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Archivio mensile 28/02/2012

Nafuda Kake

Il termine Nafuda Kake è usato per descrivere il tabellone delle tavolette dei nomi che si trova nelle più tradizionali e classiche scuole Giapponesi di arti martiali. Da una analisi dettagliata del termine ricaviamo quanto segue:

  • Na o Mei: nome, titolo onorifico
  • Fuda o Satsu: etichetta, cartellino, piastrina
  • Kake o Kakai: appendere, sospeso, attaccato

 

Il Nafuda Kake è un tabellone o scaffale nel quale vengono appese le tavolette con i nomi dei membri attivi del Dojo, esposte in ordine di grado. Il Nafuda rappresenta l’unione tra il Dojo e lo studente, e testimonia che l’individuo non è un semplice affiliato al Dojo, ma un valido membro che fa parte dell’organizzazione.

I membri del Dojo che sono in buoni rapporti con la scuola, vedranno con orgoglio la loro tavoletta col nome occupare un posto nel tabellone. Finchè esiste una storia significativa di pratica individuale nel Dojo come membro che gode di buona reputazione che è stato formato da un allenamento comune, il Nafuda rimane esposto sul tabellone. Anche se qualcuno se ne va, il loro cuore occupa ancora un posto nel Dojo.

Si può avere la sensazione che quella persona vorrebbe essere ancora li e lo sarà di nuovo appena possibile. Possono passare anni ed il Nafuda rimane nel tabellone fintanto che quella sensazione di unione, di appartenenza, continua.

Il Nafuda Kake viene anche usato per indicare il grado e lo stato dello studente che si allena nel Dojo. Il tabellone sapara gli studenti di livello Kyu e Dan per evidenziare quelli che hanno raggiunto il grado più alto attraverso un onesto impegno. Questo metodo di monitoraggio dei membri serve come fonte di motivazione e crea un forte senso di legame tra i membri.

Il Nafuda kake è solitamente fatto con legno leggero come l’abete od il pino. Questi tipi di legno possono rimanere naturali senza nessuna colorazione o finitura. Per scrivere i nomi sul Nafuda viene usato uno speciale pennello che gli dona bellezza ed autenticità. In alcuni casi sul dorso della tavoletta vengono registrate informazioni riguardanti la pratica e le promozioni dei rispettivi membri. Questo consente di avere una breve storia della pratica del singolo studente. Quando uno studente si ritira la tavoletta può essere riutilizzata semplicemente levigando il nome via dalla superfice, comunque i possessori di gradi DAN dovrebbero essere generalmente mantenuti poiché il conseguimento della cintura nera è uno stato permanente.

In alcuni Dojo, gli studenti non possiedono il loro Nafuda fino al conseguimento del 3° Kyu (cintura verde). Fintanto che quel grado non viene raggiunto, l’individuo non è considerato membro del Dojo. Gli studenti che lasciano il Dojo per un periodo di tempo che va oltre un mese e non lo comunica al suo istruttore vedrà il suo Nafuda rimosso dal tabellone. Gli studenti che non pagano per tempo la retta mensile per l’allenamento qualche volta possono vedere rimosso temporaneamente il loro Nafuda come segnale di imbarazzo e disciplina, sarà poi riposizionato una volta che l’insegnante sarà soddisfatto dell’impegno dimostrato dallo studente. Quando uno studente supera l’esame per il passaggio di grado, viene autorizzato a spostare il proprio Nafuda al nuovo livello raggiunto. Degno di nota è che ogni tavoletta ha il nome dello studente scritto in giapponese  come anche il grado e la categoria. Dopo diverso tempo ci si aspetta che ogni studente sappia leggere il proprio nome in giapponese.

Mantenere aggiornato il Nafuda Kake richiede tempo ed attenzione e l’intera struttura del tabellone è fatta a mano e manutenuta dal Maestro (Sensei). Questo impegno è un investimento che serve a creare un atmosfera di tradizionale serietà ed impegno. Un Dojo non è niente di più che i suoi membri.

