  • Ko Maru – (semicerchio piccolo)
  • Midare Komi – (irregolare)
  • Yakitsume – (dritto verso il dorso)
  • Jizô – (testa di pietra)
  • Kaen – (fiamma)

1.5 – Nioi e Nie, Hataraki (attività): Durante lo Yakiire lo Hamon è prodotto in modo da mostrare le differenze di durezza dell'acciaio. I Nie e i Nioi sono particelle che compaiono lungo questa linea di separazione tra le due superfici della lama (chiamata Habuchi): quella a struttura martensitica (il tagliente) e quella a struttura perlitica (il resto della lama). I Nie sono relativamente grossi, visibili ad occhio nudo, mentre i Nioi sono così fini da non essere immediatamente percettibili; I Nie sono paragonati a stelle che brillano in cielo, i Nioi alla nebulosa della Via Lattea. Alcune formazioni martensitiche e perlitiche – definite genericamente Hataraki (attività) – rese volutamente più o meno evidenti nel tessuto della spada, prendono il nome da soggetti di cui richiamano in qualche modo la forma: Ashi (piede), Yo (foglie), Sunagashi (increspature di sabbia), Hakikake (sfioriture), Uchinoke (spruzzi), Kinsuji (lumeggiature d'oro). Il Kinsuji più comune è formato da Nie aggregati in linee sottili e brillanti lungo il tagliente. I Kinsuji molto lunghi, sottili e diagonali, sono denominati più propriamente Inazuma (lampi). Quando simili formazioni vengono evidenziate nel Ji (parte di lama compresa tra la Shinogi e lo Hamon), prendono il nome di Chikei. Piccole aree composte di Nie vengono chiamate Yubashiri (scroscio d'acqua bollente). Quando compaiono formazioni brillanti di Nie nel Ji (la cui struttura è perlitica), i Nie sono chiamati Ji nie. Quando la superficie della lama ha una predominanza di Nie, la spada è definita Nie Deki. Questa caratteristica riguarda soprattutto le spade realizzate nel primo periodo Kamakura, e più in generale quella della scuola Sagami (Sôshû). Il termine Niodeki, invece, si riferisce alle spade che presentano principalmente formazioni di Nioi. I manufatti della scuola Bizen, successivi al medio Kamakura, e quelli della scuola Bitchu Aoe, nel periodo Nanbokuchô, sono caratterizzati dalla predominanza di Nioi.

1.6 – Utsuri (riflesso): Definito impropriamente un secondo Hamon, si tratta di un effetto presente nel Ji che segue apprimativamente il profilo dello Hamon. Si ottiene portando a temperatura differenziata lo Ha (800° C) il Mune (720° C circa) e i piatti della lama – Shinogi Ji – (760° C) alla temperatura di 760° C, l'acciaio si trova in una fase di transizione tra quella perlitica e quella austenitica, provocando l'Utsuri. Gli spadai Bizen erano rinomati per questo effetto, che solo da pochi anni è stato riscoperto, ma non eguagliato.

1.7 – Yaki Modoshi: Tolta dall'acqua dopo lo Yakiire, la lama viene rimessa sulla forgia, scaldata fino a 160° C circa e immersa nuovamente nell'acqua. Questo trattamento diminuisce le tensioni nel tagliente indurito, decomponendo parzialmente i grandi cristalli martensitici (vedi rinvenimento). Il processo di tempra può essere ripetuto più volte.

1.8 – Sorinaoshi (assestamento della curvatura): Durante il Yakiire, il Mune si raffredda più lentamente dello Ha. Questo provoca una contrazione della lama di circa 1 cm, che ha l'effetto d'aumentare la curvatura della spada. Lo spadaio dovrà tenere conto, durante la sagomatura iniziale, di questo fenomeno. Per incrementare eventualmente la curvatura, si scalda il Mune sopra un blocco di rame arroventato in alcuni punti prestabiliti, dopodiché si raffredda in acqua.

1.9 – Yasurime (rifinitura del codolo): Dopo una prima rozza politura generale, intesa a esaminare la correttezza del lavoro eseguito su tutte le superfici, lo spadaio rifinisce il Nakago tracciandovi sopra dei segni di lima. Ogni scuola e ogni periodo hanno modi particolari di segnare il codolo. Kiri: detti anche Yoko, sono perpendicolari al codolo. Rappresentano il tipo più comune. Kattesagari: segni inclinati da sinistra verso destra. Sujikai: simili al Kattesagari, ma con inclinazione più accentuate. Quando le righe partono da destra in alto, si chiamano Sakasujikai. Ô Sujikai: caretterizzato da una fortissima inclinazione, è tipico delle scuole Aoe e Samonji, nel periodo Kotô. Takanoha: chiamato anche Shida, assomiglia a penne di falco. Saka Takanoha: come penne di falco invertite. Katasujikai: combinazione di Kiri e Sujikai riscontrabile principalmente nella tradizione Yamato. Higaki:simile ad una scacchiera, comune alle scuole Yamato, Mino, Naminohira a Satsuma e altre. Keshô yasuri:esclusivo delle opere Shintô. Sensuki:simile ad una superficie graffiata si trova sulle spade primitive dritte e sulle prime Kotô.

2.0 – Mei (firma): Come operazione finale a politura terminata, lo spadaio incide la propria firma col bulino sul Nakago, in posizione Omote. Sul lato opposto può venire incisa la data.

2.1 – Horimono (incisioni sulla lama): Incisione sulla lama venivano realizzate fin dal periodo Heian e avevano significato sia pratico ( alleggerimento della lama) sia religioso che decorativo. Anche questo elemento è rivelatorio del periodo di fabbricazione dell'armaiolo e della scuola. I tipi d'incisioni più comuni presenti sulle lame sono gli sgusci (Hi) che hanno la funzione di alleggerire le lame e che variano di nome secondo la forma. Oltre agli Hi nelle lame di epoca Kotô si trovano incisioni di carattere religioso quali: Bonji (caratteri sanscriti), Ken (spada diritta), Fudômyoo (immagine del Buddha incarnato), Kurikara (drago avvinto in una spada), Sanko Ken (spada con elsa a forma di Vajra indiana), Gomabashi (un paio di bacchette per riti religiosi), formule d'invocazioni. Nel periodo Shintô l'incisione acquista maggior valore decorativo e vengono introdotti motivi quali: Tsuru Kame (gru e tartaruga simboleggianti longevità), Yoge Ryû (draghi ascendenti e discendenti), Shô Chiku Bai (pino, bambù e Fior di susino), il monte Horai (la leggendaria montagna dell'eterna giovinezza).

