Miyamoto Musashi
La straordinaria vita di
Miyamoto Musashi
Il suo vero nome era Shinmen Musashi no Kami Fujiwara no Genshi: Il più famoso samurai della storia del Giappone. La sua vita ha dell'incredibile e lo pone come uno dei personaggi più interessanti, non solo del Giappone, ma di tutta la Storia dell'umanità . Non solo fu un leggendario spadaccino che affrontò, senza perdere mai, decine di duelli, la maggior parte dei quali all'ultimo sangue, ma fu anche un valente artista; eccelleva anche nell'arte della pittura, nella calligrafia, nella scultura e come poeta: le sue opere, di grandissimo valore, sono oggi conservate in vari musei. Scrisse uno dei più famosi trattati di strategia e di filosofia applicata al combattimento: Il Libro dei Cinque Anelli. In questo trattato, scritto nel 1645, Musashi riassunse tutta la sua esperienza di maestro dell'arte della spada. Fondò anche una scuola di arti marziali, la Niten Ichi Ryu che insegna il combattimento a due spade: una lunga (Katana) e una corta (Wakizashi ). Ma sono le sue gesta di schermidore quelle che gli hanno consentito di entrare nella leggenda; fino all'età di 29 anni, cioè fino allo scontro con Kojirō Sasaki, partecipò a sessanta duelli. Partecipò anche a varie battaglie tra cui quella di Sekigahara in cui militò tra le file, perdenti, dei seguaci della famiglia Toyotomi. Sul personaggio di Miyamoto Musashi esiste una vasta letteratura; sono stati compiuti numerosi studi e i giudizi sul personaggio sono estremamente variegati. Sui momenti topici della vita di Musashi esistono molteplici versioni e, molto spesso, risulta difficile, se non impossibile, stabilire la verità dei fatti. A prescindere delle versioni, è innegabile che Musashi sia da considerare uno dei più grandi samurai della storia giapponese.
Nacque nel 1584 a Miyamoto-Sanoma nella provincia di Mimasaka che oggi fa parte della prefettura di Okayama. Già in tenera età mostrò una non invidiabile capacità di procurarsi guai; crebbe guardando il padre samurai insegnare l'arte ai numerosi guerrieri che venivano a richiedere i suoi servizi come maestro. Nel 1596 un samurai di nome Arima Kihei, arrivò in città e mise un annuncio in cui cercava coraggiosi disposti a combattere contro di lui; Musashi, che aveva dodici anni, si fece avanti: fu il suo primo duello. Nonostante fosse armato solo di una spada di legno, e l'avversario con la classica spada affilata come un rasoio, il giovane Musashi vinse ed uccise l'esperto samurai.
All'età di quindici anni lasciò il villaggio.Musashi aveva già sedici anni, ma aveva già combattuto in tre guerre. Negli anni successivi percorse il Paese passando da un duello all'altro e, naturalmente, ne uscì sempre vincitore.
All'età di venti anni è a Kyoto, l'allora capitale del Giappone. Qui sfidò il miglior spadaccino dell'epoca,Yoshioka Seijuro, il quale raccolse la sfida.
Miyamoto Musashi non vinceva i suoi duelli solo grazie alla sua grande forza e sulle sue grandi doti tecniche, ma era un maestro nell'uso di diversivi che operavano sulla psicologia dell'avversario in modo da minare la sua forza. Un tipico esempio fu il duello con Yoshioka che, oltretutto, era a capo di una famosissima scuola di arti marziali. Musashi arrivò tardi al duello facendo così infuriare l'avversario che non si attendeva una mancanza di rispetto, soprattutto da chi aveva gettato il guanto della sfida. Il duello iniziò, ma la mente di Yoshioka, essendo ancora turbata dall'affronto subito, non aveva la lucidità che la situazione richiedeva. Venne deciso che lo scontro non fosse all'ultimo sangue e che fosse combattuto con spade di legno. Il duello si concluse nel giro di pochi minuti con un grande colpo che Musashi assestò alla spalla sinistra di Yoshioka; il colpo fu così violento che Yoshioka dovette essere rianimato e portato via a braccia. All'età di appena vent'anni, Miyamoto Musashi era diventato lo spadaccino più famoso del Giappone. L'affronto subito da Seijuro recò vergogna sull'intera famiglia e il fratello minore, Denshichiro, sfidò immediatamente Miyamoto cercando così di risollevare le fortune della famiglia. Anche in questo duello Miyamoto ripetè lo scherzetto fatto a Yoshioka: arrivò in ritardo innervosendo così l'avversario. Lo scontro fu senza storia e Denshichiro, che era un samurai piuttosto dotato, vi trovò la morte.