L’ordine con cui vengono esposti i nomi ed i gradi è semplice. I nuovi studenti prendono posto nel ripiano in basso a partire da sinistra, non ha importanza quanto grande sia il tabellone. Avanzando di grado la loro tavoletta verrà spostata a destra nel grado successivo. Una volta raggiunto il lato destro e non essendoci più spazio, il Nafuda verra posizionato sul ripiano superiore partendo sempre da sinistra. Questo rappresenta la crescita nel grado e l’esperienza che lo studente acquisisce attraverso il duro allenamento.

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addio sensei Fujimoto

 

Sincero cordoglio per la morte del M° Yoji Fujimoto

Il 20 febbraio 2012 il M° Yoji Fujimoto è venuto a mancare. La cerimonia funebre si terrà
venerdì 24 febbraio, ore 14:30 presso il cimitero di Lambrate. La redazione esprime le più vive condoglianze alla famiglia. Il M° Fujimoto ha rappresentato un riferimento ed un modello come insegnante e soprattutto come uomo per la dignità e la forza con la quale ho condotto la sua battaglia nei confronti della malattia che lo ha colpito. La sua morte significa, dunque, una gravissima perdita per il mondo dell’Aikido e per quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo.

Il M° Yoji  Fuji nasce a  a Yamaguchi nel sud del Giappone nel 1948, il giovane Fujimoto  e sembra destinato a seguire l’arte di famiglia, il kendo, sottoponendosi, sin da bambino, a brusche levatacce per impugnare lo shinai nella quotidiana lezione antelucana sotto la guida del padre, maestro di quest’arte, prima di recarsi a scuola, o sotto il vigile controllo della madre.

Ma verso i quattordici anni, assieme a degli amici, assiste ad una lezione di Aikido, rimanendo avvinto all’istante dalla personalità del fondatore e dei tanti grandi maestri che all’epoca dispensano il loro sapere in quella leggendaria scuola.

Inizia il suo cammino nell’Aikido e quando si trasferisce a Tokyo per frequentare l’università viene ammesso a frequentare l’Hombu Dojo di Tokyo. Era già shodan nel 1962.

L’impegno nella pratica non gli impedisce di applicarsi con profitto agli studi presso l’Università Nitaidai dove fonda anche un gruppo di Aikido ancora oggi attivo e diretto all’inizio dal maestro Tohei e poi dal maestro Masuda.

Ha già il desiderio di conoscere il mondo, sa che deve attendere il conseguimento della laurea in Scienze Motorie, ma non sa ancora che di lì a poco sarà chiamato a diffondere l’arte dell’aikido in Italia.

Il suo arrivo in Italia, benché non coincida esattamente con il ritorno in Giappone del Maestro Tada, è provvidenziale e riesce in qualche modo a colmare l’irrimediabile vuoto lasciato da questi.

Per anni si moltiplica, tenendo raduni, manifestazioni e lezioni in tutti i Dojo d’Italia, avendo come base Milano, dove fonda l’Aikikai Milano.

(Le note sulla vita del M° Fujimoto sono tratte dalla Home page dell’Aikikai Milano)

 

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KODO – L’arte dei tamburi Giapponesi

 

Grande opportunità per assistere ad un emozione veramente unica e profonda nel suo genere.

Io li ho visti due volte e posso garantirvi che è uno spettacolo da non perdere.