   

 

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Sumo lo sport nazionale Nipponico

 

troverete tutte le imformazioni su WWW.sumo.it

sapevate che si pratica anche da noi e che c'è una nazionale?

La storia del Sumo

Origini del Sumo

Le origini del Sumo non sono certe, ma alcune testimonianze suggeriscono che questa attività possa aver avuto origine in una delle vicine località asiatiche; due stati che sicuramente influenzarono molto il Sumo giapponese furono Cina e Korea.
Anche se attualmente il Sumo è tipicamente giapponese, si pensa che molti aspetti culturali di questo sport derivino comunque da queste due regioni.

Insediamento culturale

I giapponesi hanno introdotto in modo denso questa attività/sport nella loro cultura al punto da essere inclusa in moltissime leggende e situazioni nei secoli di evoluzione fino alle origini delle linee genealogiche imperiali e la “razza giapponese” stessa.

Evoluzioni del Sumo

Il Sumo è parte integrante della cultura giapponese sin dai più antichi albori della storia del Giappone; nei secoli si è evoluto da rito religioso ad attività militare fino alla connotazione attuale di sport.

Dal passato al giorno d’oggi, ma soprattutto nel XXV sec. ha subito moltissime evoluzioni così come è variato il ‘target’ di questa attività: iniziando come intrattenimento per gli dei, si trasforma in attività di intrattenimento per i nobili per poi trasformarsi in spettacolo per le masse popolari.
Ultima evoluzione, la trasformazione del Sumo in uno sport avvenuto nel XIX sec. che ha poi reso il Sumo quello che vediamo oggi.

Periodo Heian (Kyoto)

Attraverso la storia,il Sumo è stato molto popolare come forma di intrattenimento, specialmente alla Corte Imperiale. Una dei primi combattimenti di cui si abbia memoria si pensa che si sia tenuto nel 642 d.c. alla presenza dell’Imperatrice Kogyoku che ha regnato dal 642 al 645. Si dice che sia statàrecitatà per i messi della corte Paekche di Korea che erano in visita a quel tempo.
(recitata: inizialmente i combattimenti erano simulazioni di lotta)

Il periodo Heian fù un periodo di particolare successo del Sumo, accumunato dal diverimento sia delle classi nobili che dal popolo, ma era praticato solo a Corte Imperiale e le performance di quel periodo sono poi diventate famose nella storia.

Solo nel vicino VIII sec. sotto il potere dell’Imperatore Shomu (che ha regnato tra il 724 e il 749) i tornei di Sumo hanno iniziato ad avere cadenze regolari.
Fuorono creati anche tornei viaggianti per tutto il Giappone con il fine di reclutare i migliori combattenti (sumobaito).
I lottatori reclutati venivano portati nella capitale dove prendevano parte al ‘festival’ chiamato Sechie, organizzato nei Giardini Imperiali, al settimo giorno del settimo mese di ogni anno.

Questi tornei erano particolarmente complessi e non vi si praticavano solo tornei di Sumo ma forme di intrattenimento tipiche della cultura giapponese così come letture poetiche. Le finalità erano principalmente religiose indirizzate alla preghiera a favore di una prosporità nazionale; si può dire che queste occasioni furono lo strumento per organizzare tra le più grandi manifestazioni e tornei di Sumo mai fatti prima.

Nel 784 d.c., la capitale fù spostata da Nara a Nagaoka poi ancora quella che era chiamata Heian, attualmente Kyoto. E’ stato durante questo periodo che l’Imperatore Kanmu (al potere 781-806) trasformò l’evento religioso Sechie-Zumo in un evento annuale presso la propria corte. I tornei erano infatti tenuti presso la Residenza Imperiale nel giardino di Shishinden, la costruzione principale di tutto il Palazzo.Questi tornei erano ancora più complessi ed elaborati di quelli tenuti dal precedente imperatore al punto da far pensare che l’Imperatore stesso e l’aristocrazia del tempo cercassero di imitare la grandezza della cultura cinese e dei grandi sfarzi delle cerimonie di corte cinese Sui and T’ang.
Fù a questo punto che le tecniche di combattimento del Sumo furono riviste e sviluppate in una forma di gioco elegante e sofisticato per le classi nobili.
Antecedentemente le forme di combattimento erano abbastanza grezze ed erano permessi pugni, calci e colpi la viso – successivamente tali abitudini furono vietate.
Nel 821 fù proclamato l’evento di un importante torneo e, insieme alle due attività ‘classiche’ di torneo d’arco e torneo equestre, il Sumo fù inserito come terza attività di torneo.

I lottatori portati a corte venivano suddivisi in due ‘zone’ nella guardia di protezione imperiale, rispettivamente àsinistrà e ‘destrà della guarnigione.
I lottatori venivanòaccoppiatì in funzione del loro livello e i combattimenti venivano accompagnatti da musici e danzatori.

Non c’era allora un vero e propriòring’ (Dohyo o Dojo), ma combattevano un uno spiazzo senza ostacoli alla presenza dell’Imperatore. Durante questi tornei c’erano, come è sospettabile, feste e banchetti ed altre forme di intrattenimento ludico.

Verso la fine del X sec. la ricchezza e la salute generale del paese subì un forte declino e, come si può facilmente prevedere, le spese per organizzare questo genere di tornei furono tagliate; anche l’attenzione generale verso questo genere di attività subirono un tracollo dovuto all’impoverimento generale.
I banchetti furono sempre più discontinui fino alla loro cancellazione nel 1185 e il Sumo fù incluso tra le attività di addestramento militare mentre il Sumo, gradualmente, andava verso la totale perdita di importanza ed attenzione.

Primo periodo di Edo (1600-1700)

Il primo periodo della città di Edo fu di relativa pace e prosperità dopo essere stato preceduto da guerre e instabilità.
Il periodo Edo (Toyotomi Hideyoshi) ha inizio con il congelamento delle stratificazioni sociali teso ad impedire movimenti tra gli appartenenti alle varie classi sociali.Tale congelamento voleva fermare ed arrestare le tensioni interne che, per desiderio di potere, spingevano a frequenti lotte interne.
Le classi sociali furono definite in modo che i Samurai fossero in cima alla piramide gerarchico-sociale, seguiti da artigiani, mercanti e contadini.

Il periodo Edo portò, di contro, un periodo di insicurezza e instabilità proprio per i Samurai (guerrieri) che persero i loro “mestri Daimyo” (quello che in Europa si chiamerebbe “committente”) nell’antecedente Periodo di Guerra (Sengoky Jidai). Senza il loro “padrone” e senza la possibilità dìscendere’ di categoria, le carriere dei Samurai senza padrone (detti Ronin) presero a rovinarsi.
Il Sumo era comunque una delle attività che erano consone ad un Samurai il che condizionò l’attività dei Samurai stessi che vedevano nel Sumo una attività rispettabile e di mantenimento.
Alcuni di questìSumo-Ronin’ furono abbastanza fortunati da essere poi “assunti” nelle corti di alcuni “daimyo”, altri invece si trovarono costretti a esibirsi per strada dando così origine al “Sumo da strada”.