Per la famiglia Yoshioka l'affronto subito era intollerabile: doveva essere vendicato a tutti i costi. Solo la morte di Miyamoto Musashi avrebbe potuto rendere ai Yoshioka l'onore perduto. Centinaia di guerrieri vennero radunati, armati con spade, archi e fucili, per organizzare un'imboscata. Miyamoto venne informato in anticipo del pericolo e questa volta cambiò strategia: arrivò all'appuntamento in anticipo e, nascosto nel fogliame, aspettò i suoi nemici. Vide arrivare i nemici e poi, all'improvviso, sbucò prendendo alla sprovvista un folto gruppo di samurai avversari; individuò, raggiunse ed uccise Matashichiro, il dodicenne nuovo capo del clan; infine, in tutto questo caos, si aprì un varco, attraverso i nemici, e riuscì a fuggire.
Negli anni successivi Miyamoto Musashi continuò a duellare per tutto il Paese; attraverso questi duelli all'ultimo sangue, cercava di raggiungere l'Illuminazione, lo stadio finale, il perfezionamento dell'arte del combattimento
A ventotto anni Miyamoto incrociò la lama con Sasaki Kojiro, uno dei più famosi samurai dell'epoca: ne venne fuori uno dei più famosi duelli della storia giapponese. Lo scontro si svolse su un'isola. Anche questa volta Musashi arrivò in ritardo facendo così innervosire l'avversario. Prima di sbarcare sull'isola , Musashi si costruì una spada di legno ricavandola da un remo della barca. Una volta di fronte, i due campioni, si buttarono subito all'attacco. Miyamoto sferrò subito un terribile colpo sulla testa di Sasaki che crollò a terra, ma senza prima aver risposto con un fendente che sfiorò di pochi millimetri la testa di Miyamoto. Anche da terra Sasaki mostrò la sua abilità con un colpo che, però, non andò a segno: bucò solo il kimono di Musashi. Il colpo di grazia avvenne con grosso colpo al torace di Sasaki Kojiro ancora a terra per il colpo subito precedentemente. Le versioni riguardanti questo episodio sono diverse; un altro racconto dice che le due famiglie, di cui Musashi e Kojiro erano i rispettivi campioni, fossero in lotta per il possesso dell' isola e che Kojiro, appena ripresosi dal colpo alla testa, venne giustiziato, mentre era ancora a terra, dai membri della famiglia vincente.
Miyamoto combatteva spesso con un Bokken, una spada di legno usata in allenamento. Si diceva, inoltre, che fosse di carattere difficile, scortese e poco amante dell'igiene personale. Non si sposò mai, ma ebbe tre figli adottivi.
Nel 1614-1615 partecipò all'episodio finale della guerra tra i clan Tokugawa, che governava il Paese, e Toyotomi. Musashi era ancora al servizio di Toyotomi Hideyori quando il suo quartier generale, il castello di Osaka, venne circondato dalle truppe dello Shogun Tokugawa. Dopo lo scontro con Kojiro, Musashi diradò i duelli a favore di altre attività. Certamente non si sottrasse ai duelli, quando sfidato, ma non li cercò di proposito, come prima. Si dedicò, invece, alla sua scuola e ai suoi discepoli che affluirono sempre più numerosi. Partecipò alla costruzione del castello di Akashi e alla riorganizzazione della città di Himeji dove si stabilì nel 1621. L'anno successivo era di nuovo in viaggio e raggiunse Edo dove cercò, invano, di diventare Maestro di Spada dello Shogun Tokugawa. Insieme al figlio adottivo Miyamoto Iori, continuò il suo pellegrinare per il Paese per arrivare infine ad Osaka. Nel 1934 si spostarono nella città di Kokura ed entrarono al servizio del daimyo Ogasawara Tadazane. Padre e figlio parteciparono alla rivolta di Shimabara dove militarono tra le file delle forze shogunali impegnate a schiacciare la rivolta. Iori, durante questo conflitto, si distinse ottenendo il grado di Karō, il grado più elevato tra i samurai. Musashi, invece, venne ferito da pietre lanciate dagli assediati. Successivamente, dopo essersi legato al daimyo Hosokawa Tadatoshi, si trasferì a Kunamoto, nel Kyushu, dove si dedicò, principalmente, alla scrittura e all'insegnamento della sua materia preferita: la strategia del combattimento. Dal 1642 cominciò a soffrire di attacchi di nevralgia e l'anno successivo si ritirò in una caverna dove cominciò a scrivere il suo Libro dei Cinque Anelli. Poco dopo aver terminato il libro, morì: era il 13 giugno del 1645. Si pensa che sia stato stroncato da un cancro ai polmoni. L'ultima opera letteraria fu il Dokkodo, composto una settimana prima di morire; una raccolta di ventuno precetti, un testamento spirituale per i suoi allievi. Il suo corpo è sepolto nel villaggio di Yuge.