Il 6 e 7 marzo alle ore 21, uniche date italiane del tour 2012 30th Anniversary One Earth Tour.
Kodò il battito del cuore i tamburi giapponesi dell’isola di Sado 30th Anniversary One World Tour 2012.
L’ensemble percussionistico giapponese Kodò torna in Italia per due uniche date al Teatro Dal Verme (Milano) nel tour europeo che festeggia i trent’anni di attività di questo straordinario gruppo musicale. Partendo dalla tradizione delle percussioni giapponesi Kodò ha sviluppato una propria e forte identità che nonostante i molti tentativi d’imitazione resta impareggiabile e inconfondibile. Ambasciatore della cultura del taiko (il tamburo giapponese) in tutto il mondo, in questo tour Kodò si fa anche portatore di un messaggio di ottimismo e speranza dopo i tragici avvenimenti che hanno colpito il Giappone lo scorso anno.
Kodò in questi trent’anni ha portato il suono potente e rasserenante del taiko in 46 nazioni in tutto il mondo con un messaggio di unità tra i popoli. Noto a livello globale per l’intreccio unico tra un rigoroso stile di vita, virtuosismo musicale e la capacità di ravvivare la tradizione, l’ensemble ritorna in Europa da gennaio a marzo 2012, con un programma che unisce pezzi di recente creazione ai classici immancabili nei loro concerti. Kodò unisce alla vibrante energia delle percussioni l’eleganza della musica e dei movimenti in una performance che è davvero indescrivibile a parole. Insieme a brani nuovi mai eseguiti in Europa, Kodò introduce anche un nuovo solista Kenta Nakagome che farà il suo debutto europeo, confrontandosi con il gigantesco tamburo, che è diventato segno distintivo del gruppo, o-daiko, dal peso di 900 chili, per suonare il quale alla finezza si deve aggiungere grande forza fisica.

Per la prima volta nel programma di quest’anno compaiono brani inediti come l’originale Sakaki, che unisce percussioni e danza, ad apertura del concerto. Composto da Masaru Tsuji, uno dei Kodò, prende il titolo dal nome di un albero sempreverde sacro per la religione shintoista e usato nei rituali di purificazione. Per preparare le loro performance i Kodò studiano le forme tradizionali delle varie regioni del Giappone, in cui danza e percussioni si fondono in una forma d’arte integrata. Durante la creazione di Sakaki, per gli elementi di danza il coreografo Kenzo Abe si è ispirato alla giapponese kagura (musica sacra e danze eseguite nei santuari). I movimenti a spirale e ondulatori della ballerina rispondono ai ritmi crescenti del taiko, invadendo la sala con un vortice di immagini e suoni e riempiendola di intensa energia.

L’ensemble ha sviluppato un nuovo approccio alla messa in scena e alla scenografia, che ricrea sui diversi palcoscenici lo spirito della sala prove in legno di Kodò. Invece di nascondere i tamburi dietro le quinte, la maggior parte degli strumenti rimane a vista fino anche quando non vengono suonati, proprio come accade nella sala prove in cui il gruppo crea la sua musica. Questo dà nuovo vigore alla performance, enfatizzando le forme semplici ma belle dei tamburi, dei musicisti nella cornice dello spazio spoglio, e coinvolgendo il pubblico.

Kodò si è sempre caratterizzato per la sperimentazione, radicata nello studio delle arti tradizionali giapponesi a cui si unisce la capacità di utilizzare le influenze della musica di tutto il mondo per creare nuove forme musicali. Le composizioni più recenti contenute nell’ultimo album Akatsuki (pubblicato nel 2011) – tra cui Sorae Stride-show – dimostrano come il taiko possa trovare espressione in territori musicali inaspettati, attingendo alle sonorità irlandesi ascoltate durante il tour europeo o al samba reggae, che ha catturato la loro attenzione nel nord est del Brasile. Nel CD in alcuni brani si dà spazio alle voci delle interpreti femminili del complesso, dando possibilità a tutti e undici i componenti di arricchire la musica del gruppo con la loro individualità. La potenza delle percussioni è completata dagli strumenti a corda tradizionali giapponesi shamisen, koto e kokyu (strumenti tradizionali giapponesi a corda), che rivelano la versatilità della tradizione musicale giapponese. Le composizioni nel CD Akatsuki, e ancor più la performance sul palco, rappresentano la maturità di trenta anni di musica di Kodò e riflettono una continua evoluzione del repertorio basato sulle arti dello tradizionali di ogni parte del Giappone, così come la musica e le culture con cui Kodò viene in contatto durante le sue tournée. Questi stili ed esperienze diventano poi patrimonio per la generazione successiva di musicisti e performer, rendendo l’esperienza di Kodò unica nel suo genere.