Per quanto diventasse incerta la posizione nella società per i Samurai, per i mercantie per ìbracciantì, questo periodo storico fù di grandi cambiamenti; con nuova prosperità e la chiusura del Giappone alle culture circostanti, il divertimento, i giochi e la cultura interna si diffusero anche tra le classi medio-basse della società come mai avvenne nella storia del Giappone.
Nacquero quartieri di intrattenimento, teatri, ristoranti e case da bagno e osterie presero popolarità tra la gente comune.
Fù proprio in questo periodo che il Sumo, prima relegato alla sola classe nobiliare, divenne un’arte accessibile al popolo.

Con l’introduzione del “Sumo da strada” e la generale espansione dei quartieri di intrattenimento ludico divenne evidente il problema della violenza da strada.Spesso nascevano problemi tra guerrieri senza impiego e questi quartieri divennero veri e propri problemi da risolvere per le autorità a causa delle violente guerre di strada che coinvolgevano anche la gente comune e gli osservatori.

Durante questo periodo si era diffusa anche una forma di Sumo chiamata “Kajin-zumo” dedicata ai templi e santuari quale strumento di raccolta di donazioni per mantenere e ristrutturare i templi stessi.
Il Sumo divenne così popolarissimo, ma anche in questo caso vi furono dei problemi perchè tale attività divenne talmente redditizia che spesso gli incassi non andavano devoluti per le finalità per le quali gli incontri erano organizzati ma andavano nelle mani di “Sumutori”. Anche in questi casi c’erano un sacco di problemi sociali nell’intorno degli incontri, soprattutto quando la gente stessa era chiamata direttamente dalla folla a partecipare agli incontri.

Nel 1648 le autorità presero finalmente posizione ed emisero il seguente decreto:
I combattimenti di strada di Sumo non dovranno più essere fatti
Comattimenti di Sumo per beneficenza non dovranno più essere organizzati
I lottatori che fossero invitati a combattere presso le residenze dei loro superiori non dovranno indossare vestiti di seta ma di semplice stoffa.

Le autorità iniziarono così a definire in modo molto rigido le occasioni nelle quali il Sumo era praticabile permettendo solo qualche performance senza donazioni e la gente astante non poteva partecipare agli incontri. I quartieri d’intrattenimento iniziarono ad essere meglio regolamentati e i combattimenti organizzati dai Daimyo in teatri privati furono posti sotto controllo anche dalle autorità. Questo portò però ad una interruzione dei combattimenti.
Come era prevedibile, nonostante il decreto del 1648 i combattimenti di strada continuarono ad essere praticati illegalmente il che portò, nel 1661, al divieto totale di praticare combattimenti di Sumo.

Mentre a Edo il Sumo causava problemi di ordine pubblico, Kyoto e Osaka erano relativamente tranquille. Kyoto aveva organizzato in modo ordinato tornei di beneficenza in larga scala e in entrambe le città venivano tenuti tornei in periodi regolari e con pochi incidenti violenti e disordini.

Il Sumo tornò a Edo una ventina d’anni più tardi con l’unione di Samurai-senza-padrone (Ronin) e lottatori professionisti che, grazie ad una petizione, richiedero la possibilità di praticare nelle pubbliche piazze.
Il permesso fù concesso organizzando un torneo di 8 giorni nel tempio di Fukugawa Hachiman, nella parte Est di Edo, anche se furono poi adottati dei cambiamenti per evitare problemi di violenze.

Uno di questi cambiamenti fu l’introduzione di un ring separato dalla folla in modo da dividere combattimenti e gente. Inizialmente fù disegnato un cerchio e la gente doveva starne fuori.

Un’altro cambiamento proposto da Gondaiyu fù l’introduzione e la semplificazione di alcune tecniche usate nel Sumo. Dal periodo medio-Muromachi fino al tardo XVII secolo, la lista delle varie tecniche di combattimento crebbe fino a 250 e sempre Gondaiyu propose che queste fossero semplificate e divise in 4 gruppi:
Nage o “colpire”, Kake o “fare cadere”, Sori o “strattonare” e Hineri o “far roteare”.
Per ognuna di queste furono assegnate circa 12 prese/mosse riducendo il tutto a 48 mosse.
Altri gruppi furono poi adottati per assorbire le tecniche rimanenti.

Nel 1684, fù ufficializzato un sistema di gestione dove Gondaiyu prendeva il ruolo di organizzatore agendo da intermediatore tra le autorità e i gruppi di lottatori, un ruole che gli fece guadagnare il titolo di “Toshiyori” o “anziano”.La sua posizione prevedeva lo sviluppo di un “gruppo guidato di lottatori professionisti, capace di organizzare e dirigere le performance a favore del Sumo e di rendere liberi da violenza i tornei”.

BanzukeI “Programmi” (Banzuke) iniziarono ad essere usati nel tardo XVII sec, il primo noto fù un torneo di beneficenza di 7 giorni fatto a Kyoto nel tempio di Okazaki Tenno nel 1699. I primi “Programmi” erano tavole di legno posizionate alle pareti durante i tornei ed elencavano arbitri e lottatori da sinistra a destra.
Banzuke di carta furono invece introdotti nel recente XVIII sec. e consisteva in un foglio di carta per ogni squadra. I nomi dei lottatori erano scritti in ordine di ruolo con il più grande (in caratteri) per il più importante in cima fino al menòforte’ scritto in piccolo in basso.

Col rientro dell’ufficialità del Sumo, ancora una volta crebbe in popolarità, i Daimyo tornarono a sponsorizzare i lottatori così come facevano prima che fossero vietati.I lottatori furono assunti da potenti nobili e guadagnarono il titolo di Samurai, il che permetteva loro di portare con sè due spade (i lottatorìsenza padrone’ non potevano portare le spade se non per cerimoniale).

Secondo periodo di Edo (1700-1868)

Verso la fine della seconda metà del periodo Edo, il Sumo iniziò ad assumere un ruolo organizzato e sviluppato in strutture organizzative concrete. I programmi divennero molto usati e venne in uso la cerimonia dell’ingresso nel ring, vere e proprie ‘scuderie’ di lottatori furono create. Si introdussero anche figure ufficiali nel Sumo così come arbitri ufficiali.
Questa organizzazione permise la trasformazione del Sumo da Kanjin-Sumo (Sumo per beneficenza) a quella che è l’ufficiale organizzazione della lotta del Sumo professionista.