La figura di Miyamoto Musashi è leggendaria e si è stabilita con grande autorità nell'immaginario popolare; ha ispirato decine fra film e prodotti per la televisioni, videogame, libri, anime e manga, libri.
Non è possibile sopravvivere a sessanta duelli senza avere delle qualità e senza poi entrare nella Storia. Musashi combatteva spesso con una spada di legno contro nemici armati di spade d'affilato acciaio, a volte affrontava anche più avversari contemporaneamente, ma uscì sempre vittorioso. La sua grande forza fisica e la maestria nel saper padroneggiare la tecnica, da sole, non bastano a spiegare il suo successo; era anche un profondo conoscitore della strategia militare e della psiche umana che spesso gli permise di ottenere quel vantaggio necessario a vincere i duelli.
Fondò una scuola di scherma, la Niten Ichi-ryū, attiva ancora oggi, in cui veniva insegnato il combattimento con due spade, una lunga e una corta. Ai suoi numerosi discepoli, insegnò il coraggio, il disprezzo per il pericolo e per la morte; volle che, come lui, vivessero una vita austera e piena di sacrifici nella ricerca dell'Illuminazione, meta finale di ogni guerriero.
siamo quasi alla frutta…
ci siamo amici Aikidoki
siamo quasi alla frutta, tra poche lezioni questo anno di pratica giungerà alla fine, poi il meritato riposo.
sono accadute molte cose in questo anno, molti passaggi di cintura, molti volti nuovi , che hanno portato vitalità
al Nostro Dojo, molti Stage si è studiato molto.
un anno profiquo, grazie al Nostro Sensei Ezio che ci ha insegnato molte cose e ha tenuto sempre alto il Nostro livello tecnico, abbiamo condiviso molte ore di Sudo ( antica arte della fatica) ma aci siamo anche divertiti molto, ma
sopratutto .." quanto bevete? " e quanto mangiate, vorrei ringraziare i nuovi arrivati per l' entusiasmo che hanno portato
le sorelle Karamazov, i piccolo Gaetanone, padre e figlio, ma anche la vecchia guardia ( Pat, cris alex fabius e canetti san) che si sono sempre resi disponibili con tutti, il griatrico Domenico detto SETT DULUR E NA' SPINA, me medesimo per aver raggiunto un grande obiettivo e i ragazzi della terra di mezzo ( Enri, jo, silvius, giussè, frodo, salva) insomma tutti.
un grazie a questo bel sito che è nostro, e che dovreste fraquentare di più e scrivere qualcosa ogni tanto, a cominciare da ora.
il Vostro Ovo-san samurai piemunteis
L’ultimo Samurai Saigo Takemori
Saigo Takamori: l’ultimo Samurai
Questa statua, posta nel parco di Ueno, è dedicata a Saigo Takamori, l’ultimo samurai.
Ebbene sì, è proprio la sua storia che ispirò il film con Tom Cruise di qualche anno fa, ma dimenticate le fattezze del bel Ken Watanabe, che ne impersonava il ruolo col nome di Katsumoto: Saigo Takamori era un samurai cicciotto e dall’apparenza bonaria, un omone di 180 cm di statura ed una corporatura opulenta, piuttosto impressionante per i suoi tempi. Egli si battè affinché i samurai potessero conservare i propri privilegi nella moderna società giapponese e tutt’oggi viene ricordato come un eroe!