Naturalmente i pezzi classici di Kodò restano una parte vitale e immancabile nelle esecuzioni del gruppo in armonia con la sua evoluzione. I brani distintivi del gruppo come O-Daiko, Yatai-bayashi, Miyake, rimangono capolavori, anch’essi però reinterpretati dai performer della nuova generazione. Variazioni sui brani possono riflettere la sala in cui vengono eseguiti o possono anche cambiare con le stagioni, ma maturano anche nel tempo e rivelano sfumature inaspettate e sempre nuova forza. I nuovi musicisti aggiungono una freschezza che è sostenuta dalla tradizione di Kodò che continua a evolversi come anche il gruppo, che si arricchisce di nuovi incontri e collaborazioni in tutto il suo tour. Assistere alle performance del gruppo è un modo unico di sperimentare la musica e la tradizione di Kodò. I performer che vediamo esibirsi sul palcoscenico sono stati sottoposti a una rigida selezione, basata sul talento e le qualità individuali, ma anche sull’adesione a uno stile di vita rigoroso che risulta propedeutico al virtuosismo anche atletico dei musicisti.

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AIKI NO JO

Propongo qui due clip dell'uso del Jo secondo la scuola di Iwama. Questo è il lineage seguente Ueshiba Morihei -> Saito Morihiro -> Saito Hitohiro. Il lineage confluise nella tradizione Dentoo Iwama Ryu. 
(Esistono anche altri lineage dopo Saito Morihiro Shihan come d'altronde esistono i lineage derivanti dal Fondatore Ueshiba).

""Il JO viene chiamato anche “AIKI NO JO”, il bastone dell’Aikido. Di solito ha una lunghezza standard di 130 centimetri (a seconda dell’altezza di chi lo usa può arrivare a 140 centimetri) e non può essere più lungo, a differenza di altre arti marziali, perché viene spesso adoperato come se fosse un ken, utilizzando le stesse posizioni e gli stessi colpi che usiamo nell’Aiki no ken. Per il percorso di studio del “JO” vale lo stesso discorso già fatto per il “Tai jutsu” ed il “Ken”.

a)       KAMAE
b)        JO SUBURI NIJUPPON
c)       ROKU NO JO
d)       TANREN UCHI (TSUKI)
e)       SANJUICHI NO JO KATA
f)       JUSAN NO JO KATA
g)       JO NO AWASE
h)       HAPPO TSUKI
i)       SANJUICHI NO KUMI JO
j)       JUSAN NO JO AWASE
k)       KUMI JO JUPPON
l)       HENKA NO JO
m)       KI MUSUBI NO JO

""
     
Fonte:   http://www.aiki-shuren-dojo-ancona.com/aikido/tecniche_jo.php

Per dare un'altra breve informazioni: il Jo (nella fatti specie quello di Iwama) viene adoperato anche come Ken (spada) sfruttando i medesimi principi del Ken stesso (mano destra sopra e la sinistra sotto sempre etc etc). 


Ecco i clip:

1)            http://www.youtube.com/watch?v=iUYVU33wVsU&mode=related&search=

In questo clip viene mostrato il Kata dei 31 (sanjuichi no Jo kata) il kumijo dei 31 (sanjuichi no kumi Jo) e i Kumijo 

[Kumi = come Kumi di Kumite del Karate]


2)  http://www.youtube.com/watch?v=9g8jOe9VyJw&mode=related&search=

In questo secondo clip viene proposto nuovamente il kata dei 31 (sanjuichi no jo kata) ma espresso dal figlio di Morihiro Saito Shihan e Kaicho dello Iwama Shin Shin Aiki Shurenkai,  Saito Hitohiro Shihan.
Notare la potenza, velocità di esecuzione.

Ovviamente altri allievi del Fondatore hanno espresso altri modi di gestire e adoperare il Jo. Ma da praticante e da dott.in Storia Moderna è mia opinione che la pratica del Jo di Iwama sia quella più vicina a quella concepita dal Fondatore.
Ultima nota aggiungibile è il fatto che nel primo clip si vede esplicitamente Saito Morihiro Shihan fare dei salti: questo per smorzare il discorso che sia stato il figlio Saito Hitohiro Shihan ad aggiungere i salti.