Con l’avvento del Kanjin-Sumo, si rinnovò l’interesse dei Daimyo che ancora ricominciarono a sponsorizzare i lottatori. Osaka e Kyoto in particolare sperimentarono un boom di popolarità per il Sumo con grandissimi tornei tenuti da lottatori provenienti da molte diverse province del Giappone. Fù proprio in queto periodo che le due città furono letteralmente invase dalla “moda” del Sumo che le portò all’organizzazione di due grandi tornei due volte l’anno dal 1740.

Grandissime quantità di lottatori venivano da tutto il Giappone per partecipare a questi tornei, e fù per questo grandissimòturnover’ di lottatori diversi che fù introdotta la cerimonia di ingresso e presentazione dei lottatori.

La cerimonia serviva appunto come strumento di presentazione dei lottatori al pubblico e per mostrare la loro forza e salute dovute alla bontà del loròpadrone’ senza risparmiare di mostrare ricchezza e bellezza nell’uso di costumi elaborati e pettinature complesse.
Inizialmente questi vestiti si potevano usare durante gli incontri, furono poi limitati all’uso solo durante la cerimonia di apertura e comunque non durante gli incontri.

I tornei benefici furono ufficialmente organizzati nel 1761 con la definizione della lunghezza del torneo da 8 a 10 giorni in totale. Si tenevano in unòstadiò all’aperto sito in un tempio costruito appositamente per l’occasione.Si trattava di due zone che circondavano il ring capaci di contenere circa 3000 persone.
Il ring consisteva in una piattaforma rialzata coperta da un tetto di legno sorretta da 4 colonne nel centro dello stadio che era diviso da grandi accessi laterali.

Tra la fine del 1750 e il 1780, il tempio di Fukugawa Hachiman divenne il tempio più importante dove si tenevano combattimenti di Sumo ma fu rimpiazzato dal tempio Eko-in alla fine del 1780. Molti dei tornei di Sumo alla fine del XVIII sec. si tenevano in questo tempio che ottenne così l’ufficializzazione di Hombasho, ovvero la “residenza ufficiale” del Sumo nel 1833.

All’inizio del 18mo secolo la struttura organizzativa del sumo subì un periodo di cambiamenti, iniziati nel 1719 con la regola stabilita dalle autorità di Edo secondo cui soltanto agli organizzatori ed ai lottatorìprofessionistì era permesso prender parte ai tornei di sumo per beneficienza. Ciò spinse i più anziani, coloro che facevano parte del mondo del sumo già dagli inizi del periodo Edo, a fondare delle loro sedi di allenamento per i lottatori più giovani e questo fece sì che un gruppo esclusivo di anziani professionisti fondasse le Heya, o scuole private. Molte di queste scuole sono tuttora attive nell’odierna Tokio e sono state fondate nel periodo compreso fra il 1751 ed il 1781. La figura dei Gyoji, o arbitri, fu codificata in questo stesso periodo, ed i loro doveri di giudici degli incontri furono estesi fino ad includere il ruolo di una sorta di surrogato di sacerdote Shinto per le cerimonie di ingresso sul dohyo. Le due famiglie, gli Yoshida ed i Gojo, stabilirono fermamente le loro posizioni di controllori esclusivi delle licenze dei Gyoji e ciò di fatto confinò tale lavoro ad essere gestito soltanto da queste due famiglie, essendo ereditato ed organizzato a seconda dell’anzianità. Furono inoltre adottati i tradizionali abiti da cerimonia dei samurai e l’uso dei Gunbai-Uchiwa, o ventagli da guerra, usati per dare inizio ai match.

DIDASCALIA: Una stampa Ukiyo-e raffigurante Hanaogi, cortigiana della casa di piaceri.

Oyiga

Nel decennio del 1780 ci fu un periodo di sconvolgimenti politici ed economici che sorprendentemente ebbero poco effetto sulla classe dei mercanti dell’epoca. Ad Edo si viveva infatti in un’epoca di prosperità economica e culturale per la classe dei mercanti. Fiorivano i quartieri dei divertimenti, con un grande ritorno di interesse per il teatro Kabuki, l’arte ed il sumo. Per la prima volta nella storia giapponese, la vita ed i valori della gente comune divennero il soggetto principale per l’arte e la letteratura e, con lo sviluppo delle tecniche di stampa, queste forme di cultura divennero accessibili a tutti. Le stampe su legno Ukiyo-e ed i libri che avevano come tema gli eroi popolari dell’epoca – lottatori di sumo, attori e cortigiane – e le fatiche e le tribolazioni quotidiane della gente comune erano ampiamente letti e fruiti da tutti e forniscono tuttora un importante spaccato della società dell’epoca. Fu durante questo decennio che venne formalizzato il ruolo dello Yokozuna. Si trattò del risultato della rivalità fra le famiglie Yoshida e Gojo nella loro lotta per assumere il pieno controllo del mondo del sumo.

Nel 1789 Yoshida Oikaze chiese alle autorità “il riconoscimento ufficiale del suo potere di assegnare ciò che lui chiamò, per la prima volta, la Yokozuna Menkyo, o Licenza di Yokozuna.” (Cuyler, 1985, pg 80). La prima cerimonia di ingresso nel dohyo celebrata da uno yokozuna (yokozuna dohyo-iri) fu tenuta nel 1789 presso il Fukuyama Hachiman Shrine dal grande campione ed eroe popolare del tempo, Tanikaze Kajinosuke, e ciò sancì ufficialmente il potere del clan Yoshida nel circuito del sumo. Fino alla fine del 18mo secolo, il sumo aveva goduto di un’ampia popolarità e pubblicità, ma soprattutto nei “quartieri dei piaceri” del famoso “mondo fluttuante” (Ukiyo, termine utilizzato per descrivere uno stile di vita edonistico e votato alla cultura tipico dei quartieri a luci rosse dell’antica Edo, n. d. T.), così quando nel 1791 lo Shogun Ienari chiese di assistere ad un incontro di sumo tra i leggendari Tanikaze ed Onogawa, l’immagine del sumo ricevette un importante “restauro”. Per l’importante occasione le cerimonie formali ed i rituali Shinto furono reintrodotti ed adottati come regole. Il tardo 1700 e’ spesso descritto come l’”Età dell’oro” del sumo, l’epoca in cui lottatori di straordinaria fama e leggendaria abilità illuminarono l’arena del sumo. Tanikaze, grande campione e vincitore di 21 titoli ed Onogawa, vincitore di soli 8 tornei, ma dotato di una tecnica straordinaria che lo rese beniamino del pubblico, furono due fra i più leggendari campioni, oscurati soltando da Raiden Tameimon.