Ecco la sua storia:
Nel gennaio del 1868, Saigo Takamori ebbe l’onore di guidare una delle armate che parteciparono alla cosiddetta “marcia su Kyoto”.
Le truppe occuparono il castello e proclamarono la restaurazione del potere imperiale.
Fautori di questa operazione, furono alcune famiglie del sud, che, con questo gesto, volevano opporsi alla supremazia della famiglia Tokugawa, che per anni avevano detenuto il potere, avvalendosi della figura di un imperatore-fantoccio, che era praticamente un burattino nelle loro mani.
Nel 1868 il giovane imperatore Mutsuhito, di soli 15 anni, venne fatto spostare da Kyoto a Tokyo, vero centro nevralgico del potere. Ciò segnerà la fine della supremazia dei Tokugawa e l’inizio dell’era Meiji, dal nome imposto al nuovo imperatore.
Il 15 maggio 1868, l’ultimo rigurgito di una ribellione delle famiglie fedeli al vecchio shogunato, fu repressa nel sangue: la battaglia fu combattuta a Ueno, ed è proprio in ricordo di questo combattimento, che oggi, all’ingresso del parco, si erige la statua di Saigo Takamori, comandante in capo delle truppe fedeli all’Imperatore.
In realtà, però, l’Imperatore era nuovamente un fantoccio nelle mani di nuovi burattinai: i samurai che avevano organizzato la marcia su Kyoto. Essi però, capirono che la struttura feudale del Giappone era ormai obsoleta, e che serviva un’autentica svolta, se si voleva portare il Paese ad un riconoscimento internazionale.
Il periodo Meiji, infatti, sarà ricordato come un periodo di grandi riforme, che catapulterà il Giappone dal feudalesimo all’era moderna, in cui il Giappone diverrà un potente stato asiatico, seguendo il modello occidentale.
Tali riforme portarono, nel 1871, all’abolizione della classe dei samurai ed all’espropriazione di tutti i possedimenti dei daimyo, i signori locali.
Uno dei principali fautori di questi cambiamenti sarà Okubo Toshimichi (l’Omura de “L’ultimo samurai”).
Nel gennaio del 1872 il governo giapponese annunciò l’intenzione di creare una forza armata nazionale, sulla base di quelle esistenti nei Paesi occidentali.
A questo punto i samurai, spogliati dei propri privilegi e dei propri redditi, si videro costretti ad integrarsi nelle maglie del nuovo governo, ma non tutti vollero accettare il cambiamento, così, nel 1874 scoppiarono alcune ribellioni.
Il governo non volle tollerare questi attacchi al nuovo potere, e inviò le nuove armate a sedare le rivolte.
Nel 1876 fu proibito girare armati, se non durante eventi speciali e cerimonie. I samurai, che consideravano le loro spade un simbolo del loro status si risentirono molto della cosa. Fu inoltre proibito di acconciare i capelli con la tipica pettinatura da samurai: il mage.
Nello stesso anno Saigo Takamori, ormai in aperto conflitto con le decisioni prese dal nuovo governo, si demise dal suo incarico, e tornò a Kagoshima, dove fondò una scuola militare in cui affluirono tutti i samurai scontenti della situazione che si era venuta a creare.
Ben presto la situazione divenne insostenibile e il gruppo di Takamori proclamò guerra al governo centrale.
La storia vuole che Takamori fu coinvolto suo malgrado, e proclamato capo delle truppe di ribelli senza essere propriamente convinto di ciò che si stava facendo e preso di sorpresa dalla rapida escalation degli avvenimenti.
Ad ogni modo Saigo organizzò la ribellione militare e mise insieme un’armata di circa 25.000 uomini, cui si aggiunsero strada facendo altri volontari da tutto il paese.
Saigo aveva intenzione di marciare su Tokyo con la sua armata, ma si attardò nel castello di Kumamoto, e le truppe imperiali ebbero il tempo di organizzarsi e sferrare un contrattacco, prendendo d’assalto il castello stesso.
L’assedio finì dopo 54 giorni e le truppe di Saigo furono sconfitte e costrette ad arretrare verso Kagoshima.
Dopo numerose battaglie, Saigo Takamori raccolse un numero ridotto di samurai (circa 300) per l’ultimo confronto sulla collina di Shiroyama, non lontana dal Castello di Kagoshima.