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Saito Morihiro

Morihiro Saito nacque nella Prefettura di Ibaraki, in Giappone. Crescendo in un villaggio di agricoltura povero negli anni trenta e inizi anni quaranta, avendo lo stesso interesse in eroi storici come Yagy. J.bei Mitsuyoshi e Goto Matabe, come la maggior parte di altri ragazzi giapponesi, intraprese lo studio delle arti marziali. Nelle scuole giapponesi a quella durata, le arti marziali di kendo e judo furono insegnate agli studenti, e Saito scelse di studiare kendo. Negli anni dopo la fine della II^ Guerra Mondiale fu proibito l'uso di qualsiasi arma e la pratica delle arti marziali dal Governo giapponese. Di conseguenza, Saito percepì l'esigenza di studiare qualche tecnica di autodifesa senza armi e cominciò ad apprendere il karate allo Shudokan in Meguro. Dopo un breve periodo, il suo lavoro con le Ferrovie Nazionali giapponesi lo trasferì ad Iwama, e lui fu costretto a cercare altre arti marziali. Nell'estate del 1946, comunque Saito sentì storie su un vecchio uomo " che fa tecniche strane su sulla montagna vicino Iwama " Sembrò che le persone fossero confuse su che arte marziale, precisamente che questo vecchio uomo stava praticando, ma un istruttore di judo disse che l'uomo stava insegnando "Ueshiba-ryu. il Judo."

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Kyudo (tiro con l’arco)

 

KYUDO

Il tiro con l’arco giapponese

Quella del Kiudo (anche noto come Shado) è considerata, tra le arti marziali giapponesi, la più vicina ed ispirata ai principi della filosofia orientale Zen e della religione Shintoista.

Infatti questa pratica, al contrario dello sport del tiro con l’arco, non attribuisce un’importanza fondamentale al risultato conseguito rispetto al bersaglio, bensì all’acquisizione e all’interiorizzazione da parte del soggetto di un insieme di regole di comportamento caratteristiche, orientate alla tolleranza, alla fermezza e all’eleganza teatrale del gesto, rilevabili quindi anche a priori dell’esito del lancio.

È quindi principalmente per questo che, indipendentemente dai fini pratici per cui si può centrare o meno l’obbiettivo, il Kiudo prevede un allenamento molto duro e lungo a livello sia fisico sia mentale.

Tale disciplina affonda del resto le sue radici nella notte dei tempi, prima per le suggestioni di ambito religioso secondo lo Shintoi giapponese, poi nel contesto in cui nasce la filosofia Zen (con Kamakura dal 1185), secondo la quale il dominio completo della propria concentrazione e della propria corporeità a livello di percezione e di equilibrio psicofisico rappresenta la caratteristica vincente del guerriero, che può dunque aspirare a raggiungere l’agognata "via della verità" (significato letterale del termine Shin- toi).

A livello storico sono considerati predecessori di questa attività utilizzata oggi a scopo non bellico, coloro (ad esempio i samurai) che nell’antico Giappone feudale praticavano il Kiu-jutsu (= tecnica dell’arco per la guerra), i quali riuscivano durante i combattimenti a prevenire le mosse degli avversari, grazie alla capacità di isolare in essi, istantaneamente e in maniera fredda, dei particolari rilevanti che permettessero loro il colpo vincente, specchio non solo della propria abilità tecnica ma principalmente della forza dello spirito.

Pertanto il Kiudo moderno, denominazione moderna dell’originario Kiu-jutsu (utilizzato principalmente ai fini del combattimento) rappresenta un metodo di sviluppo psicofisico, in cui le sfere motoria e spirituale sono perfettamente equilibrate anche nel contesto di tornei, giochi e cerimoniali di corte, ancora frequentemente organizzati da scuole di antichi natali denominate ryu.

Tra gli elementi di maggior fascino della pratica Kiudo figurano le tecniche e l’abbigliamento, rigidamente previsto secondo regole tradizionali: all’eleganza della postura si abbina infatti il vestiario essenziale e sobrio degli arcieri.