DISASCALIA Onogawa by Shunei, c.1796

Raiden, con la sua incredibile stazza di 197 cm e 170 kg e la sua impressionante abilità e forza e’ “universalmente considerato il più grande sumotori di tutti i tempi” (Sharnoff,1989, pag. 42). Vinse 26 tornei (stando alle dettagliate statistiche pubblicate sul sito chijanofuji.com si tratta di 28 tornei, n. d. T.) in 21 anni, perdendo soltanto 10 incontri durante tutta la sua lunga straordinaria carriera. La presenza di questi eroi determinò un incremento della popolarità del sumo, popolarità che però scemò improvvisamente dopo il loro ritiro, dato che nessun altro lottatore riusciva ad esprimersi agli stessi straordinari livelli imposti da queste leggende. Dopo il ritiro di Raiden nel 1811, le autorità del sumo si trovarono di nuovo costrette a ricorrere a manifesti pubblicitari ed attrattive supplementari per attirare la folla. L’era Tempo (1833-44) si rivelò un periodo relativamente opaco per il sumo, con un rapido declino di popolarità a riflesso dei vari sconvolgimenti politici e sociali dell’epoca e con gravi difficoltà finanziarie per l’organizzazione del sumo Il periodo terminò nel 1868 con il collasso del regime Tokugawa, e con il sumo in gravissima crisi. Periodo Meiji (1868-1912) Durante il periodo Meiji il sumo attraversò una delle epoche più buie della sua storia, quando fu quasi totalmente bandito e disprezzato dai giapponesi, presi dalla loro corsa verso l’occidentalizzazione. Edo fu ribattezzata Tokyo, un cambiamento che portò svariate novità nel modo di agire del governo, deciso a modernizzare ed occidentalizzare il paese il più rapidamente possibile dopo i trambusti degli anni iniziali dell’era Meiji.

I Daimyo furono costretti a rilasciare i loro vassalli lottatori in seguito all’abolizione del regime feudale e ciò creò gravi problemi all’organizzazione del sumo, dato che vennero improvvisamente troncati i salari e vennero a mancare le entrate per i lottatori. L’occidentalizzazione fece sì che il sumo venisse considerato fonte di imbarazzo per i giapponesi che lo ritenevano primitivo ed arretrato rispetto alla sofisticata cultura occidentale e si tentò persino di abolirlo. Questi tentativi, in realtà, non andarono mai in porto, ma sono indicativi della minaccia rappresentata dall’occidentalizzazione per la cultura giapponese dell’epoca. Il movimento del sumo, a sua volta, attraversò un periodo di sconvolgimenti, con il ribelle Takasago Uragoro che determinò una scissione nell’associazione. Le sue proteste erano dirette contro la gerarchia ed il dominio di certi gruppi all’interno dell’associazione ed in particolare contro il direttore ed il suo assistente che mantenevano illeggittimamente ed in maniera tirannica posizioni di potere e gestivano le finanze dell’associazione. Nel 1873 Takasago Uragoro fondò per protesta un’associazione concorrente nella regione del Kansai, ma si reintegrò all’associazione di Tokyo dopo 5 anni, grazie ad una serie di importanti riforme finanziarie e della struttura organizzativa dell’associazione.

L’interesse pubblico per il sumo rimase piuttosto tiepido fino al 1884, quando l’imperatore Meiji organizzò un torneo di sumo. L’imperatore aveva colto gli effetti negativi dell’occidentalizzazione sulla cultura nipponica e cercava di contrastarli. Il suo tentativo ebbe successo e la popolarità del sumo crebbe via via insiemme all’orgoglio nazionale. L’associazione di Tokyo divenne la Tokyo Sumo Association nel 1889 ed il sumo godette di una rinnovata popolarità, rafforzata dalla vittoria giapponese nel conflitto sino-nipponico, dopo il quale crebbero le pulsioni nazionalistiche ed il popolo giapponese tornò ad essere fiero delle propria, unica, cultura. Da allora il sumo e’ diventato fonte di orgoglio nazionale ed ha goduto di un’immensa popolarità ed oggigiorno si fregia con onore del titolo di sport nazionale giapponese.

(Testi: Nicole Bargwanna – Australian National University, 1996)
(Traduzione: a cura di Julien Buratto e Marco Miceli)

 
 
 

 

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NINJA i guerrieri dell’ombra

 

Ninja (忍者?) è un termine giapponese che indica una spia del Giappone feudale (dal 1185 al 1868 circa). Il ninja è per definizione l’esperto nelle tecniche militari di strategia e intelligence che prendono il nome di ninjutsu e che hanno una lunga storia. Tuttavia, le fonti storiografiche ed enciclopediche giapponesi riferiscono che il termine ninja ha conosciuto una diffusione significativa solo dopo gli anni cinquanta, a partire cioè dalla popolarizzazione – principalmente attraverso manga e trasmissioni televisive – di personaggi conosciuti con questo nome nella letteratura e nel teatro di intrattenimento della tarda epoca Edo (1601 – 1868). Bisogna quindi distinguere il personaggio del ninja, ormai ben noto anche in occidente, dai guerrieri e militari anche molto famosi che negli scontri sanguinosi del medioevo giapponese utilizzarono metodi spionistici(avvalendosi talvolta dell’aiuto di esperti noti come ninjutsutsukairappashinobimetsuke e altri appellativi). Il mito del ninja merita nondimeno la giusta attenzione per il suo significato e il successo che ha riscosso e continua a riscuotere in Giappone e soprattutto all’estero.

Etimologia [modifica]

“Ninja” è la lettura “on” dei due kanji 忍者 utilizzati per scrivere shinobi-no-mono (忍ノ者?) un termine nativo giapponese utilizzato per descrivere una persona che praticava ilninjutsu. Tra i sinonimi di ninja vi sono i termini kanja (間者?), shinobi (?) e shinobi no mono (忍ノ者?). In epoca Tokugawa anche il termine Oniwaban (御庭番?) o “custode dei giardini” della dimora shogunale divenne sinonimo di spia. Secondo alcune fonti di tenore romanzesco le spie di sesso femminile avrebbero avuto l’appellativo di kunoichi (くノ一?), un gioco di parole che si riferisce al carattere grafico per “donna” (onna (?)) ed ha anche altre accezioni.