I ribelli erano ormai pochi, esausti ed a corto di cibo e munizioni. Inoltre pioveva da giorni ed i loro vecchi cannoni erano ormai inutilizzabili.
Saigo e i suoi uomini sapevano che non avevano alcuna possibilità e che la loro causa era ormai persa, ma desideravano morire con onore (“Una morte onorabile è preferibile ad una vita di vergogna”).
Si dice che il comandante delle forze imperiali inviò a Saigo una lettera, pregandolo di arrendersi e scongiurare una battaglia che non avevano nessuna speranza di vincere.
La mattina del 24 settembre del 1877, ebbe inizio il bombardamento e fu un massacro annunciato.
Il corpo di Saigo Takamori fu trovato senza vita e con la testa mozzata, segno che egli aveva commesso seppuku.
Il suo coraggio, comunque, lo portò a non essere dimenticato nei secoli, ed ancora oggi Saigo Takamori viene ricordato come un eroe, grazie anche alla riabilitazione postuma (1889) accordatagli dal governo Meiji, con una intelligente mossa strategica.
kisshomaru ueshiba
Kisshomaru Ueshiba nacque nella città di Ayabe, nella Prefettura di Kyoto, in Giappone; terzo figlio di Morihei Ueshiba (植芝 盛平 Ueshiba Morihei, 1883–1969) e di Hatsu Ueshiba (植芝 はつ Ueshiba Hatsu, 1881–1969).
Kisshomaru iniziò ad allenarsi con il paadre intorno al 1937. In seguito frequentò la Waseda University laureandosi in economia nel 1946. Prima della laurea, tuttavia, il padre lo nominò a capo dell'Kobukan Dojo a Shinjuku, Tokyo nel 1942. Kisshomaru andò più volte a salvare i dojo dal fuoco durante i bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale.
Dopo la guerra e agli inizi del 1948, Kisshomaru supervisionò lo sviluppo dell'organizzazione Aikikai Honbu, (and eventually the tearing down of the Kobukan Dojo in 1967 alla costruzione della sede dell'Aikikai).
Aikido perchè è difficile
“Aikido perchè è difficile” di William Terrell
Libera traduzione di Gianni Canetti dell’originale pubblicato su Aikido Journal
“Quello che facciamo sul tatami è sacro. E’ la vita scritta in corsivo. E’ tradizione vissuta nel presente. Aikido è il dono di O’Sensei per tutti noi…”
Non ho nozioni romantiche di cosa significhi essere un guerriero. Ho servito nel corpo dei Marines degli Stati Uniti d’America ed ho lavorato per dieci anni come sceriffo di contea.
Ho visto la morte ed I moribondi, la morte accidentale e quella deliberata. Ho visto persone uccise con armi da fuoco, tagliate, bruciate, picchiate, strangolate, schiacciate ed anche letteralmete uccise a martellate.
Io so con quanta velocità la violenza può irrompere nella nostra quotidianità e distruggere le nostre vite. Il mio obiettivo è semplicemente quello di qualunque guerriero/padre/marito: essere preparato a proteggere e difendere me stesso, la mia famiglia e la mia comunità.
Uno dei modi che ho scelto per farlo è attraverso l’Aikido. Mi piace l’Aikido perché è difficile, perché mi sforza a cambiare, perché mi sforza ad affrontare me stesso. Il mio primo maestro era irascibile ed ostico, ma lui mi ha dato una solida base in molti principi. La sua enfasi era nelle tecniche rivolte al mondo fuori dal tatami, specialmente nello spezzare o sfruttare l’equilibrio di Uke e nel portare colpi efficaci.
Lui credeva (giustamente) che l’Aikido non fosse un gioco e nemmeno uno sport. Aikido è una questione di vita e morte. Trattarlo come qualsiasi altra cosa è una perdita di tempo ed un insulto alla memoria di O’Sensei. Quel che facciamo sul tatami è sacro. E’ la vita scritta in corsivo. E’ tradizione vissuta nel presente.
L’aikido è il dono di O’Sensei e di tutti quelli che hanno insegnato a lui, per tutti noi. Il suo dono è passato da Yamada Sensei a Dee Sensei a me. Sono stato forgiato come il successivo anello nella catena.