 

 

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I mesi dell’anno

Nel giapponese moderno i mesi non hanno un nome, ma vengono semplicemente numerati:

Ichi gatsu, ni gatsu, san gatsu e così via.

Testo riportato come esposto nel sito originale: http://www.musubi.it
 
Ichi gatsu

Ichi gatsu ((睦月) significa alla lettera prima luna, nel senso di primo mese.

Anticamente invece quello che era il nostro Ianuarius (il mese del dio Giano) era mutsuki ((睦月), il mese dei legami. Februarius (il mese delle febbri) era kisaragi (如月), il mese delle nuove vesti. Martius (il mese del dio Marte) era yayoi (弥生), il mese della nuova vita.

Come mai iniziamo l'anno ora e non in primavera, quando sboccia la nuova vita? Non ho una risposta da dare, ma solamente una ipotesi. Anche il calendario italico arcaico iniziava da marzo, mese in cui germogliano le messi e sotto gli auspici del dio Marte si dava inizio ai conflitti. Fu il secondo re di Roma, Numa Pompilio ad introdurre due mesi supplementari. Dedicò il primo al dio Giano che sovrintendeva al termine ed all'inizio di ogni cosa, fissando con esso l'inizio del nuovo anno.

Ancora conserviamo il ricordo del nostro calendario ancestrale nei nomi degli ultimi mesi dell'anno, a partire da settembre che è in realtà in nono mese e non il settimo per finire con dicembre che è il dodicesimo e non il decimo. Conosciamo dunque, anche se avvolta nella leggenda, la data di inizio di questa consuetudine; non ne conosciamo tuttavia le ragioni.

Io penso che gli antichi, nella loro grande saggezza, abbiano voluto considerare come momento iniziale della vita quello in cui il seme viene deposto, anche se rimane a riposo sotto una coltre di terra gelida ed apparentemente sterile. Non quello in cui germoglia e viene finalmente alla luce. Se questo loro credenza era giusta, e mi piace credere che lo sia, ne possiamo trarre un insegnamento: proprio il momento più buio e più freddo di un ciclo è quello in cui si deve deporre il seme per il ciclo futuro.

Ni gatsu

Ni gatsu, la "seconda luna" ossia il secondo mese dell'anno, per noi febbraio, era anticamente chiamato kisaragi (如月), il mese delle nuove vesti. I primi giorni del mese si celebrava il mame maki, una festa di origine shintoista che segnava la fine dell'inverno, che attualmente si colloca invece nel terzo mese a causa dell'adattamento del calendario giapponese a quelllo gregoriano. In occasione di questa celebrazione la famiglia in corteo spargeva dei grani di soia torrefatti nei vari ambienti della casa, ripetendo la formula propiziatoria Fuku wa uchi (la fortuna sia dentro) ed infine gettava un pugno di grani all'esterno gridando Oni wa soto (i demoni siano fuori). Ma c'è comunque un sospetto di primavera, come chiunque può avvertire sia nel proprio corpo che nella natura, anche nel secondo mese dell'anno. Il giorno 11 si celebra l'Anniversario della Fondazione della Nazione (建国記念の, kenkoku kinen-no-hi). In questo giorno la leggenda tramanda che nell'anno 660 a.C. – quindi circa 90 anni dopo la fondazione di Roma – il mitico imperatore Jimmu abbia dato inizio alla dinastia che ancora oggi regna sul Giappone, stabilendo la sua capitale nella città di Yamato. Fu tuttavia l'imperatore Meiji in epoca relativamente recente a fare di questo giorno una festa nazonale, il 29 gennaio 1872. Ma la coincidenza con lil capodanno del vecchio calendario tradizionale, che veniva sostituito proprio in quel periodo dal calendario occidentale, con comprensibile ulteriore confusione tra le varie date, consigliò in seguito di far slittare la celebrazione a febbraio. E' il mese mediamente più freddo in Giappone: me lo spiegava molti anni fa Hosokawa sensei, raccomandandomi di tagliare il legno per le armi da allenamento in febbraio: in una fredda e serena nottata senza luna, illuminata solamente dalla luce delle stelle.
 
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