La figura storica dei ninja [modifica]

Le vesti del ninja

kanji di Ninja

I ninja portavano abiti neri per la notte e abiti di colore marrone-cachi per le ore del giorno: lo sappiamo grazie ad esemplari autentici conservati nel museo Ninja di Iga-Ueno. Erano esperti di arti marziali e la preparazione fisica meticolosa occupava gran parte della loro giornata. All’occorrenza, un Ninja poteva fungere da sicario e compiere un omicidio mirato, ma non stragi come ormai consueto pensare nell’immaginario collettivo. Essi, poi, non erano soltanto delle spie. Oltre allo spionaggio vero e proprio, costoro erano esperti di sabotaggio,tortura, ed appunto, l’eliminazione fisica degli avversari (omicidio mirato), azioni tipiche dei commando. Praticavano le arti marziali ad alti livelli. Erano, in breve, polivalenti. Non di rado, avevano compiti di polizia per il mantenimento dell’ordine pubblico, oppure costituivano una specie di servizio segreto alle dipendenze del daimyo locale. Infine, spesso, erano pure investiti del compito di guardia del corpo dello shogun: una specie di guardia pretoriana nipponica.[1]. I Ninja operarono dal 1185 circa alla fine dello shogunato, nel 1868, quando ebbe termine il cosiddetto “Medioevo giapponese“. In realtà essi non smisero di esser addestrati, ma il loro utilizzo divenne maggiormente “mirato” e la loro preparazione venne rigorosamente e meticolosamente organizzata a livello centrale da parte dello Stato: diminuirono di numero, ma la qualità delle loro prestazioni aumentò notevolmente. Ad esempio, a differenza di quanto avveniva nei secoli precedenti, a partire dal 1890 essi erano obbligati ad imparare una o più lingue straniere. Figure di agenti infiltrati nelle linee nemiche con caratteristiche identiche a quelle dei Ninja sono state descritte dalle fonti dell’esercito zarista durante la Guerra russo-giapponese, e precisamente nelle battaglie del fiume Yalu, di Mukden e durante l’assedio di Port Arthur. Inoltre, siamo abituati allo stereotipo del guerriero Ninja armato di unasciabola, la Katana, tipica del samurai. In realtà, l’armamento dei Ninja era quanto mai variegato e scelto in base alla tipologia di missione che in quel particolare frangente era da compiere[2]. Pertanto, oltre alla katana, esisteva un arsenale composto da archi e dardi, giavellotti, pugnali, e via discorrendo. Nella fattispecie entravano nel loro corredo:

  • la Katana (sciabola)
  • la Ninjatô anche chiamata Shinobi-to (un particolare tipo di spada a profilo dritto e più corto rispetto alla tradizionale katana);
  • il  (un bastone molto lungo);
  • la Wakizashi (spada corta, ad un solo filo);
  • il Kunaï (un coltello in metallo atto a scavare piccoli buchi nel terreno, all’occorrenza utilizzabile anche come dardo da lancio)
  • le Shuriken o shaken (letteralmente lame volanti sia di forma circolare sia oblunghe. Sono note come “Le stelle dei Ninja”)
  • le Bo-Shuriken (chiodi lunghi 20 – 30 centimetri da posizionare negli spazi interdigitali per poter esser lanciati);
  • la Kaginawa (ancorette unite ad una corda, sia da lancio, che per arrampicarsi);
  • la Kamayari (una picca con arpione);
  • la Kusarigama (falcetto con una catena attaccata all’incrocio tra lama e manico. la catena aveva anche un peso all’altra estremità);
  • Manrikigusari (coppia di piccoli pesi posti all’estremità di una catena)
  • Mizugumo (dei galleggianti per attraversare pozze d’acqua);
  • il Tanto (tipico coltello da uso quotidiano giapponese)
  • le Ashiko (calzature chiodate);
  • il Tekagi e la sua variante, il Shuko (bracciali puntuti e pugni di ferro anch’essi puntuti);
  • il  (una spranga di legno);
  • la Fukumibari (una cerbottana);
  • le Makibishi (chiodi a quattro punte da disseminare sulle strade) e le loro varianti, le Tetsubishi (dardi a quattro punte per egual fine);
  • la Naginata (una alabarda);
  • il Kyoketsu Shogei (un corto pugnale con paramano curvo che dà la forma di un arpione, dotato di una lunga corda con al termine un anello metallico);

Entrarono, in tempi recenti (a partire dal 1700) anche armi da fuoco (piccoli obici quali gli Ōzutsu) e granate Metsubushi (目潰し, “Chiudi occhi”, ovvero piccole bombe dirompenti a carica metallica). In pratica, i Ninja non ebbero in alcuna epoca quell’alone di guerrieri dalle caratteristiche “soprannaturali” che il cinema ci ha da sempre mostrato. Semplicemente, essi erano una casta di guerrieri che operavano in genere singolarmente ed il cui teatro d’azione era talmente vasto che poteva andare dalla semplice raccolta di informazioni, all’omicidio su commissione.

 

  • Shikomizue.

 

 

  • Manriki.

 

 

  • Makibishi.

 

 

  • Kaginawa.

 

 

  • Shuriken.

 

 

  • Kusarigama.

 

 

  • Manriki.

 

 

  • Shuriken.

 

 

  • Kusari katabira.

 

 

  • Chigriki.

 

 

  • Ashiko.

 

Collocazione storica dei guerrieri ninja [modifica]