Molti criticano e definiscono l’Aikido come, nella migliore delle ipotesi anacronistico e nella peggiore come una perdita di tempo che instilla un falso senso di sicurezza nei suoi praticanti. O’Sensei avrebbe potuto sviluppare e diffondere l’Aikido se lui non avesse creduto nella sua efficacia? Certamente no. La mia risposta a chi critica è di salire sul tatami e rimanerci quel tanto che basta per capire cosa succede. Provare il bruciore del Nikyo, la confusione vertiginose e la brusca inversione dell’Irimi nage, il panico del Koshi nage eseguito in piena velocità. Mettere alla prove se stessi nel randori. Capire come reagire quando affronti diversi avversari simultaneamente. Imparare che un labbro spaccato o essere proiettato con forza non ti ucciderà. Comprendere la forza dell’Aikido prima di esprimere un giudizio.
Accettare l’Aikido come principio di vita deve essere una scelta. Una scelta ripetuta settimana dopo settimana, giorno dopo giorno. Il tatami è il campo di battaglia sul quale sconfiggiamo noi stessi, è la perseveranza , rifiutando di soccombere all’inerzia, che ci rende forti.
Settimana dopo settimana salgo sul tatami perché devo, perché questo soddisfa un bisogno primario di base ed è un modo per incanalare gli istinti guerrieri.
Non è solo il tatami, l’Aikido permea la mia vita. Anche guidare per 100 miglia è in se un atto di entrata, di essere Uke. Cercare di perfezionare il processo di risoluzione di un conflitto mentre cerchiamo/ci prepariamo per il successivo. E’ nel sapere quando spingere e quando tirare, quando entrare e quando ruotare.
Sono assolutamente preparato per qualunque cosa la vita mi scaglierà contro? Certamente no. Sono molto meglio preparato? Sicuramente lo sono.
La casa giapponese
a casa giapponese tradizionale è concepita per adattarsi a climi decisamente caldi e sempre, da regione a regione mostra caratteristiche diverse in stretto rapporto con le condizioni climatiche locali. La casa tradizionale giapponese è costruita su un'intelaiatura di pali e travi di legno su cui si inseriscono le pareti esterne, costituite da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso che permettono di areare e ventilare i locali. Lo spazio interno è organizzato in modo semplice e con ampia flessibilità grazie all'utilizzo di pannelli e pareti scorrevoli che permettono di trasformarlo in base alle esigenze e alle ore del giorno. Alla sera i materassi futon e le trapunte vengono srotolati per prepare il letto e al mattino vengono riposti in appositi armadi, per preparare lo spazio alla vita del giorno, ai pasti, al lavoro, al gioco, al ricevimento ed intrattenimento.
L'utilizzo di materiali leggeri era in parte la risposta alla frequenza dei terremoti in parte la traduzione dell'insegnamento Buddhista secondo cui ogni cosa ha una natura effimera, transitoria, caduca (questa filosofia tuttavia non si concretizza nell'architettura di paesi come India, Cina e Corea, i tre paesi da cui il Buddhismo è arrivato in Giappone, fatto questo che dimostra che i giapponesi sono sempre stati di arricchire le varie influenze con elementi distintivi propri).
Il legno è il materiale da costruzione preferito. La radice schintoista ha inculcato un rispetto profondo per la natura. I materiali più pesanti come pietra e mattoni vengono tradizionalmente utilizzati per le fondamenta dei pilastri verticali in legno oppure per edifici a destinazione diversa dall'abitazione come castelli, templi o magazzini. La casa giapponese è quindi interamente riciclabile: legno e paglia sono materiali riutilizzabili ed ecologici pienamente rispettosi dall'ambiente.
La casa tradizionale giapponese è disegnata dall'interno verso l'esterno: l'esterno della casa si evolve dal disegno della distribuzione interna piuttosto che essere concepito per adattarsi a un rigido schema o a forme geometriche prestabilite. Bruno Taut, esponente del Bauhaus, visitando il Giappone nel 1933 ha rivendicato la modernità dell'architettura giapponese tradizionale.