Un uomo vestito da ninja durante una parata ad Aizu nel 2006

I Ninja comparvero circa nel 1185 con il compito di polizia, quindi per mantenere l’ordine nei vari feudi. Il loro periodo aureo si colloca tra il1300 ed il 1870. Per il ninja non esistevano differenze di casta: gli uomini si dividevano in adepti del proprio clan, cui era dovuta fedeltà assoluta, e gli altri nei confronti dei quali tutto era lecito. Nel 1467 venne ufficializzato il loro servizio presso gli shogun locali[3]: nel Giappone sconvolto da un lungo periodo di guerre furono sempre più i nobili che si rivolgevano ai clan Ninja per essere aiutati nelle battaglie o per far compiere silenziose vendette. Spesso l’impiego dei ninja faceva pendere l’ago della bilancia dalla parte di uno dei contendenti. Grazie a ciò il potere politico dei clan ninja si sviluppò enormemente sino al punto che, attorno al 1467, fu lo stesso ShogunYoshihisa Ashikaga (1436 – 1489) a richiedere il loro aiuto nella guerra di Onin. In questo modo intere provincie del Giappone finirono sotto l’influenza ninja. A volte i ninja decretavano l’ascesa o la cacciata degli shogun[4]. Il potere dei ninja diveniva sempre più vasto, tanto che lo shogun Oda Nobunaga (1534 – 1582) si appoggiò apertamente agli europei per poter estromettere i ninja dalle posizioni di potere oramai consolidate durante il suo tentativo di unificare il Giappone. Egli, da un lato, protesse il nascente cristianesimo e lo incoraggiò a diffondersi. Dall’altro combatteva i ninja senza un attimo di tregua, tanto da scendere in guerra aperta nel 1579, incaricando il figlio Katsuyori di assaltare, conquistare e distruggere la roccaforte Ninja di Iga. Nella battaglia di Teusho Iga no Ran (1580) le truppe di Katsuyori subirono una disastrosa disfatta per opera dei Ninja che dimostrarono in questa come in altre occasioni di essere eccellenti combattenti anche in campo aperto. Non maggior successo ebbe la spedizione militare del 1581. Il successore di Nobunaga, invece, appoggiandosi ai ninja, quasi sradicò dall’arcipelago il cristianesimo: con l’avvento allo shogunato di Ieyasu Tokugawa (1543 – 1616) nel 1582, favorito da un uso spregiudicato dei ninja medesimi, i ninja si trasformarono in spie, poliziotti e repressori. I ninja erano all’apogeo della loro potenza e lo sarebbero stati fino al 1853. Nel 1853, quando le “navi nere” del commodoro Perry violarono l’isolamento in cui era rinchiuso il Giappone, una spia ninja Jinsaburo Yasusuke Sawamura fu incaricato di salire di nascosto a bordo di una di esse per sottrarre documenti che facessero intuire le intenzioni degli stranieri. Egli ritornò dalla missione con dei manoscritti che sono ancora oggi conservati dalla famiglia Sawamura nella città di Iga-venoprefettura di Mie. I manoscritti però non contenevano segreti, bensì erano una lettera di un marinaio olandese alla sua fidanzata ed una canzone che decanta le doti delle donne francesi a letto e delle inglesi in cucina[5]. I ninja furono adoperati nella guerra cino-giapponese del 1894, nella guerra russo-giapponese del 1904 e nelle due guerre mondiali. L’occupazione militare del Giappone da parte degli americani (1945 –1949) costrinse tutte le arti marziali ed il ninjutsu in particolare a tornare alla più totale segretezza, in quanto ritenuti veicoli di propagazione di sentimenti xenofobi.

I Ninja ed il Cristianesimo nipponico [modifica]

Il ninja Jiraiya, protagonista del racconto tradizionale Jiraiya Goketsu Monogatari

Il rapporto tra il ninjutsu ed il cristianesimo fu sempre caratterizzato da antagonismo e da repressione ad opera dei ninja stessi. Ilcristianesimo giapponese, che coincide quasi interamente col cattolicesimo romano, sbarcò in Giappone nel 1549 con San Francesco Saverio (1506 – 1552), braccio destro di Sant’Ignazio di Loyola (1491 – 1556). Ma la rivolta dei contadini di Nagasaki (1637), molti dei quali convertiti al cristianesimo, diede allo shogun il pretesto di reprimere e di mettere al bando la religione cristiana, irrogando nel contempo numerose pene capitali.

I Ninja pare abbiano avuto un ruolo di primo piano in quest’opera di repressione[3]. Nel 1640 il cristianesimo giapponese era ufficialmente estinto. Gli editti dello shogunato di Tokugawa (1600 – 1868)del 1633 e del 1639 chiusero il paese in se stesso impedendo ogni contatto con gli stranieri, ad eccezione di un porto franco aperto ai commerci con poche nazioni: iniziava l’isolazionismo (in nipponico: Sakoku). L’isolamento durò ben due secoli. L’8 luglio del 1853 l’ammiraglio statunitense Matthew Perry (1794 – 1858) gettò le ancore nella baia diUraga, vicino alla città di Edo (la moderna Tokyo), al comando di quattro navi da guerra della marina statunitense, chiedendo formalmente l’apertura dei porti del Giappone, la stesura di accordi per i soccorsi in caso di naufragio e la stipula di trattati commerciali.

Il 14 luglio la richiesta venne ufficialmente presentata allo shogun in persona nella città di Kurihama (la moderna Yokosuka), minacciando l’intervento armato in caso di non accoglimento delle sue richieste. Missioni analoghe non avevano ricevuto alcuna risposta precedentemente: vascelli statunitensi tra il 1793 ed il 1809 poterono operare solo sotto bandiera olandese (i giapponesi consentivano solo agli olandesi ed ai cinesi di commerciare nel porto franco di Nagasaki); venne invece respinta nel 1804 la spedizione guidata dal primo ambasciatore russo in Giappone, Nikolai Petrovic Rezanov (1764 – 1807); nel 1846 e nel 1848 nuovamente accadde con le spedizioni al comando dell’ammiraglio statunitense James Bidle (1783 – 1848) e James Glynn (1800 – 1871) rispettivamente. Solo nel1853, sotto la minaccia delle cannoniere americane del commodoro Perry, il Giappone consentì a riaprirsi ai traffici occidentali e all’invio di missionari.

Nel 1854 Perry tornò in Giappone e firmò la Convenzione di Kanagawa che ufficializzò la fine dell’isolazionismo nipponico. Molti di questi missionari, giunti in seguito all’intervento di Perry, rimasero stupiti di trovare ancora cristiani. Questo fatto pose termine all’isolamento nipponico ed indebolì notevolmente il potere della classe dei samurai, tanto che nel 1868 il potere centrale facente capo all’imperatore prese definitivamente il sopravvento sui feudatari ed avviò la modernizzazione del paese sullo stampo occidentale.

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Il Neribo questo sconosciuto…

Molti si saranno domandati come potersi allenare da soli, magari a casa (suburi e tai sabaki a parte) 
senza aver bisogno del generoso supporto di un uke.

Evitiamo la tentazione di domandare alla moglie:
“Tesoro, prova a darmi un pugno che vedo se riesco a ribaltarti…”.
Anche perché potremmo venir sorpresi da un classico ceffone fuori standard con relativa figuraccia.
Inutile poi commentare con frasi del tipo: “..ma mi dovevi attacare così…!?!”
Scherzi a parte, questa possibilità nell’Aikido esiste, ne è la prova la voce Hitorigeiko (pratica da soli) 
presente nel programma di allenamento di Hiroshi Tada Sensei (vedi qui).

In cosa consiste?

Consiste nell’esercitarsi perlappunto con un Neribo.
Vediamo dunque di cosa si tratta:
Neribo: Neri = verbo Neru (ねる)  che significa grosso modo “impastare”; Bo = bastone ();
quindi bastone per impastare.

Infatti sembra una specie di mattarello lungo piu' o meno 51 cm (qualcuno dice meta' di un bokken)
con il diametro piu' o meno del tuo polso (4 o 5 cm), quindi un avambraccio artificiale.

Ma come si usa?

Non ho trovato immagini o filmati che possano essere esplicativi quindi metteteci un po’ di immaginazione.
Per l'allenamento usi questo strumento come se fosse il tuo uke, o meglio l'avambraccio del tuo uke 
facendo i kion dell'Aikido in serie (ikkyo, nikyo, sankyo ecc. omote e ura, destro e sinistro) 
o intensivamente (1000 ikkyo o nikyo omote e ura) ... 
trovatemi un uke che sia disposto a lasciarsi fare 1000 nikyo senza batter ciglio!!

Se lo volessimo, come possiamo procurarci questo strumento?

Non credo ci siano negozi che lo vendono, almeno io non ne ho trovati, ma per gli amanti del fai da te 
un mattarello da cucina può essere un ottima alternativa:
si trova facilmente, è economico, è lavorato al tornio quindi perfettamente rotondo.
Solitamente è di faggio, sicuramente non all'altezza della quesrcia bianca o rossa normalmente 
utilizzata in giappone per le armi da allenamento, ma regge bene il confronto.
Sarà sufficente tagliarlo della misura giusta ed aggiustare a piacere con un po' di carta vetrata la dove serve.
Per la finitura servirà solo tanto buon “olio di gomito” che gli conferirà quell’aspetto tipico dell’attrezzo vissuto.
Per i più esigenti, e con qualche nozione di falegnameria, è possibile cercare un legno un po’ più pregiato (vedi sopra)  
magari con un peso maggiore secondo i propri gusti e sensazioni.

Questa è la ricetta e buon hitorigeiko a tutti.
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la non mente

 

LA NON MENTE – Istinto, intuizione e razionalità

 
Un giorno un professore inglese, insegnante di di filosofia, si recò a far visita a un famoso Maestro Zen. Dubbioso sull'efficacia di questa filosofia orientale voleva interrogare il maestro per verificarne la validità. Il Maestro lo accolse con cortesia e lo fece accomodare di fronte a sé, dalla parte opposta di un tavolino dove aveva preparato del the, sapendo che gli inglesi ne facevano abbondante uso, come anche in Giappone. Il Maestro dunque chiese al professore se volesse del the. Il professore rimase perplesso nel constatare che la sua tazza era già piena, mentre quella del Maestro era vuota, e si chiese se il Maestro non fosse un po' stolto. Il Maestro si accorse della perplessità dell'ospite e si versò del the nella tazza, poi cominciò a versare dell'altro the nella tazza del professore facendolo traboccare. Il professore si alzò e disse "ma cosa sta facendo, non vede che la mia tazza è già piena?". "Vede, caro professore" rispose il Maestro "la sua mente è come questa tazza, piena di concetti, se lei non la vuota come faccio a farcene stare altri?"

Nelle arti marziali, e in molte attività tradizionali giapponesi, si fa spesso riferimento al "vuoto mentale" o "non mente", è un concetto che affascina molti artisti marziali.

Ma come è possibile "non pensare"? Come è possibile "creare il vuoto mentale"?
Sono le domande che spesso ci si pone.

Per lo Zen il cerchio rappresenta il vuoto e nello stesso tempo l'infinito

Molte delle più importanti invenzioni dell'uomo si sono risolte nei momenti di  rilassamento mentale quando la mente, esausta, si abbandona nel meritato riposo. Come quando lo scienziato, dopo giorni di sofferti e faticosi calcoli, non arrivando alla soluzione del problema, alla sera si sdraia per riposare e, nel dormiveglia, di colpo si alza seduto sul letto: "eureka", "ho trovato".

Cosa è successo?

La sua mente si è liberata da tutti i calcoli e ragionamenti, si è vuotata, ed è affiorato dal subconscio l'intuito. Naturalmente la soluzione che deriva è sempre legata a informazioni precedentemente acquisite e immagazzinate nella mente. Solamente se questi dati sono stati assimilati con precisione la soluzione affiorerà.

Creare il vuoto significa non soffermarsi su un pensiero ma, come viene, lasciarlo passare. 

 
IL VUOTO NELLA PRATICA MARZIALE
Mu, il vuoto

Fudochi Shinmyo Ryoku 
l'immobile saggezza
 
Se ci concentriamo sui movimenti del nostro avversario la nostra mente ne verrà catturata.
Se ci concentriamo sulla sua spada sarà essa a catturare la nostra mente.
E cosi se ci concentriamo sul punto dove vorremmo colpire, oppure sul modo di evitare la sua lama.
Non c'è nessun luogo dove porre la mente.
Takuan

Con il ragionamento la nostra mente è concentrata nella soluzione. Per risolvere il problema a volte ci ostiniamo a percorrere un certo ragionamento e perdiamo di vista le alternative. Una mente aperta e rilassata ha una capacità soluzionale certamente migliore rispetto ad una mente ottusa e ostinata. Ma tutto questo è valido solo se ci sono lunghi tempi a disposizione.
 
Quando si subisce un attacco non c'è tempo per il ragionamento. E' l'intuizione che è determinante, e l'intuizione va di pari passo con l'apertura e il rilassamento mentali.

Quando durante una lezione si prova una tecnica, il lavoro mentale, il ragionamento, sono importanti per individuare i concetti di esecuzione, abbiamo del tempo a disposizione per provare e riprovare ma, alla fine, per arrivare all'efficacia di un movimento di difesa dobbiamo sentire con il corpo.

Possiamo distinguere l'apprendimento attraverso due canali:
il corpo che impara dalla mente, la mente che impara dal corpo.
Nel primo caso è la mente che guida il corpo, nel secondo la mente segue il corpo.

La mente guida il corpo quando si deve eseguire un attacco (offesa), o ci si confronta in duello (una gara sportiva), ed è determinante la tattica acquisita negli allenamenti.
Il corpo guida la mente quando si subisce un attacco (difesa), solitamente improvviso, ed è qui che diviene importante il vuoto mentale, la tattica lascia il posto all'intuizione e all'istinto.

La risposta istintiva è in assoluto la più veloce, immediata, ma non sempre la reazione del nostro corpo è adeguata allo stimolo ricevuto, per questo una buona preparazione precedentemente acquisita con il ragionamento e l'allenamento sono complementari.
Ai "Unione"
 

Per creare il vuoto bisogna ricercare l'unione
Se la mente è piena di ragionamenti e pregiudizi non sentirà il corpo.
Se il corpo è rigido non trasmetterà informazioni alla mente.

Per sentire il corpo dell'avversario bisogna unirsi con il suo e non cercare la separazione. Ed è questa la grande prerogativa dell'Aikido.
 

 

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