Pressappoco nello stesso periodo in cui Leonardo da Vinci sviluppò il sistema di dimensioni basato sulle proporzioni del corpo umano da utilizzare in architettura, gli artigiani e i costruttori giapponesi standardizzavano le dimensioni dei tatami (le stuoie di dimensioni normalizzate che coprono il pavimento), in 90*180 cm, dimensioni che venivano considerate adeguate al riposo di una persona giapponese. Così, nelle case giapponesi ogni dimensione è in relazione al modulo del tatami; ad esempio l'altezza di una fusuma (porta scorrevole in carta) è di 180 cm, mentre la larghezza di un pilastro strutturale è generalmente un decimo o un quinto di 90 centimetri. Al pari quindi del modello umanistico di Leonardo da Vinci, anche la proporzione della casa giapponese può essere considerata di diretta derivazione dalle dimensioni del corpo umano.
Le case tradizionali giapponesi hanno un rapporto speciale con la natura. In certi casi la parte migliore della casa è oltre il giardino. I pannelli shoji possono essere spinti interamente da parte, per realizzare un'intima unità con il giardino, mentre l'engawa, una sorta di veranda coperta da un tetto spiovente, modula la relazione tra lo spazio interno ed esterno. L'engawa filtra la luce naturale all'interno dell'abitazione proteggendola contemporaneamente dalla pioggia: in estate diventa una parte del giardino, in inverno può essere chiuso fino a costituire un'estensione dello spazio interno.
Un'altro aspetto della casa giapponese, indice dello stile di vita giapponese, è la dicotomia tra pubblico e privato. Nelle case di città (le machya ovvero le tradizionali case di mercanti costruite appunto nei centri urbani), il commercio pubblico avviene sul lato della via cittadina, mentre le stanze sul retro sono riservate alla vita domestica: quanto gli ospiti possono penetrare dipende dalla relazione con la famiglia.
Nella casa giapponese è evidente lo sforzo intellettuale e spirituale volto al processo di semplificazione, al fine di eliminare tutto ciò che non è essenziale in omaggio alla bellezza delle cose umili, poco appariscenti e modeste. E' altresì evidente la ricerca di ampiezza e spaziosità in spazi volutamente piccoli, mentre l'uso di materiali leggeri, fragili, temporanei rimanda a valori eterni.
L'interno dell'abitazione non è concepito per proteggersi dalla natura ma per integrarsi con essa in piena armonia ed equilibrio. I monaci del Buddhismo zen nei periodi Muromachi e Momoyama hanno così ben espresso e formulato questo ideale che l'intera società giapponese aspira a seguirlo. Il risultato sono ambienti che sembrano parlare allo spirito e infondere calma ed equilibrio.
Minimalismo e semplicità sono le caratteristiche che la filosofia zen ha trasmesso ai tradizionali interni giapponesi. Questo effetto si raggiunge attraverso il ritmo delle superfici verticali e orizzontali accostati a materiali e colori naturali.
Gli shoji, i pannelli mobili che formano le pareti interne ed esterne, vengono rimossi in estate per far entrare la brezza e godere della vista del giardino, facendo della casa una sorta di tenda, un padiglione in stretto rapporto con la natura e le stagioni.
Molte case giapponesi hanno un'area riservata alla cerimonia del tè, solitamente nei giardini, in una zona in cui viene ricercata un'atmosfera armoniosa ottenuta tramite l'uso di materiali naturali e un'accurata scelta di mobili ed utensili. L'ideale della modesta e semplice cerimonia ha notevolmente influenzato il design degli edifici nipponici. Mentre tutto il mondo ricerca la durabilità degli edifici e la profusione degli ornamenti, i designers e i costruttori giapponesi esplorano i loro boschi alla ricerca di legni che possano sottolineare l'imperfezione delle cose. L'ideale del wabi-sabi, termine che non ha un vero e proprio equivalente nelle lingue occidentali, può quindi tradursi nell'aspirazione a una ruvida semplicità e a una bellezza che traspare dalle cose semplici e modeste e che riesce a conquistare un equilibrio tra quiete, misura e raffinatezza. Contrariamente alla massima di Le Corbusier secondo cui la casa è "una macchina per abitare", per i designer giapponese la casa è una casa per l'anima.
ELEMENTI DELLA CASA TRADIZIONALE GIAPPONESE
- Irori è il cuore della casa, spesso la principale fonte di riscaldamento, usato anche per cucinare. Nei minka (le abitazioni tradizionali e le fattorie) viene incassato nel pavimento in legno ricoperto di tatami.
- Doma, l'ingresso con pavimento di terra, dove si lasciano le scarpe prima di raggiungere il pavimento in legno; l'ingresso è costituito da porte scorrevoli in legno.
- Engawa, corridoio esterno coperto da tetto spiovente, una sorta di veranda che modula la relazione tra lo spazio interno ed esterno: in estate diventa una parte del giardino, in inverno può essere chiuso fino a costituire un'estensione dello spazio interno. I visitatori devono togliersi le scarpe sul gradino in pietra.
- Tokonoma, un'alcova posta in una stanza cerimoniale con pavimento in legno leggermente rialzato, utilizzata per esporre un rotolo dipinto, fiori o ceramiche.
- L'altare buddhista domestico, presente in molte case spesso insieme a un'altare scintoista.
- Tatami, le stuoie di dimensioni normalizzate che coprono i pavimenti di una casa.
- Shoji, le porte scorrevoli in legno e carta che portano all'engawa e che permettono alla luce di filtrare.
SALA DA TE'
La sala da tè è piccola, simile a una capanna all'interno del giardino. Qui si svolge la cerimonia del tè, che consiste in una successione di eventi prestabiliti: si incontrano gli invitati, si cammina nel giardino della sala da tè, si eseguono abluzioni, si entra in una stanza simile a una cella, si incontra l'ospite, si ammirano la stanza e gli utensili da tè, si assiste alla preparazione del tè, si fà l'inchino e infine si gustano tè e cibo. Ciascuna parte del rituale va gustata e goduta.
I 47 ronin
tratto da www.liceoberchet.it
Ronin, letteralmente "Uomini Onda", coloro che non avevano più padrone, sede e legami fissi. Questo tipo di samurai aveva una doppia natura, da una parte era un guerriero errante disposto a lavorare per chiunque lo pagasse, dall'altra poteva arrivare ad unirsi ad altri come lui e creare scompiglio nei villaggi saccheggiandoli e creando confusione. Pur continuando a fare parte dell'elevata casta dei samurai i ronin potevano mettersi al servizio del popolo, insegnando arti marziali e di guerra, facendosi assumere come guardie del corpo (yojimbo), oppure difendendo il villaggio da aggressioni esterne.
Se un samurai uccideva un ronin non doveva temere nessuna vendetta e questo rese i ronin una facile preda dei samurai più potenti, i quali nutrivano anche un certo disprezzo per questi guerrieri erranti.
Durante il periodo Tokugawa i ronin aumentarono considerevolmente, conseguenza della soppressione di molti feudi; per il loro spirito autonomo e bellicoso contribuirono alla disfatta del governo Tokugawa, confermandosi guerrieri abili e temibili persino dal più valoroso e potente samurai.
Nel X secolo il termine ronin andava a indicare i contadini che per evitare tasse troppo onerose abbandonavano le loro terre per trasferirsi in regioni non ancore sottomesse dall'autorità o dai monasteri buddisti.
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I 47 Ronin
Storia dei valorosi d' Ako.
Famosa storia di 47 samurai al servizio di Asano, Signore di Ako. Nel 1701 Asano, oltraggiato da Kira, un nobile della corte dello Shogun di Edo, in un impeto di collera lo ferì all'interno del palazzo shogunale. Per aver violato le regole di corte lo shogun Tokugawa Tsunayoshi costrinse Asano a fare seppuku. Dopo la morte del oro padrone i 47 guerrieri suoi fedelissimi, organizzarono una spedizione punitiva per vendicare il loro Signore, attesero per più di un anno, pianificando l'operazione. Il 14 dicembre 1702 attaccarono la residenza di Kira e lo uccisero senza lasciarsi catturare. Lo shogun però ordino loro di fare seppuku come da legge, il 4 febbraio 1703 i suoi fedeli samurai si riunirono al loro amato padrone.
Furono degli eroi per il popolo, simbolo di lealtà, coraggio e onore. Ogni anno sulla tomba dei "47 ronin", situata nel giardino del Tempio Sengaku-ji a Tokyo, i giapponesi arrivano da tutta la nazione per deporre dei fiori in ricordo del loro eroico sacrificio.
Grazie al cinema, teatro e letteratura questa vicenda è diventata popolare in tutto il mondo, caratterizzando in se stessa il vero spirito del bushido.